Caravan – Waterloo Lily

Dopo il culmine raggiunto con In the Land of Grey and Pink, ha inevitabilmente inizio la discesa dei Caravan: decisivo fu, senza dubbio, l’abbandono prematuro di Dave Sinclair, che raggiunse l’amico Robert Wyatt dapprima nelle sedute di The End of an Ear e poi nei Matching Mole, venendo sostituito da Steve Miller (fratello del chitarrista Phil), un pianista jazz dalle inclinazioni più miti rispetto all’audace ex tastierista; l’influenza del nuovo arrivato venne subito palesata in una spiccata biodiversità strumentale rispetto ai lavori precedenti, tuttavia la maggior parte dei brani dell’album porta ancora l’impronta inconfondibile dell’umorismo pop di Pye Hastings, nonostante Waterloo Lily si muova in una direzione jazz-rock più marcata: s61v65PuCCtLignificativo fu l’apporto del sassofono di Lol Coxhill, mentre la presenza degli strumenti a fiato in generale è molto più evidente che nelle opere passate, in cui a dominare era il suono delle tastiere. 

Edito nel maggio del 1972, Waterloo Lily dispone di una curiosa copertina, prelevata da un particolare de “La taverna” di William Hogarth, terzo episodio de “La carriera di un libertino“, una serie di otto opere sequenziali inerenti le avventure dell’avaro mercante Tom Rakewell, dal momento in cui eredita le sue fortune sino alla sua folle morte in un manicomio. La carnosa “Waterloo Lily” prende proprio avvio dall’immagine della prostituta raffigurata in copertina, con la rovente narrazione di Richard Sinclair che, tra molti colpi di scena interessanti, si insinua nella testa dell’ascoltatore. E se nella effervescente suite “Nothing at All / It’s Coming Soon / Nothing at All (Reprise)” alcuni passaggi dei nuovi Caravan possono ricordare perfino le dinamiche dei Soft Machine affogate nel jazz, Songs and Signs” occupa, invece, una sorta di crocevia tra il vecchio fatato pop ed il nuovo edulcolorato jazz-rock, dove le voci di Richard Sinclair e Pye Hastings si amalgamano col suono insolito del clavicembalo elettrico e degli assoli di Steve Miller.

Il secondo lato si avvale dei Caravan più tradizionali: si ricomincia con l’oscillante “Aristocracy“, una stravagante canzone pop che sarebbe potuta essere altrettanto facilmente piazzata negli album precedenti grazie al suo ritmo rimbalzante e flessibile, ma è la seconda suite del disco, “The Love in Your Eye / To Catch Me a Brother / Subsultus / Debouchement / Tilbury Kecks“, il vero fiore all’occhiello di Waterloo Lily, in cui torna sinfonicamente alla ribalta il pifferaio magico Jimmy Hastings, tra gli arrangiamenti d’archi di Colin Frechter ed una serie di musicisti ospiti che si fanno largo tra oboe (Barry Robinson), sax (Lol Coxhill) e tromba (Mike Cotton); sigilla, infine, il disco la travolgente “The World is Yours“, un utopistico poema amoroso in preda a febbri nostalgiche.

A luci spente, bisogna infine ricordare le origini dei Caravan, fortemente radicate nella musica jazz che si ascoltava a casa di Robert Wyatt: fino al 1972, c’era stata una pacifica convivenza tra l’orientamento pop-rock di alcuni dei membri della band (Pye Hastings) e le tendenze jazz degli altri (Richard Sinclair), portando i primi dischi ad essere ragionevolmente bilanciati su queste due tendenze – in Waterloo Lily a patire maggiormente è soprattutto la componente rock, ampiamente accantonata in favore di un jazz molto più flessibile. Il periodo d’incertezza dopo questo disco venne presto fomentato da altre defezioni: Steve Miller raggiunse Lol Coxhill per alcuni progetti, mentre Richard Sinclair si ricongiunse al cugino David negli Hatfield & The North, lasciando Hastings e Coughlan unici eredi del marchio dei Caravan; For Girls Who Grow Plump in the Night (1973) è l’ultimo album degno di nota, concepito col violinista Geoff Richardson e David Sinclair accorso part-time ad aiutare gli ex-compagni.

Waterloo Lily mostra chiaramente il passaggio tra questi due periodi e, come la maggior parte degli album di transizione, ha i suoi momenti positivi ma anche i suoi difetti, che comunque non bastano per non annoverarlo – a mio avviso – tra i grandi dischi della scena di Canterbury.

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