Family – Family Entertainment

I Family furono una band dalla fulminea carriera: il loro lavoro si può considerare un ponte tra la psichedelia folk e il progressive, un ponte sotto cui scorre il fiume dell’acid rock.
I due architetti principali furono Roger Chapman, con la sua voce nera e il suo vibrato caprino, e il talentuoso Charlie Whitney alla chitarra. A completare la formazione di questo album ci furono Ric Grech al basso e al violino, Rob Townshend alla batteria e Jim King alle prese con gli strumenti a fiato e al piano.
Il nucleo originale si formò nel 1962 a Leicester, nella scuola d’arte dove King e Whitney diedero vita ai Farinas (con Harry Orvernall alla batteria e Tim Kirchin al basso), di matrice spiccatamente R&B. Dopo un cambio di line-up (con Townshend e Grech) e l’ulteriore arrivo di Roger Chapman, il produttore freak Kim Fowley li battezzò con un nuovo nome, epiteto derivante dal loro modo di vestire simile a quello dei mafiosi.

Questo fu il secondo lavoro in studio, uscito nel 1969 un anno dopo l’eccellente esordio con in Music in a Doll’s House con la copertina che riprende goliardicamente l’album Strange Days dei Doors, ottenendo un discreto successo anche presso il grande pubblico, che lo spinse fino alla sesta posizione della classifica inglese.

Il sipario si apre con “The Weaver’s Answer” e l’aria di sortita è un piccolo capolavoro dalle sonorità acid-folk, con un testo che fluttua pericolosamente tra trascendenza e follia narrando, in un crescendo rossiniano, la vita di un uomo e dei suoi rammarichi. Molti si sono chiesti a cosa si riferisse “La risposta del tessitore” e lo stesso Chapman anni dopo sosterrà che questi derivava dal folklore ma anche dagli acidi, dalle favole, dagli eroi Marvel… Insomma, non era il Dio cristiano né l’Athena ellenica come molti ipotizzarono ma soltanto una creatura cosmica senza provenienza logica (o sobria, direi). La pausa strumentale nel mezzo, scandita dal sassofono di King e dalla chitarra di Whitney, è una sezione di pura magia, cosi come la capacità di Chapman di incarnare vocalmente la disperazione del vecchio. La canzone si conclude così come era iniziata, con il funesto violino di Grech che, nelle vesti inedite di Caronte, trasporta l’uomo verso l’inevitabile morte. Una curiosità: fu l’ultima canzone cantata sul palco nel 1973 nel concerto finale di Leicester, dove tutto era cominciato.
Observations from a Hill e “Hung Up Down” sono due pezzi in cui a tratti si respira aria di progressive, ma sempre velato: se la prima è un pezzo dalla linearità tutto sommato abbastanza misurata, la seconda rivela più trasformismo e momenti di imprevedibilità.
La morbida “Summer ’67” è un brano strumentale con lievi pennellate di esotismo, una suggestione di 3 minuti che ci porta a “How-Hi-the-Li“, a mio avviso l’unico pezzo sottotono di questa seconda produzione, che pur rimane un componimento intelligente (con un testo sempre attuale… Sui politici!). Le seguenti “Second Generation Woman” e “Dim” sono invece due pezzi con ingredienti simili e dai toni country: senza dubbio le canzoni più tradizionali di tutto l’album.
From Past Archives” è una dolce ballata suddivisa in diverse sezioni, in cui sono spettacolari i momenti boogie dove subentrano il sassofono di King e il violino di Grech, oltre agli sprazzi di clavicembalo quasi monteverdiani ma completamente deviati, che ci regalano sensazioni di nostalgica e calda familiarità.
Degne di nota sono le seguenti “Processions” e “Face in the Cloud: entrambe introspettive e sofisticate, dall’ossatura folk ma con brandelli di pelle esotica.
La chiudi-fila “Emotions” sembra tornare a ricordarci che i Family sono più di una semplice folk band: il vibrato di Chapman si fa più convinto, il piano è intenso, le armonizzazioni finali sembrano delle urla lontane: “When choirs sing emotions they bring. Explaining much more than few words“. E il sipario coerentemente si chiude con le campane.

L’album fu l’ultimo composto con questa formazione: King infatti lascerà la band per tossicodipendenza mentre Grech si unirà ai Blind Faith.
Si tratta di un disco difficile da descrivere… Per fare un paragone prima dell’ascolto potete aspettarvi una similitudine stilistica coi Procol Harum (ma i Family sono decisamente più raffinati) e coi Jethro Tull (ma molto meno controllati)… il tutto in un calderone di acida psichedelia con fiammate improvvise di progressive

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