Biglietto per l’Inferno – Biglietto per l’Inferno

All’inizio degli anni Settanta, mentre gli altri Paesi europei come l’Inghilterra, la Germania e la Francia stavano riscontrando un grande successo coi loro primi atti progressive, anche l’Italia raccolse alcuni deliziosi frutti nel proprio orto: i Biglietto per l’Inferno si unirono alla folta schiera delle cosiddette band “one-shot“, con i vari Museo Rosenbach, Maxophone, Alphataurus e Alusa Fallax, che tra gli altri pubblicarono un unico album prima di sparire dalla scena musicale. Ma forse questo disco superò tutti i suoi commilitoni, essendo appena inferiore per qualità ai capolavori dei più longevi PFM e Banco del Mutuo Soccorso .

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La formazione è così composta: Claudio Canali (flauti, voce), Giuseppe “Baffo” Banfi (synth, organo), Marco Mainetti (chitarra), Fausto Branchini (basso), Giuseppe “Pilly” Cossa (pianoforte, organo Hammond) e Mauro Gnecchi (batteria); essa emerse nel 1972 a Lecco, dalle ceneri di due gruppi (i Gee ed i Mako Sharks) che una volta insieme non persero tempo a raccogliere un significativo seguito derivante dalle loro famigerate esibizioni dal vivo: fu proprio al “Be In” di Napoli, la manifestazione organizzata dagli Osanna nell’estate 1973, che attirarono l’attenzione di Maurizio Salvatori, proprietario della neonata Trident Records che decise di scritturare la band, mettendoli subito all’opera per il loro album di debutto. Le registrazioni avvennero negli studi Regson di Milano ed il 33 giri uscì nel marzo del 1974, con la grintosa copertina di Cesare Monti raffigurante il cantante Claudio Canali mentre salta reggendo tra le mani l’asta del microfono, senza riportare alcun titolo o note integrative.

Musicalmente, i Biglietto per l’Inferno suonano come un matrimonio sull’orlo del divorzio tra i Banco del Mutuo Soccorso ed i Deep Purple, con alcuni ardenti tradimenti coi New Trolls e gli Osanna; l’album eponimo si distinse come un vero gioiello di pesante progressive, anche se la qualità tecnica del suono non ha superato però la prova del tempo a causa di una registrazione a tratti fangosa. Come si può notare dalla formazione, vi sono due tastieristi (Giuseppe Cossa e Giuseppe Banfi) che formarono un singolare nucleo sinfonico, combinando esercizi di ispirazione barocca sparsi tra pianoforte, organo e sintetizzatore. Lo stile del batterista Mauro Gnecchi è invece davvero opprimente e soffocante, un collante barbiturico a cui il chitarrista Marco Mainetti altera la formula con riff di hard rock, blues e jazz. Naturalmente, una menzione speciale è indirizzata a Claudio Canali, il carismatico leader responsabile della maggior parte della scrittura di musica e testi: il suo stile vocale costituisce un’altra fonte di approvvigionamento per il lato più rock, che non di rado riesce a sedare con uno strabiliante uso del flauto.

L’openerAnsia è un brano dai toni pacati, introdotto dall’organo Hammond e da un arpeggio di chitarra, cui fanno seguito esplosioni percussive che lanciano un ritmo più vario e teso; la voce di Claudio Canali entra soltanto alla fine del brano, dipingendo una sensazione di disagio ed apprensione che sale da una “vita triste e infame, passata a uccidere e rubare“, nella disperata ricerca di un salvatore “Un amico ha parlato di preti; mai visti! Chi sono? Che fanno? Ciarlatani mercanti o profeti, ma tolgono questo mio affannoFin dall’inizio, la musica appare frenetica e potente, senza tempo per passaggi pastorali (un dato insolito per la maggior parte delle band progressive), lasciando nell’ascoltatore una sensazione semi-permanente di tormento e nostalgia.

La peccaminosaConfessione” è un pezzo più articolato, il cui testo narra di un uomo che va da un frate a confessare i propri peccati ma non ne ottiene l’assoluzione; la musica è piena di energia e di rabbia, con fitte ombre di Deep Purple tra tarantella, passaggi flautistici “à la Jethro Tull”, una chitarra solista e sezioni più oltraggiose: in mezzo a questi fumi emerge il canto di Claudio Canali, in tutta la durata sempre convincente, che sembra stia quasi cercando una giustificazione al vento di violenza che stava soffiando così forte in Italia nei primi anni Settanta. Ascoltami frate non so se ho peccato, ho ucciso un bastardo che avrebbe voluto coprire coi soldi il suo sporco passato, tentando così di beffare il suo fato […] Ascoltami frate e dimmi se questo lo chiami peccato o un nobile gesto: ho preso dei soldi a un ricco signore per dar da mangiare a un uomo che muore“. Ma in questo album non c’è molto spazio per la speranza ed i versi con la risposta del frate sono solo un buio preludio per il tragico epilogo della quinta traccia (“Cosa dici fratello, tu hai ammazzato! Nel quinto ricorda ti è stato proibito. Non posso salvarti dal fuoco eterno, hai solo un biglietto per l’inferno“). Dopo aver sfondato anche il muro del suono, tra momenti di forte accumulo e di fittizio rilascio la musica viene condotta per mano verso una grande sezione folk-rock, nella empatica integrazione tra flauto e chitarra elettrica che richiama il binomio Ian Anderson – Martin Barre. Il finale climatico porta direttamente alla disagevoleUna strana regina“, uscita anche in 45 giri, probabilmente la traccia più accessibile dal punto di vista melodico. Dopo una parte convulsa fomentata dal flauto, la musica si miscela ad una messa solenne, con ancora riverberi dei Jethro Tull che si snodano tra hard rock e folklore italiano. La voce di Claudio Canali sembra essere intrisa di pessimismo cosmico, mentre l’intimo dialogo rabbioso continua: “Sulla terra regna una regina strana abita in castelli formati d’ogni via, cambia abito ogni sera e si chiama ipocrisia“. Musicalmente, si inizia con un’apertura con un organo ecclesiastico “à la Procol Harum”, con pianoforte e batteria che presto aggiungono un po’ di coerenza: le doppie tastiere utilizzate dalla band funzionano anche qui a dovere con una, più funesta, che fornisce profondità mentre l’altra, più pacata, secerne un ritmo più leggero.

L’ermeticaIl nevaresi trova nel cuore dell’album ed è una canzone da brivido, con alcune cavalcate blues su una chitarra elettrica impennata in prima linea; Claudio Canali ha definito questo brano come una “preghiera laica“, stesa su delle parole che sembrano invitare alla meditazione suggerendo che, anche in una vita in cui l’ipocrisia è lo standard, è possibile trovare uno sprazzo di gioia solo contemplando la natura e la neve che cade: pesanti fiocchi caddero quel giorno, bagnarono i miei occhi persi nella luce, persi nello sforzo di capire di vedere quanta gioia pura da un semplice nevare“. A mio parere questo è uno dei momenti migliori del disco, in cui la chitarra non si limita a sedersi tranquillamente in un angolo ma fornisce alcuni duri riff e assoli tenaci, tuttavia il momento-clou lo crea ancora una volta il martellamento delle doppie tastiere in alleanza alla voce urlata, spostandosi a braccetto tra dolcezza e malinconia, tra rabbia e rassegnazione, con improvvise esplosioni di potenza e di forza, ma sempre mantenendo quell’atmosfera claustrofobica che è il marchio di fabbrica di questo album; quando una band riesce a trasmettere dei sentimenti così forti all’ascoltatore credo che la loro missione possa dirsi compiuta, e la disperazione bisogna sottolineare che è una sensazione davvero difficile da tessere in musica, a discapito del tripudio di facili “love songs” perennemente in circolazione.

L’agghiacciante “L’amico suicida” racconta in 13 intensi minuti la storia di un uomo che va a visitare il cadavere di un amico che si è appena ucciso, esperienza autobiografica ispirata dal suicidio del compagno d’armi di Canali durante il servizio militare (“il tuo viso cereo e gli impulsi lenti, le tue labbra scure mi fanno stridere i denti“). Il pezzo si sviluppa poi con molti cambiamenti di ritmo passando attraverso una marcetta che porta al sentenzioso finale nel quale Canali canta la morale di questo sporco mondo idiota proprio lui che t’ha creato, ma io no, ma io no io ti capisco, io non biasimo il tuo gesto, io conosco la tua storia, so la tua triste poesia col sapore della morte, la tua mano nella mia“. Ancora una volta, la melodia viene spinta nel baratro dalle tastiere, accompagnate dalla chitarra (a tratti doppie anche queste) e percussioni funeree, fuse in una epica atmosfera impetuosa. C’è anche spazio per un assolo di flauto, posto in una sezione piuttosto sperimentale, mentre il finale vede il ritorno dell’organo clericale e della voce, in uno stato d’animo più tranquillo e malinconico che presto si trasforma in quella che sembra quasi essere una fuga barocca, con alcuni grandi power chords di piacevole effetto.

Dopo questo primo disco, i Biglietto per l’Inferno continuarono con una prolifica attività live, partecipando il 25 luglio del 1974 al “Santamonica Rock Festival”, inserendosi in un fastoso cartellone che comprendeva, tra i tanti, anche i Magma, Rod Stewart, Tim Buckley e Billy Preston. Prima della fine dell’anno la band tornò in sala di registrazione per dare un seguito al primo album, con una produzione affidata all’estroso Eugenio Finardi: nonostante il disco fosse praticamente pronto, il suo rilascio venne dapprima ritardato e poi annullato a causa delle crescenti difficoltà finanziarie della Trident.

Qualche mese dopo, la Island si interessò alla band, intendendo farle registrare una versione del nuovo disco a Londra, ma anche questa strada si rivelò alla fine senza sbocchi e questo sfortunato lavoro vedrà la luce soltanto nel 1992, quando verrà edito dalla Mellow su CD col titolo Il Tempo della Semina.

Le continue delusioni accelerarono lo scioglimento della band, che però fece in tempo ad esibirsi con Kevin Ayers in uno storico concerto in Svizzera, il 5 marzo 1975. Quasi tutti i musicisti rimasero più o meno sulla scena (Baffo Banfi si legò addirittura in amicizia a Klaus Schulze, pubblicando sulla sua etichetta), mentre Claudio Canali che nel 1990 si fece frate eremita, ritirandosi in un convento in Toscana. Nel 2009 il gruppo privato del suo leader resuscitò clamorosamente, costituendosi nel Biglietto per l’Inferno.folk, pubblicando nello stesso anno Tra l’Assurdo e la Ragione e proprio in questo 2015 Vivi, Lotta, Pensa.

Biglietto per l’Inferno è ​​un grande album, ma la qualità del suono lascia un po’ a desiderare nella sua edizione originale; nel 1990 la solita Mellow Records (che credo non finiremo mai di ringraziare) finalmente ebbe modo di rilasciarlo in CD, migliorandone notevolmente l’ascolto. Ci sono molti cambi di ritmo e di umore, ma tutte le tracce sono in qualche modo legate tra loro come in una lunga suite, in un viaggio diretto senza confort verso l’Inferno più autentico, con uno sconcertante scenario di energia strumentale e poesia viscerale al di là dei finestrini, ed in testa alcune amare riflessioni – purtroppo sempre attuali – circa l’ipocrisia del nostro mondo. 

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