Guru Guru – Känguru

Anno 1972. La scena rock tedesca si era ormai lasciata alle spalle la musica schlager e si stava sforzando di cancellare l’orecchiabilità dei suoi accordi e disintegrare la facile presa delle sue ballate: piuttosto che sperimentare – come avevano fatto i musicisti alla fine degli anni Sessanta, tra suoni empirici e scenari orgiastici -, gli artisti teutonici degli inizi degli anni Settanta erano riusciti ad andare oltre, nonostante la confusione sociale di quegli anni, scalfiti dai grandi arresti della Banda Baader-Meinhof e dal Massacro di Monaco, tanto per citare due degli avvenimenti più noti.

I Guru Guru si vedevano come parte attiva della rivolta, anche se il movimento studentesco, tuttavia, ha perseguito obiettivi completamente diversi rispetto alla politica rock di molte kraut-bands dei primi anni Settanta. In una vecchia cascina dell’Odenwald, la band viveva assieme ad una serie di amici, conoscenti e musicisti, di cui il batterista Mani Neumeier era l’indiscusso guru: intorno a lui ruotava non solo tutta la musica (lo ricordiamo, inoltre, anche come l’inventore del cosiddetto tamburo “variabile” Mani-Tom), ma anche le dinamiche lisergiche di quella anarchica confraternita.5132LJeZv5L Nel giugno del 1970, il gruppo aveva rilasciato il suo album di debutto (UFO) con l’intento, dichiarato sulle note di copertina, di preparare la razza umana all’imminente sbarco di una forma d’intelligenza extraterrestre, un proclama seguito, un anno più tardi, dal secondogenito Hinten, un disco composto anch’esso da lunghi pezzi improvvisativi, da cui si scorgeva però un’inedita ironia. Con Kangaru le cose cambiarono definitivamente: nel marzo del 1972, il trio composto da Mani Neumeier  (batteria e voce), Uli Trepte (basso e voce) e Ax Gernich (chitarra) si recò per una settimana negli studi di registrazione assieme al tecnico del suono Conny Plank per produrre il terzo album, nel quale i musicisti suonarono triangolarmente una musica assurdamente meticolosa ed eccezionalmente raffinata; Kanguru (Brain, 1972) è composto dagli stessi ingredienti di Hinten (Ohr, 1971) e UFO (Ohr, 1970), ma la chitarra non è più fortemente egemone e le tracce non sono così aggressive, data soprattutto l’aggiunta di una componente umoristica e – perchè no – anche melodica, che mancavano nei precedenti lavori. Mani Neumeier rimase naturalmente il leader indiscusso di questa band, mentre Ax Genrich continuò con il suo sporco lavoro chitarristico ispirato da Jimi Hendrix (come riporta sulle note di copertina). Se il loro precedente LP era una sorta di diamante grezzo (a tratti molto approssimativo), qui la stessa gemma viene lavorata finemente anche grazie al lavoro del produttore Conny Plank che trasformò il greggio trio in un quartetto scintillante: il suo contributo alle tastiere (non accreditato) ha saputo arricchire notevolmente il suono dei Guru Guru che, attraverso l’epifania di Hinten, si erano resi conto che una mentalità politica radicale non doveva mancare di un preciso senso dell’umorismo.

La tesa “Oxymoron” si costruisce su un ritmo sordo, prendendo il via con una potente atmosfera blues distillata nel riff principale, sviluppandosi poi in un pulsante jazz-rock psichedelico. La successiva Immer Lustig” (“sempre divertente“) è il pezzo più lungo dell’album (15 minuti) ed inizia con un’introduzione circense che rapidamente si converte in una tipica composizione space-rock con alcune sezioni a mano libera solo per ricordarci che, in fin dei conti, siamo ancora in Germania; la chitarra di Genrich è una pietra miliare nell’architettura blues della band, mentre la spina dorsale delle percussioni è appannaggio del batterista hippy Mani Neumeier, che combina ritmi freak ad altre cadenze itineranti. Anche la siderale Baby Cake Walk” è strutturata in modo molto simile, ma ricorda più UFO per la sua durezza: essa apre la seconda metà dell’album, raccogliendo i fuochi d’artificio della traccia precedente, tra ritmi burlesque e crescendi selvaggi che vengono sostenuti da una irrequieta batteria abilmente sincopata. Ultima ma non meno importante, Ooga Booga“, con un testo fabbricato su queste due arcaiche parole cantate con leggerezza da Neumaier, nel mezzo di trame afrobeat e mefistofeliche chitarre, fino all‘ultima sezione più misteriosa: la visualizzazione entropica del cosmo e l’esplosione cabalistica del caos.

Con la defezione di Uli Trepte, il successivo Don’t Call Us We Call You (Atlantic, 1973) perse tutta la magia dei precedenti lavori, offrendo brani più manieristici ed internazionali, spezzando la parte di carriera propriamente tedesca dei Guru Guru ed inaugurando un lungo periodo di incertezze e precarietà d’organico.

Känguru rimane, a mio modesto parere, un apice nella storia del krautrock, un capolavoro abrasivo nel contesto degli anni Settanta e del rock sperimentale tedesco. Il suono di Guru Guru è quello di una band che, pur non scordandosi le proprie origini, mescola con saggezza le influenze dei Pink Floyd, Jimi Hendrix e Frank Zappa, restando sempre in equilibrio tra il rhythm and blues ed il più lisergico acid-rock. Kanguru è un gioiello psichedelico oscurato ai posteri dai precedenti sperimentalismi della band, tuttavia, è un album decisamente più maturo, segnato da un suono particolare e ben distinto, ancora in grado di catturare l’attenzione degli ascoltatori con il suo eclettico mix di espressioni sonore.

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