Breve Storia del Krautrock

“La Germania era veramente in una brutta situazione: era stata così stupida e irresponsabile da avere iniziato due guerre e poi perderle. Ma permettetemi di fare un appunto, c’era una cosa positiva: non aveva più nulla da perdere. Aveva perso tutto”

(Edgar Froese)

La storia del Krautrock si lega inesorabilmente a quella della Germania degli anni Sessanta/Settanta, ancora alle prese con le conseguenze disastrose della Seconda Guerra Mondiale e divisa in due da un algido muro: fra il 1968 ed 1977, l’obiettivo che una nuova generazione di musicisti si stava ponendo era quello di trascendere il recente passato di un Paese in cui stentavano a riconoscersi; alla fine anni degli anni Sessanta la musica tedesca era dominata dallo Schlager, un pop inoffensivo intriso di arrangiamenti di facile presa e melodie fastidiosamente orecchiabili, un esperimento già adottato e perfezionato da Joseph Goebbels, ministro della propaganda del Terzo Reich, che investì parecchio denaro nell’industria musicale al fine di mascherare meglio le sue bugie: di fatto, il boom degli anni Cinquanta di cui si scriveva sui giornali era qualcosa di molto lontano da ciò che stava accadendo nelle strade e le uniche persone a beneficiarne furono le stesse che si trovavano al potere durante il Nazismo.

Quando si parla della musica tedesca degli anni Settanta si usano in genere due termini: uno è Krautrock, coniato dalla rivista Melody Maker secondo il gergo anglosassone in voga all’epoca nell’indicare i tedeschi (“Kraut”) e che nasconde un malcelato senso di supponenza, ricalcato sarcasticamente poi dai brani omonimi dei Faust e di Conrad Schnitzler. L’altro è Kosmiche Musik, la “musica cosmica”, che deve il suo nome ad una storica doppia antologia pubblicata nel Natale del 1972, un termine che però pare alquanto fuorviante quando viene usato per gruppi come Can, Faust e Neu!, che di cosmico nel loro suono industriale non avevano proprio nulla. Forse la definizione generica di Rock Sperimentale Tedesco è quella che meglio compendia il suono di ognuna delle band presenti sul territorio germanico, premettendo che seppur tutte queste formazioni abbiano costantemente mantenuto uno spiccato gusto per l’artigianato e per l’improvvisazione a oltranza, con fonti tutt’altro che nobili, non hanno sempre raggiunto il medesimo risultato artistico / musicale. D’altronde, si tratta di una scena multiforme per definizione, una scena che al confronto “Sister Ray” dei Velvet Underground pare una bambinata (tanto per citare il kraut-guru Julian Cope), una scena che non fu neanche una scena vera e propria, dato che soltanto il produttore Conny Plank fu il collegamento di una serie di musicisti che si ignoravano a vicenda.

A Monaco di Baviera, si facevano allora largo gli Amon Duul e la loro comune politico-artistica, che stava dando vita alla colonna sonora di un nuovo mondo, traendo ispirazione dalla musica classica e dal folk locale. Divisi in occasione di un noto festival in due fazioni (di fatto soltanto gli Amon Duul II proseguiranno con successo la loro storia musicale), da questa comune emersero anche curiosi personaggi come i terroristi della “Frazione Armata Rossa” Andreas Baader e Gudrun Ensslin. A Monaco, gli Amon Duul II trovarono validi collaboratori anche dal punto di vista cinematografico: Wim Wenders filmò alcuni loro concerti, Rainer Werner Fassbinder li omaggiò con un cameo in “Die Niklashauser Fart” e, sempre nella città bavarese, un altro importante regista tedesco come Werner Herzog lavorò coi mistici Popol Vuh nelle sue colonne sonore, una formazione guidata dal talismanico Florian Fricke, suo vecchio amico dai tempi della scuola.

Nella Berlino squarciata in due dal muro erano invece attivi i Tangerine Dream di Edgar Froese, un’altra delle più criptiche formazioni del Krautrock, chiamati a suonare nella cattedrale francese di Reims nel 1974 salvo poi essere banditi da ogni struttura cattolica con una lettera spedita direttamente del Vaticano. Solo la Chiesa Anglicana li invitò in seguito a suonare nella Cattedrale di Coventry, ma il giorno seguente l’Inghilterra riservó alla band un’enorme prima pagina che recitava: “Quaranta anni fa sono venuti con le bombe, oggi sono tornati coi sintetizzatori“, tanto per rimarcare i soliti pregiudizi decennali. Nodo cruciale dell’underground berlinese fu tuttavia il Zodiak Free Art Club, fondato nel 1969 nella zona Ovest da Conrad Schnitzler e Hans-Joachim Roedelius, un locale che traeva ispirazione da un’idea concertistica di John Cage; Roedelius era molto più vecchio degli altri artisti in circolazione, avendo vissuto la Guerra, quando fondò col giovane Dieter Moebius i Cluster (i futuri Harmonia), pionieri per antonomasia dell’elettronica ambient: nel 1974 la band venne all’orecchio di Brian Eno, il quale assistette ad un loro concerto e venne invitato a casa del gruppo, ma passarono due anni prima che trovasse il tempo per accettare quella proposta di soggiorno. Tra partite a ping pong e lunghe camminate, nacque dal caso un album in collaborazione (Cluster & Eno), ma poi Eno se ne andò per registrare Low con David Bowie e coadiuvarlo nel suo “periodo berlinese”, in cui il Duca Bianco seppe vendere al mercato le idee dei Cluster e dei Neu! in forma neanche troppo originale.

Nel frattempo a Colonia, cuore pulsante dell’elettronica, bussò alla porta di Karlheinz Stockhausen un certo Holger Czukay, un giovane e disorientato bassista che il compositore tedesco portò nelle “catacombe” del suo negozio, come usava chiamarle, per fargli vedere il suo omonimo generatore. Come il suo maestro, anche Holger sposò una donna ricca che gli diede una certa stabilità economica, e formò poi i Can col chitarrista Micheal Karoli ed il batterista Jaki Liebezeit; fuori da un cafè, un pomeriggio Jaki notò l’enigmatico giapponese Damo Suzuki (auto-definitosi “un nomade nel 21esimo secolo, viaggiatore, hippy ma non veramente hippy, trasportatore metafisico… essere umano“) e lo invitò sul palco la stessa sera, senza neanche fargli fare una prova. Il giapponese rivelò candidamente di non ricordare granché di quel periodo, ma sicuramente non dimenticò quel primo concerto l’attore David Niven, che si trovava per caso lì quella sera, e alla domanda posta dalla band su cosa ne pensasse della loro musica, rispose sconvolto: “fantastica, ma non pensavo fosse musica!“. Nel 1974 Damo Suzuki incontrò infine la sua Yoko Ono personale, una testimone di Jeovah, con una conseguente illuminazione spirituale e l’abbandono dei blasfemi Can.

Trenta chilometri a nord di Colonia, dopo un viaggio in autobahn, si raggiunge Dusseldorf, la Liverpool  tedesca rispetto alla mancuniana Colonia. Gruppo per eccellenza locale furono i ricchi Kraftwerk di Florian Schneider e Ralf Hutter, che allestirono i famigerati Kling Klang Studios: l’altezzoso duo ruppe tutti gli schemi del trasandato e povero Krautrock, allontanandosi dalla scena con i loro capelli corti, le loro eleganti divise, le loro scarpe fatte a mano ed un lessico votato all’elettronica che commercializza di fatto gli insegnamenti di Stockhausen e dell’elettronica berlinese. Per un breve periodo passarono nei Kraftwerk anche Micheal Rother e Klaus Dinger, salvo poi capire di aver poco in comune e formare i Neu!, dando vita alla loro “psichedelia pastorale”, per rispolverare la curiosa definizione di Iggy Pop. Nella città di Amburgo si era invece ossessionatamene in cerca di una versione tedesca dei Beatles, un compito che fu affidato malamente a Uwe Nettelbeck, che si presentò all’illusa Polydor con gli anarchici Faust, la cui fortuna li portò alle porte della Virgin, ma l’amore – reciproco, peraltro – con gli inglesi non fu destinato a sbocciare (complice anche il cibo britannico che tanto odiavano!).

Non ho citato tutte le band, ma solo le più rappresentative: nei capitoli dedicati agli album ci sarà spazio per tutte quelle che ho – a malincuore – tralasciato. Questa breve cartografia musicale ha voluto sottolineare come ogni città abbia avuto un suo leitmotiv ed una sua particolare espressione artistica e, tra incantesimi psichedelici, mantra elettronici, improvvisazioni contorte, rumori primitivi e ballate allucinogene, il Krautrock può essere univocamente descritto come un anarchico e tellurico viaggio onirico attraverso le origini della musica rock. Ancora oggi, a differenza di musicisti che hanno venduto alla massa questa favolosa scena come David Bowie (non includo Brian Eno solo perchè ha saputo comprenderla) e di chi invece ha ottenuto un successo tanto grande quanto immeritato (leggasi: Kraftwerk), una serie di altri musicisti non si sono invece mai piegati al business ed hanno invece continuano a sperimentare in silenzio senza nicodemitiche glorie, ma con un’enorme integrità ed intelligenza morale.

Per approfondire l’argomento consiglio: i libri Krautrocksampler di Julian Cope (difficile però da reperire) e The Prog Side of the Moon di Cesare Rizzi (facilmente trovabile) ed il documentario della BBC Krautrock – The rebirth of Germany (solo in inglese).