Genesis – Selling England by the Pound

Citizens of Hope and Glory, time goes by – it’s the time of your life

E dunque, “cittadini di Speranza e Gloria“, non so se questo sia il momento migliore della vostra vita ma di sicuro l’era-Gabriel lo è stata per i Genesis! Quelli sì che erano tempi d’oro per il progressive, quando Collins se ne stava sullo sfondo, ingegnandosi flessibilmente alla batteria!
Questo è un disco epico e pesa più del valore dell’Inghilterra, pattuito sarcasticamente nel titolo: tra humor britannico, ascosi riferimenti letterali e perizie musicali d’insieme, quest’album rappresenta un capolavoro dalla signorilità rinascimentale.
Selling England by the Pound uscì nell’ottobre del 1973 per la Charisma, con un disegno di copertina di Betty Swanwick a cui è stato aggiunto un tosaerba, in allusione al singolo “I know what I like (in your wardrobe)“, dedicato presumibilmente a Jacob Finster, il roadie del periodo, noto ai componenti del gruppo per i suoi svariati lavori, tra cui il giardiniere. Tra percussioni orientalizzanti, il sitar elettrico e qualche parlato, il dipinto sembra prendere vita in questa canzone, sussurrando una storia di vita comune, senza pretese nè rammarichi, in una filosofia che è quella dell’accettazione (“I’m just a lawnmower – you can tell me by the way I walk“), confezionata in un album che, secondo i Genesis, ha il titolo più bello della loro produzione.

La genesi si ha con l’idilliaca “Dancing with the moonlit knight” dove l’istrionico cavaliere Peter Gabriel si personifica nella Britannia, impostando un’orazione elegantemente provocatoria: “can you tell me where my country lies?“; il canto a cappella di Gabriel, scortato poi da piano e chitarra, fa da apripista ad una canzone strumentalmente poliedrica, fino ad arrivare al primo sweep-picking di Steve Hackett e ai cori sacrali che creano un’atmosfera enigmatica, a tratti intangibile. In “Firth of fifth” l’onere dell’introduzione spetta invece a Tony Banks: inaugurata e e sepolta da un piano quasi di stampo debussyniano, incalza progressivamente in una maestosa epopea musicale; l’assolo struggente di Hackett in prossimità della chiusura è letteralmente erosivo così come l’ipnotico rullare di Collins alla batteria, ed il ricercato lirismo di Gabriel si proclama ancora una volta uno stratagemma assolutamente vincente. Curiosità: il titolo è un gioco di parole con Firth of forth, un fiume scozzese.

Dopo lo straziante blues cantato da Collins di “More Fool Me” è il momento di “The battle of epping forest”, una canzone ispirata, secondo le note di copertina, da una cronaca giornalistica inerente una battaglia tra bande rivali dell’East-End e che viene vestita da poema epico-cavalleresco tra lontane fanfare, tempi spezzati e tastiere che entrano come pugnalate al cuore. Nella breve parentesi strumentale di “After the ordeal“, composta da Steve Hackett, un lussuoso piano si accompagna alla chitarra classica che, nella seconda metà, progressivamente si evolve in elettrica, paradossalmente ammorbidendo la composizione. “The cinema show“, battezzata da Steve Hackett e Mike Rutherford sulla chitarra a 12 corde, riprende alcuni versi del poema di TS Eliot “La terra desolata“, per poi dedicarsi a Tiresia, personaggio-profeta della mitologia greca trasformato in donna; ancora una volta, come nella traccia precedente, è possibile ravvisare una prima parte più acustica e placida tra riff e zelanti flauti, ed una seconda porzione che si potenzia in un sound più animato ed elettrico. La conclusiva “Aisle of plenty” delimita i confini di questa Inghilterra venduta e commerciale riscattata dai Genesis, criticando il consumismo dei corridoi dei supermercati attraverso una ovattata ripresa del brano d’apertura, scandito dal connubio vocale Gabriel-Collins in un minuto e mezzo di flebile armonia.

Vicino a Nursery Cryme per evocazioni, Selling England by the Pound non è un album per tutti, solo per edonisti.

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