Cressida – Asylum

Secondo (e ultimo!) album in studio per la band britannica dal nome shekespeariano (“Troilo e Cressida”), rilasciato dalla Vertigo nel 1971. Gli anni di attività dei Cressida si possono contare sulle dita di una mano e, in questo disco, abbiamo una parziale rivoluzione della line-up che la dice lunga sui fatali contrasti interni: ad Angus Cullen (voce e chitarra), Peter Jennings (tastiere), Kevin McCarthy (basso) e Iain Clark (batteria) rispetto al primo lavoro omonimo si aggiunsero il flautista Harold McNair, che morirà di cancro lo stesso anno, ed i chitarristi John Culley e Paul Layton (dato l’abbandono di John Heyworth).

La splendida copertithna è opera del surrealista Marcus Keef (Black Sabbath, Colosseum, solo per fare alcuni nomi) e rappresenta alcune teste bianche artificiali abbandonate sulla spiaggia. Se si desidera ascoltare una band di pop-psichedelico immergendo i piedi nelle acque del prog, i Cressida fanno proprio al caso vostro: sonoricamente il loro microcosmo non è dissimile da quello dei Caravan e dei Nice ma vi sono meno sofismi, potrebbero essere accostabili anche a Genesis ed East of Eden se non fosse che di visioni fiabesche od esotiche non vi è nemmeno l’ombra. Salta pure subito all’orecchio la similitudine vocale tra il cantante Angus Cullen e Paul McCartney (ma nulla di plateale, per carità)… Insomma, si viaggia in acque tranquille, ma occhio al paesaggio.

La title-trackAsylum” ci immerge i piedi in queste tiepide acque, accompagnata dalle percussioni di Iain Clark e dall’organo soul di Peter Jennings. Potrebbe essere scambiata per una semplice ballata in stile Woodstock se non fosse per i ritmi spezzati e le improvvise interruzioni strumentali che rivelano molto di più.  Pezzo interessante, buon inizio. La mini-suiteMunich” è uno dei momenti migliori dell’album, con chitarra elettrica, organo e flauto che magicamente si intrecciano in un brano che suona vagamente canterburiano. La ricetta è la stessa ma il prodotto è meno riuscito nella seguente Goodbye post office tower, goodbye”  mentre la breve Survivor è forse la più dimenticabile di queste canzoni, ma riesce ancora a rimanere a galla, soprattutto grazie ad un sapiente uso dell’organo Hammond da parte di Jennings e della calda voce di Cullen.
La soffice “Reprieved“, con riflessi jazz alla Blood, Sweat and Terra, si apre con il pianoforte ed una soffice batteria, creando una atmosfera “graziata” come enunciato dal suo stesso spoilerato titolo. Il pezzo più forte è però sicuramente “Lisa“, una nobile ballata con un netto contrasto dinamico tra il ritornello e le sezioni acustiche più morbide, in un delizioso psych sinfonico con un pizzico di Moody Blues. Splendidi gli spaccati in cui compare il flautista jazz Harold McNair, che fornisce una dimensione supplementare ad una canzone che nasce già ricca di profondità stilistica, grazie soprattutto agli arrangiamenti orchestrali di Graeme Hall (che rende il confronto con Moody Blues e Barclay James Harvest abbastanza ovvio).
La seguente “Summer weekend of a lifetime è un brano folk ipnotico con un organo fluttuante intrecciato alla chitarra e ad un flauto intermittente, mentre Let them come when they willchiude l’album in un collage di diverse piste louge,  jazz, pop anni Sessanta, armonizzazioni ed archi, percussioni tribali… Se si voleva chiudere la carriera col botto questa performance è perfetta, un ottimo compendio delle abilità dei Cressida (“Soft vibrations, from a place that everyone needs. Tell the people, let them come when they will“)

Solo 800 le copie vendute all’epoca, un disco conseguentemente rarissimo. Iain Clark entrerà in seguito negli Uriah Heep di Look at Yourself, gli altri finiranno nel dimenticatoio assieme alle teste spiaggiate in copertina.

“Thank you for that reawakening, thank you for returning love”: un capolavoro da risvegliare… e rispolverare!

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