Emerson Lake & Palmer – Emerson Lake & Palmer

Tutto iniziò per puro caso e mai una combinazione fu così redditizia.

Il tastierista Keith Emerson e il bassista Greg Lake già si erano ritrovati assieme in un paio di jam al Fillmore West. Dopo essersi separati dalle rispettive band, prendono inizialmente in considerazione un super-gruppo con il batterista Mitch Mitchell, il quale declina l’offerta e suggerisce, azzardando, il nome del compagno più famoso Jimi Hendrix,  che muore però lo stesso anno (e la stampa ci ricamerá sopra l’ipotetica sigla HELP!). Nel frattempo si era unito al duo Carl Palmer alla batteria: la band, così formata, entra in scena per la prima volta al festival di Wight nel 1970, sconcertando il pubblico per la loro peculiare musica e la tendenza glam dimostrata sul palcoscenico.

Concettualmente ELP possono considerarsi un’estensione dei Nice per il connubio rock e classica, per la stessa formazione a tre e per la direzione del medesimo leader artistico (Emerson); all’entrata nel trio, Lake aveva alle spalle due album coi King Crimson, in cui era fondamentalmente vocalist e bassista (negli ELP riprenderà anche la chitarra), mentre Carl Palmer usciva da importanti collaborazioni con gli Atomic Rooster e col Crazy World  di Arthur Brown. Un mix così vincente non poteva non saltare all’orecchio vigile di un produttore come Chris Blackwell, che non perde occasione di metterli subito sotto contratto con la Island, vedendovi delle spiccate doti commerciali: il disco di esordio omonimo (Emerson Lake & Palmer… senza la virgola, per carità!) rilasciato nel 1970 fu un enorme successo commerciale, arrivando a sedersi al quarto posto in classifica.Emerson-Lake--Palmer-Emerson-Lake--Pal-531452

La copertina è stata dipinta dall’artista britannico Nic Dartnell (allora diciottenne) e ritrae un uccello bianco svolazzante con un orecchio umano in basso a sinistra; il profilo dell’ala sinistra delinea la parte posteriore della testa maschile a cui è collegato l’orecchio, l’altra metà della quale è posta sul retro del disco. Dirà il disegnatore in seguito che il volatile è stato ispirato dai manifesti di Woodstock e che si trattava, in sostanza, di un tipo di immagine che combinava idee di pace e spiritualità (l’uccello) mescolate a rappresentazioni prettamente cerebrali (la testa umana).

L’album si apre con dei toni vagamente inquietanti: “The Barbarian” è un adattamento dell'”Allegro Barbaro” di Bela Bartok (il quale non venne citato nella prima edizione in vinile, ma solo molti anni dopo nella ristampa in cd) che suona come una carta introduttiva alla filosofia del gruppo. Inizia con un malvagio riff di Lake, in un araldo che annuncia brevemente il distorto organo di Emerson e che rende la melodia ancora più sinistra col suo effetto fuzz, una buona batteria ed eccellenti linee di basso, mentre il Barbaro dà veramente l’impressione di essere a caccia con un’ascia arrugginita, in un inseguimento reso magnificamente da questa melodia tortuosa.Take a Pebble” nasce invece come un brano acustico di Lake accompagnato da Emerson, che trascina un plettro sulle corde di un pianoforte portando la musica ad un livello più sofisticato, quasi a flirtare con il free jazz e George Gershwin, mentre Palmer sostiene lo spettacolo con delicata precisione. Questa canzone dura 12 minuti ed è sicuramente molto pretenziosa, ma nella sua complessità risulta comunque travolgente, soprattutto perché il senso di riflessività che rimane costante dall’inizio alla fine aiuta il trio a costruire una sorta di complicità con l’ascoltatore: i passaggi di pianoforte di Emerson si snodano come un ruscello fluente, si sentono i “sassi” cadere con la batteria morbida di Palmer e Lake dona una freddezza quasi mistica, la cui calma è completamente gettata fuori dalla finestra col successivo, “Knife-Edge“, un brano molto forte con linee di tastiera pesanti, percussioni e basso: un ensemble paradigmatico del triumvirato ELP, dove aggressività e raffinatezza si nutrono dalla stessa fonte sonora. Il suo lirismo è molto orecchiabile e l’aggiunta di interludi strumentali tra le sezioni vocali dà alla canzone una sorta di ciclicità. Il gruppo ha sempre avuto un talento formidabile nell’adattare il pezzo classico ai propri disegni musicali: qui vi è un’interpretazione del primo movimento (Allegretto) della “Sinfonietta Opus 60” di Leos Janáček, con l’aggiunta del canto docile di Lake ed una breve citazione del Concerto italiano di Bach. La tastiera di Emerson suona a tratti come un organo di chiesa manomesso in modalità funky, ed anche il testo risulta alquanto maniacale e buio: qui forse per similitudine stilistica spicca maggiormente Palmer coi suoi Atomic Rooster di “Tomorrow night”.

The Three Fates è una vetrina per il virtuosismo e la passione di Emerson, che visualizza i suoi motivi su una mini-suite divisa in tre sezioni, ognuna col nome di una parca: “Clotho“, la più giovane di queste e associata alla nascita, si plasma attraverso un impressionante soliloquio dell’organo a canne, in un’ecclesiastica texture musicale. Poi il piano sostituisce l’organo per “Lachesis – colei che decide il fato – in una melodia di ispirazione nettamente classica che vaga piacevolmente nelle orecchie; parte di questo intermezzo suona un un po’ come Rachmaninov nei momenti in cui Emerson accelera, impregnato però dal dramma romantico di Scriabin. Dopo un altro scoppio di organo, otteniamo un riff di pianoforte deliziosamente discordante che si accumula con il basso e la batteria in una sezione affascinante e completa di dispositivi minimalisti alla maniera di Steve Reich, con uno strano rumore di un serpente a sonagli provieniente dal vaso ritmico di un incantato Emerson. Atropos” è invece la parca più anziana, colei che non si può evitare (ovviamente la morte, non la suocera!) e viene decantata con un delicato pianoforte, sostenuto da Palmer con varie percussioni. Anche in questo caso vi è una sottile nebbiolina di jazz nell’aria. Inevitabilmente Atropo taglia alla fine il filo della nostra esistenza e tutto finisce senza preavvisi, come nella vita… Bisogna sottolineare che questa suite è amalgamata in una maniera davvero egregia e le transizioni sono deliziosamente impeccabili (e quasi non si sentono).

Tank” devo ammettere che non è la mia parte preferita ma permette a Palmer di avere anche lui il suo momento di gloria: si apre con tamburi ed un assolo di clavinet per poi formare una miscela di suoni che vanno a incollarsi uno sopra all’altro. Sicuramente Lucky Man” arrotonda gli spigoli di questo “carro armato” in cui ci siamo appena imbattuti: scritta da un adolescente Lake, questa è fondamentalmente una ballata acustica con una struttura semplice, qualche armonizzazione ed un tradizionale assolo di chitarra elettrica nel mezzo. Il finale con l’assolo di moog è famoso per essere stato registrato ad album concluso: Emerson ha svelato che fu registrato “a sua insaputa“, invitato da Lake e Palmer a “mettere qualcosa” sopra la ballata; il bassista aveva invece chiesto al produttore Eddie Offord di registrare Emerson durante le prove e volle tenere l’assolo a tutti i costi così com’era, nonostante le insistenze del tastierista di tentare un miglior rifacimento (e lo stesso Robert Moog, ideatore di quel primo sintetizzatore, citò entusiasticamente questa performance come fra le più rappresentative della sua invenzione). Con questo espediente la bellezza sobria dell’idea originale è aumentata in modo esponenziale con una grande chiusura. Il testo narra di un “lucky man” che perse tutto quando partì per andare in guerra, finendo per beccarsi un proiettile e morire. Interessante notare che questa canzone fu rilasciata come singolo all’insaputa del trio, su decisione del produttore.

Greg Lake in un’intervista asserì: “Ci sono quattro aggettivi per inquadrarci. Eravamo espressivi e potenti da un lato, dinamici e romantici dall’altro. Se riascoltate le parti di piano suonate da Keith in “Take a pebble” ne avrete un esempio palpabile“.

Penso che una troika musicale così celebre non abbia bisogno di troppi commenti… Roba da museo!

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