Gong – Flying Teapot (Radio Gnome Invisible, Part 1)

Prodotto da Giorgio Gomelsky, registrato ai Manor Studios di Oxford ed edito dalla Virgin nel 1973, Flying Teapot è il primo album della Trilogia del pianeta Gong: leggenda vuole che il front-man Daevid Allen abbia avuto la sua prima lisergica visione di questo corpo celeste nella Pasqua del 1966, nella quale una misteriosa emittente telepatica chiamata Radio Gnome atterrava in Tibet; una teiera volante con a bordo un folletto con un’elica in testa gli proclamava di essere stato inviato sulla Terra al fine di preparare gli umani alla vhttp://3.bp.blogspot.com/-aiBdFLhQUVU/T5rjoPoJWYI/AAAAAAAAlhM/h0XQSWQpcCw/s1600/GONG+LP+3.jpgenuta degli Pot Head Pixies nel 2032, con messaggi di fratellanza e benevolenza.

Ma facciamo un passo indietro (e anche una disintossicazione mentale dopo questo trip). L’australiano Daevid Allen era un membro fondatore dei Soft Machine, quando nel 1967 fu costretto a rimanere in Francia, dato che il suo visto era scaduto durante un tour della band: qui ha incontrato Gilly Smith, con cui ha formato i Gong assieme al sassofonista Didier Malherbe.

Dopo quattro album già all’attivo, era finalmente giunta l’ora di iniziare a stendere in musica la propria personalissima saga e c’è davvero di tutto in questa fantastica epopea galattica: space rock, influssi zappiani, arie klezmer, elettronica alla Riley, esotismo new age, jazz fusion, cacofonie orientali, uso massiccio di synth, LCD, tazze di the e sussurri erotico-psichedelici. Un gran numero di personaggi collabora al primo capitolo interplanetario, con i compagni di allora Daevid Allen e Gilli Smyth che danno voce alla narrazione, il visionario Tim Blake alle tastiere e al sintetizzzatore, il mitologico Steve Hillage (Arzachel, Khan) e Christian Tritsch alla chitarra, l’onnipresente Didier Malherbe agli strumenti a fiato, l’ex Magma Francis Moze al basso, il jazzista Laurie Allan con Rachid Houari alle percussioni (e Pip Pyle temporaneamente passato agli Hatfield & The North)… Il risultato è una depravante ipnosi!

Concettualmente la storia è introdotta sulle note di copertina da Daevid Allen: un allevatore di maiali egittologo di nome Mista T.Being compra un orecchino magico da Fred the Fish, un venditore ambulante di teiere antiche e collezionista di etichette del tè: questo orecchino è in grado di captare messaggi dal pianeta Gong grazie ad una stazione radio (Radio Gnome Invisible), così T.Being e Fred vanno in Tibet, sull’Himalaya, dove incontrano in una grotta Banana Ananda, la grande yogi della birra che gli accoglie col nobile grido di “fatevi una chiara”. Ananda si offre di cantare il “Banana Nirvana Mañana” e si ubriaca di Foster’s (in questo frangente vi è l’allegoria dell’incontro tra Daevid Allen e Gilli Smyth con Didier Malharbe). Nel frattempo il protagonista della mitologia, Zero the Hero, conduce la sua vita di tutti i giorni, quando improvvisamente ha una visione nella Charing Cross Road di Londra e va alla ricerca dei compagni d’avventura per fondare il culto del Cock Pot Pixie, CapoGnomo Pilota e primo dei Pot-head pixies a sbarcare sulla Terra. Zero viene però presto distratto da un gatto, che gli offre il suo piatto di fish and chips ma questi è in realtà la strega buona Yoni, la quale dà a Zero una pozione: con questo avvenimento si conclude il primo album della Trilogia.

La magia ha inizio con “Radio Gnome Invisible(dove “Invisible” è pronunciato alla francese!), battezzata da una cantilena strumentale, con i suoni prodotti dal glissando di Allen ed un galleggiante Tim Blake al synth.  Il tutto viene shekerato e servito con uno sciroppo jazz, grazie ad incantevoli momenti di sax ed un mood improvvisativo attorno ad un accattivante  mantra (“banana, nirvana, mañana“). Questa canzone è come un’epica in miniatura, una parabola allegorica che descrive l’incontro di Daevid Allen e Gilli Smyth col sassofonista Didier Malherbe, in una grotta a Maiorca.

Flying Teapotsi apre con sonorità siderali, dove la voce incantevole da piano-bar della Smyth lavora in simbiosi con il paesaggio sonoro delle tastiere di Blakes, creando un microcosmo etereo che si solleva dalla stratosfera. Ma è solo l’inizio: Hillage capovolge questo momento – vaudeville, spingendo la canzone verso un ritmo più accattivante (e nonostante l’ottima carriera da solista sarà sempre ricordato per questa trilogia) trasformando il tutto in una jam session di space-rock su teiere volanti, dominata dal sax di Didier Malherbe e che finisce con quello che deve essere uno dei più bizzarri assoli di batteria mai inciso su supporto vinilico. InThe Pot Head Pixies” il sax è divertente e sconnesso e gioca in un prato assieme a qualche sporadica percussione e alcuni guizzi di chitarra, mentre il modo in cui le donne vocalizzano l’ultima parte del ritornello “I am – you are – we are – crazy!” è qualcosa di memorabile; questo è un pezzo intelligentemente composto, nonostante l’apparenza semplice e simile ad alcuni brani di Camembert Electrique: un hard rock fondamentalmente jazz con una sezione di sala di musica francese nel mezzo, il tutto mitigato da degli influssi psichedelici che direi, quasi quasi, suonano barrettiani. Dopo un breve intermezzo spaziale (“The Octave Doctors & The Crystal Machine“) che introduce le entità dei giganti incaricati di proteggere il pianeta Gong (“i Dottori dell’Ottava”)  in un viaggio strumentale di synth VCS3 con pilota Tim Blake, è il momento di presentare l’equivalente gonghiano di Frodo Baggins, Zero The Hero & The Witch’s Spell. Il protagonista principale viene introdotto con qualche momento psichedelico combinato ad un tripudio di improvvisazioni jazz: il sax che segue è fratturato e demenziale e c‘è una estesa sezione surreale con gemiti spettrali graffiati da un riff raccapricciante ed ipnotico, a forma libera contro la musica, disfunzionale ai livelli più elevati. Witch’s Song / I Am Your Pussy è invece tutta dedicata al personaggio di Gilly Smyth (Shakty Yoni), un pezzo schizofrenico in grado di fornire un gran finale a questo capitolo; Smyth sussurra lasciva, tra gemiti orgasmici e risate streganti: il suo divertimento è un inquietante delirio che ti trascina a sè anche se cerchi di opporre resistenza. Se non fosse per il testo (“I am your pussy, you are my tramp, don’t want to fuck you, just ear you rap“) avrebbe potuto essere benissimo trasmessa  alla radio!

Flying Teapot è un ottimo lavoro che ben funge da introduzione a questa interstellare epopea rock, che continuò l’anno dopo nel secondo capitolo di Angel’s Egg. Attachez votre ceinture et bon vojage!

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