Ardo Dombec – Ardo Dombec

Gli Ardo Dombec erano un quartetto con base ad Amburgo formato da Harald Gleu (chitarra e voce), Helmut Hachmann (sax e flauto), Michael Ufer (basso) e Wolfgang Spillner (batteria). Il loro stile era fondamentalmente un rock progressivo che traeva la sua linfa vitale dalle ampie possibilità offerte dal jazz, da cui la preminenza del sax di Hachmann in quasi tutti i pezzi della band, spesso controbilanciati dalla chitarra di Gleu. L’album venne registrato poco prima dello scioglimento del gruppo nell’agosto del 1971 ai Windrose Studios di Amburgo, per poi essere rilasciato con in copertina un curioso gelato al gusto “vaniglia, sangue e cactus”, con 8 tracce in apparenza altrettanto gustose, ma che sono liricamente condite da testi pungenti e cinicamente metaforici.

Poco si sa della storia di questi Ardo Dombec, sicuramente furono una delle prime prog-band tedesche a pubblicare un album con una forte commistione di blues e jazz: proprio per questo vennero spesso paragonati ai Colosseum, con la loro musica che si presenta31382-cover con un tripudio di sassofoni, chitarre elettriche e flauti. Il loro unico disco omonimo raccoglie tutto ciò che la band ha registrato, brillando nelle sezioni strumentali piuttosto che sulle parti vocali. Nonostante la loro origine tedesca, gli Ardo Dombec non hanno avuto quasi nulla da spartire con il genere del Krautrock, soprattutto grazie ai testi cantati in inglese ed alle tracce marcatamente progressive, alcune contenenti perfine parti à la Jethro Tull, in combinazione alla voce che pare elegantemente fare quasi il verso ad Elvis.

La scenografica “Spectaculum” apre il disco con un “nomen-omen” pieno di energia e stravaganti riff del sax, mentre Supper Time“, per esempio, ben esemplifica la necrofilia testuale degli Ardo Dombec in contrasto alla luminosità degli arrangiamenti, con Gleu che narra in musica la preoccupazione di un animale per gli attacchi degli sciacalli (rappresentati dai pericolosi cori).
Dopo il jazz schizofrenico “A Bit Near the Knuckle” che quasi porta alla mente i Soft Machine, nella sinfonia elastica di Clean-Up Sunday” il flauto dona a questo pezzo una consistenza più leggera, anche quando è intento a tagliare morbidamente la soffice base ritmica di Spillner e Ufer. 
E se il blues folle di “Downtown Paradise Lost” ci porta nell’allarmante Paradiso Perduto di John Milton ed i sei secondi flautolenti di Oh, Sorry” sembrano uno scherzo, l’ariosa 108” è poi un brano strumentale molto suggestivo, composto da un pastorale flauto e da una flebile chitarra acustica. Sigilla, infine, la breve avventura discografica di questi Ardo Dombec Unchangable Things?!“, con una disposizione principale più rock’n’roll che viene ribaltata dagli attacchi feroci del sax al suo prepotente canto del cigno.

Nel complesso Ardo Dombec è un album piacevole anche se un po’ irregolare, ma merita sicuramente di essere ascoltato da tutti appassionati del genere. 

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