Banco del Mutuo Soccorso – Io Sono Nato Libero

Rilasciato nel 1973 sotto etichetta Dischi Ricordi, Io sono nato libero è il terzo album in studio dei celebri Banco del Mutuo Soccorso, dopo un anno di pausa da Darwin. Si tratta del primo album con il chitarrista Rodolfo Maltese nella line-up (anche se quello ufficiale era ancora Marcello Todaro e Maltese appariva, nei titoli, solo nelle vesti di ospite) e il suo tocco è molto importante nei BMS, incastrandosi in perfetta alchimia con il pianoforte e le tastiere dei fratelli Vittorio e Gianni Nocenzi, con la voce di Francesco Di Giacomo, col basso di Renato D’Angelo e le percussioni di Pierluigi Calderoni.

Io sono nato libero segue la stessa vena dei suoi due predecessori, anche se arricchendo il sound con l’incorporazione di più synth e maggiori contrasti all’interno e tra tutti e cinque i brani: così facendo, l’album incarna la capacità della band di mescolare la bellezza classica e la stravaganza prog in un unico prodotto dal chiasmo perfetto.

L’album ha una caratteristica copertina sagomata con la forma di un portone e, a proposito di questa, scrisse il celebre autore Cesare Montalbetti (alias Cesare Monti, fratello di Pietruccio dei Dik Dik): “Trovai questo portone sui navigli accanto al Vicolo dei Lavandai. Il giorno dello scatto, agendo con spregiudicata incoscienza, arrivai sul posto assieme al gruppo senza chiedere nessuna autorizzazione, l’unica cosa che feci avvertii il proprietario dell’officina che stava dentro al cortile che avrei chiuso all’occorrenza il portone, ma non se ne dette cruccio alcuno. […] Il portone erano anni che non veniva chiuso per cui non si riusciva ad accostarlo perfettamente, ma la cosa non mi disturbò, l’immagine risultò più vera. Gli occhi che s’intravvedono sulla parte alta sono quelli di Francesco“. L’interno, con le sue otto pagine sagomate, è di per sè una bella struttura artistica… tenendo presente che siamo pur sempre nell’Italia dei primi anni Settanta.

La traccia d’apertura è “Canto nomade per un prigioniero politico; ispirata dal Golpe Cileno del 1973 (dirà in seguito Vittorio Nocenzi) e con un titolo di stampo leopardiano, presenta una prima parte cantata e una seconda più strumentale – progressive. Vi troviamo di tutto, ma senza horror vacui: orchestrazioni, melodiche tastiere delicate, assoli di chitarra e synth, sezioni di piano alla ELK e Renaissance, jazz fusion, pastorali duetti di chitarra acustica… Il tutto visualizzato e steso in un’amalgama sorprendentemente coerente. La canzone sfonda le pareti del carcere e inizia a vagare in esilio in tutto il mondo disperdendo i semi della speranza, mentre il prigioniero non può sfuggire. Ed è un contrasto che si sente eccome. “Canto nomade per un prigioniero politico” è, prima di tutto, una canzone d’amore per la libertà e per la giustizia sociale, e forse la Marta decantata è proprio una incarnazione di questa. Il componimento è stupendo, nella piena tradizione letteraria italiana: “Lontano è la strada che ho scelto per me dove tutto è degno di attenzione perché vive, perché è vero, vive il vero“.

Non mi rompete“, il pezzo più conosciuto dei BMS, è una sorprendente ballata dalle atmosfere bucoliche-ariostesche che consente a Di Giacomo di cantare la sua aria di bravura: a voce quasi operistica, infatti, galleggia su un incredibile tappeto di chitarra acustica fino alla sezione di chiusura gioiosa. Un componimento di pura poesia, uno dei miei pezzi preferiti in italiano dalla rara capacità di fare sognare. “La città sottile” è una composizione davvero interessante, e in una parte devo dire che mi ricorda la più tardiva “The Lamb Lies Down On Broadway” dei Genesis. Italo Calvino nel 1972 scrisse un romanzo intitolato “Le città invisibili”, dove verbalizza suggestivi paesaggi di città immaginarie che hanno ispirato pittori e musicisti dell’epoca… Qui sicuramente troviamo qualche riverbero. Suggerisco di leggere anche questo libro, se si vuole veramente entrare nel clima onirico di questo brano e per meglio comprenderne lo stravagante carattere del brano, in cui la musica è complessa, con le tastiere in prima linea ed un Di Giacomo in piena consapevolezza dei suoi mezzi.

Dopo… niente è più lo stesso” è uno splendido madrigale con un disturbo borderline: anche qui Di Giacomo ci regala momenti di brillante recitativo alternati a passaggi sincopati dal grande impatto emotivo, in una prima parte che esplode per poi per svilupparsi gradualmente in un umore sempre più greve. ll testo descrive i sentimenti di un soldato che torna a casa dalla Seconda Guerra Mondiale, dopo la battaglia di Stalingrado… Verosimilmente, lo stato d’animo del soldato in oggetto non è dissimile da quello di tutti quelli che sono rientrati da ogni guerra: la felicità di vedere nuovamente casa è mescolata a sentimenti di orrore e dolore, come perpetui souvenir bellici. A chiudere questo terzo lavoro ci pensa la rapida “Traccia II”, un tagliente componimento strumentale che richiama all’album d’esordio, uno splendido pezzo che ha inizio col pianoforte per poi terminare col sintetizzatore.

Che dire? Anche l’Italia ha continuato la sua tradizione artistica millenaria e questo disco merita un posto in ogni collezione di rock progressivo.

Precedente Can - Ege Bamyasi Successivo The Moody Blues - To Our Children's Children's Children's