Cervello – Melos

I Cervello nacquero ufficialmente nel 1972 ma si stabilizzarono l’anno dopo attorno al cantante Gianluigi Di Franco ed al chitarrista Corrado Rustici (fratello di Danilo degli Osanna), ai quali si unirono Giulio D’Ambrosio (sassofono, clarinetto), Antonio Spagnolo (basso) e Remigio Esposito (batteria). Il gruppo così formato si mise subito in mostra al Palermo Pop Festival e al III Festival d’Avanguardia e Nuove Tendenze di Napoli nell’estate del 1973, mentre la produzione degli Osanna gli regalò una certa visibilità sul territorio, che però non impedì ai Cervello di sciogliersi nel 1974, quando Corrado Rustici decise appunto di unirsi al fratello negli Osanna dell’album Landscape of Life.

Registrato negli studi milanesi dCervello-1973-Melosella Ricordi, Melos venne pubblicato nell’estate del 1973 con la suggestiva copertina della lattina di pomodori pelati (opera di Cesare Monti), il cui lato è sollevabile per mostrare la fotografia in bianco e nero dei componenti del gruppo avvolti in una pellicola trasparente, mentre il retro rivela una larga distesa di piselli verdi. Stando alle note di copertina, i brani sono stati composti da F. Parazzini (testi) e G. Marazza (musiche), forse però soltanto due prestanome; il titolo “Melos” deriva invece dal greco e significa semplicemente “canto”, ma le analogie con l’universo culturale ellenico non finiscono qui, avvolgendo l’intera opera tra riferimenti più o meno lampanti; forse l’aspetto più curioso è però la clamorosa assenza delle tastiere, una netta presa di distanza dal canonico prog britannico, una mancanza che viene tuttavia colmata da una folta schiera di flautisti, che si trincera dietro ad un mix criptico di chitarre e sassofoni, proiettando una sensazione molto densa ed opprimente. Il primo piano vi è l’uso sapiente del sax, capace di emettere un suono non molto dissimile dal mellotron, e che ben si accoppia alle parti vocali, alla potente batteria ed alla chitarra acustica, tra umori vari che si depositano in accordi cerebrali, tra svettanti melodie ed avvincenti passaggi strumentali, tutti intrecciati insieme in un arazzo sincopato ed energico.

La serrata “Canto del Capro” colpisce con i suoi flauti volubili ed un cupo cantato distorto, con strani bagliori di chitarra acustica ed elettrica che completano il resto di questo inizio inquietante, che descrive un rito in onore di Dioniso (“Magica danza mi porterà il seme, vivido intruglio disseta la mente“) dove Satiri e Menadi ballano e bevono una sostanza magica, mentre il sangue fuoriesce da una capra sacrificata. La musica inizia impercettibilmente, l’atmosfera è misteriosa ed arcana, la melodia solenne, mentre la danza ed il vino trasformano l’ansia dei fedeli in un’ “eruzione mistica” (“Satiri, menadi: luci di un corteo. Musica solenne, danza, il vino muterà l’ansia dei fedeli nella mistica eruzione. Pelli, corna, bestie cacciano la preda, sangue scorre a lungo dalla carne di chi è simbolo divino per la umana sazietà“). “Capro” in greco è “tràgos”, ed il “canto del capro” equivale quindi alla “tragedia” (“tragodìa), poiché i vincitori dei primi agoni tragici ricevettero in dono un capro, ed inoltre si ritiene che gli stessi coreuti (i cantori del teatro ellenico) indossassero maschere dalle sembianze caprine.

L’acustico “Tritticoè un brano nostalgico, inizialmente scalfito dalla chitarra acustica, dal flauto e dalla voce, ma verso la fine un sax folle e delle percussioni maniacali ribaltano la morbidezza dell’apertura, con improvvisazioni di chitarra aggiuntive che portano ad una sezione conclusiva connotata da una cacofonia di voci bizzarre. Qui i ricordi di antichi riti che celebrano la gioia ed il dolore scompaiono in un passato di nebbia, mentre l‘ansia di libertà viene spazzata via nel vento con una nuova società in arrivo, in cui la falsità e la crudeltà decimano ogni speranza (“Nuovo corso, nuova gente un’altra società. La gioia, l’ansietà ritorna ad alitar, profumo di umiltà, si plasma sacra linfa. Echi di canto che accoglie la Poesia. Orrido inganno – falsità vaghi ricordi – crudeltà, sento cadere la speranza nella vita. Orrido inganno – falsità vaghi ricordi – crudeltà, sono impotente e perciò piango in silenzio“).

La splendida “Euterpe” – che significa “delizia” – rappresenta la musa greca della musica, detta “auletica”, che veniva spesso raffigurata con un “aulòs” tra le mani (che in greco significa, appunto, “flauto”); essa rinasce da un guscio acustico in connubio ad una sezione di flauti caldi ed invitanti, che conducono ad un combo sonoro disturbato dagli allenamenti della chitarra e del sassofono, in analogia alla giovane musa che sta crescendo per dare vita ad una musica affascinante (“Si confonde col mare l’esile miraggio della Musa antica, sfugge con virgore. Ora sento di scoppiare per la verità“). La seguente Scinsione (T.R.M.)” è caratterizzata dal sax brutale di Giulio D’Ambrosio, ma inizia sorprendentemente con una chitarra che pare emergere da “Astronomy Domine” dei Pink Floyd, posta poi in placida interazione col basso e con il flauto: si tratta di una pista sperimentale in cui la musica e le parole hanno lo scopo di evidenziare teatralmente gli sforzi delle rappresentazioni mimiche (Tentativi di Rappresentazione Mimica, nel titolo), raffigurate in una sequenza languida di sguardi allucinati, singhiozzi, irresoluzione, estasi, gioia ed ambiguità.

La title-track “Melos” viene servita su un piatto mistico di vibrafono e voci calde e, non a caso, “Melos” è la parola greca che definisce il lato melodico di una canzone. Più variegata è Galassia“, una festa di interludi vocali che si snodano tra chitarre, il diletto del flauto e perseguitanti attacchi di sax e percussioni. Avrete bisogno di una doccia dopo questa canzone: è una traccia introspettiva che invita ad una violenta ricerca interiore, in cui l’ego viene iscenato come un modo per esplorare mondi infiniti (“Gioia si innalza e plana limpida nella candida spuma infinita. Spingi nel tuo Sé. Soli sfiorerai, crollano le scorie di un’orda, che mendica“). In coda vi è il dipinto acustico di “Affresco” che chiude questo barattolo cerebrale in maniera breve e pastorale, con un suono più vicino al lato tradizionale del rock.

Corrado Rustici dopo la breve parentesi degli Osanna formò il gruppo fusion dei Nova, con suo fratello Danilo ed Elio D’Anna, e diventò inoltre un produttore di successo internazionale. Gianluigi Franco si specializzó invece in musicoterapia, diventando presidente dell’European Music Therapy Confederation ed altre importanti istituzioni mondiali e collaborò per diverso tempo con Tony Esposito nella musica pop.

Forse, per evocazione, sarebbe utile un confronto con una band inglese che godette di particolare fama in Italia negli anni Settanta, i Van Der Graaf Generator: i Cervello ne ereditarono lo sviluppo sconcertante della canzone di Pawn Hearts, anche all’interno di un mini-formato di cinque minuti, con un caos però tenuto sempre sotto stretta sorveglianza; l‘uso dei flauti e del sax aiutano inoltre ad estendere il confronto, ma i Cervello collocarono le chitarre in primo piano e non utilizzarono l’organo, a differenza della band di Hammill. Spesso paragonati pure agli Osanna di Palepoli, il loro suono è però meno ostico e più vario, con influenze heavy-rock, psichedeliche, jazz e classiche amalgamate nella lunga tradizione mediterranea con un gran numero di rotture, un tripudio di sax e flauti ed una oscillante energia progressive con molti spazi per passaggi folk ed atmosfere bucoliche. Inoltre, questo disco, trova qualche analogia col lavoro dei danesi Burnin Red Ivanhoe, in un marchio psichedelico fortemente flautistico che permea anche questo gioiello, con una fresca ventilata di jazz-rock sempre refrigerante.

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