Il Volo – Il Volo

Nel 1974 finalmente anche l’Italia ebbe un suo Supergruppo blasonato: Il Volo nacque al ristorante “da Arlati”, a Milano, dove i due chitarristi e vocalist Mario Lavezzi (Flora Fauna Cemento, Camaleonti) e Alberto Radius (Formula 3) progettarono di formare un complesso che includesse alcune delle grandi personalità del rock italiano; il duo decise di contattare la sezione ritmica prediletta da Lucio Battisti, formata da Gianni Dall’Aglio (percussioni) e Roberto “Bob” Callero (basso) mentre per le tastiere si rivolse ad altri due mostri sacri, diversi ma complementari, Vince Tempera e Gabriele Lorenzi. I testi vennero invece stesi con l’ausilio del famigerato Mogol.

Registrato a marzo negli studi Fono – Roma Sound Recordings di Cologno Monzese, nel maggio del 1974 Il volo venne fatto decollare sotto etichetta Numero Uno, con la copertina evocativa dello Studio G7; non furono in pochi a storcere il naso al primo ascolto, per via dell’approccio considerato ipertecnico del gruppo che però, dietro a questa diffidenza popolare, stava letteralmente reinventando il pop italiano: se ne accorse lo stesso Lucio Battisti, che attingerà div_il volo 01ersi espedienti dei suoi ex compagni per il suo capolavoro Anima Latina.

Il carattere musicale del disco proviene dalla seconda metà degli anni Sessanta, con un flusso di Beat e psichedelia che si mischia alla riforma progressive in atto, e con le influenze dichiarate di Alberto Radius verso i Cream e Jimi Hendrix. Ci sono inoltre molte parti di mandolino elettrico, un po’ il loro marchio di fabbrica, mentre le tastiere sottilmente galleggianti fanno quasi riaffiorare Animals dei Pink Floyd; i numerosi assoli di chitarra sono impressionanti, anche senza effetti a pedale evidenti, mentre infine le percussioni risuonano molto variopinte, formando con il basso un sodalizio ritmico di grande caratura.

La vorticosa “Come una zanzara” porta con sè una tempesta tropicale di strumenti: le doppie tastiere stendono un complesso tappeto sonoro, ricucito dalla miglior sezione ritmica forse presente in Italia all’epoca (assieme a quella degli Area). In “La mia rivoluzione” merita invece la menzione un gustoso assolo di chitarra, mentre le tastiere ed il sitar avanzano in stretta relazione, miscelandosi ad una espressione forte dei sentimenti ed un testo molto significativo (“I fantasmi, la tua gente che ti chiudono la mente. Ma io, io no. Non rinuncio. Quanto azzurro nei tuoi occhi c’è! Ma dimmi è l’azzurro il colore della libertà?“).
La febbrile “Il calore umano” s’accende con tamburi tribali, colpi di synth ed un basso metallico, con il mandolino elettrico miscelato alle chitarre tra continui cambi di tempo ed un coro stritolato da un falsetto mai stuccoso o ridicolo, mentre ne Il canto della preistoria” la narrazione scorre parallela al suono della chitarra, che secerne un buon flusso di folk, col sintetizzatore che aumenta la qualità del brano. Una curiosità: questa canzone venne incisa nello stesso anno da Bruno Lauzi su 45 giri.
I primi respiri” fiata un’aria quasi da valzer, con una melodia completamente originale ed eccentrica, caratterizzata soprattutto dal mandolino elettrico di Mario Larezzi e dal sitar di Alberto Radius. La stessa potenza la ritroviamo intatta in La canzone del Nostro Tempo“, con un bell’intro di basso ed un grande lavoro di tastiera che accompagna il groove, per poi esplodere nell’oscurità più nera (“Lascia il fumo della ciminiera, lo stemma della terra è la bandiera, prendi le tue cose la tua gente, l’ha detto un’altra volta chi è importante. Non è vero che scelta non hai, puoi morire anche adesso se vuoi”). 
Vegliano infine su un placido “Sonno” una gentile chitarra acustica ed una flemmatica tastiera, mentre al suo risveglio la Sinfonia delle scarpe da tennis” apre gli occhi con l’organo e la batteria, per poi amalgamarsi al sottile clavicembalo, in un’atmosfera tardo-psichedelica che fa chiudere l’album con un suono leggermente datato. 

Giunti alla conclusione, forse vi sarete accorti che i primi cinque brani sembrano nettamente i migliori, mentre la seconda metà perde un po’ la strada di casa. Era prevista una versione inglese del disco coi testi della cantautrice Marva Jan Marrow, ma non è mai stata realizzata; esiste però un’altra edizione, uscita con la stessa copertina dell’originale, ma che all’interno contiene la scritta “versione strumentale” su fondo azzurro: si tratta di un vinile molto raro, probabilmente realizzato soltanto a scopo promozionale.

Il Volo si innalzò un’altra volta con Essere o non essere? Essere! Essere! Essere! (1975, Numero Uno), un disco meno morbido e più sperimentale, ma poi si sciolse entro l’anno.

PS: Ho scoperto recentemente, con la mia puntualità tardiva da sociopatica troglodita, che esiste un gruppetto di tre ragazzetti con lo stesso nome… Non so come funzioni la questione dei copyright, dato che il marchio dovrebbe appartenere a Mogol che battezzò la band con una delle sue metafore preferite. Veritatem dies aperit!

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