Jackson Browne – Late for the Sky

Dopo avere pubblicato due buoni album per la Asylum (Jackson Browne, 1972 e For Everymen, 1973), alla metà del 1974 Jackson Browne era al lavoro per il rilascio del terzo disco, che verrà poi celebrato alla sua uscita come uno dei migliori album di tutti gli anni Settanta. Anche se ufficialmente Late For The Sky è un’opera solista di Browne, molti ingredienti vennero inseriti dalla sua band di supporto, soprattutto dal polistrumentista David Lindley (ex Kaleidoscope), che aggiunse diverse sfumature e profondità al già evocativo sound del disco, ben presentato dall’immagine di copertina inspirata al dipinto “L’Empire des Lumieres” del surrealista René Magritte, con una fotografia originale scattata in una strada residenziale di South Pasadena dal fotografo Bob Seldemann.

Il tema principale dell’albujacksonbrowne_latefortheskym traballa sul confine sottile fra l’idealismo narcisistico della giovinezza e la rassegnata consapevolezza dell’età adulta, in otto racconti liberamente costruiti che si basano per la maggior parte del loro impatto sui loro versetti aforistici, in cui le immagini centrali (le antinomie di acqua e terra, sogno e realtà, cielo e strada), inestricabilmente si collegano in una poesia che raggiunge un’intensità quasi religiosa. Lo stile cantautorale di Browne, per quanto limitato, segue brillantemente le sue idee, evitando le armonie lamentose delle ballate californiane a favore di un folk-rock elegiaco più pulito ed eloquente, che si accumula in un pathos oracolare intorno ai motivi centrali, condotti da una voce che è moralmente convincente senza mai risultare falsa e coercitiva.

Si inizia con la sognante “Late for the Sky“, in cui Browne con pochi strumenti riesce già a toccare lo zenit, e ascoltandola non si può fare a meno di comprendere perchè Martin Scorsese abbia deciso di utilizzarla per una sequenza del suo “Taxi Driver”, due anni dopo l’uscita del disco. Lo spumeggiante rock di Fountain of Sorrow” venne invece ispirata da una breve relazione di Browne con Joni Mitchell e sviluppa i temi i paralleli del sesso e del “nulla”, guardando la fotografia ingiallita di una ex-amante (“When you see through love’s illusion, there lies the danger and your perfect lover just looks like a perfect fool, so you go running off in search of a perfect stranger“). E se Farther On” riesce ad esprimere in un’unica istanza sia la sua fragilità che la sua “resilienza”, nell’inno all’amicizia di “The Late Show” Browne si accorge di esser stato così assorbito dalla propria disperazione da essersi spesso dimenticato di ciò che è reale (“Sometimes we forget we love each other and we fight for no reason“), e così il cantautore ripensa attivamente alle sue scelte e cerca le parole per rimediare ai suoi sbagli, seduto sul suo “modello recente” di Chevrolet (quello della copertina!).

Il secondo lato del disco descrive la precarietà del viaggio, ed il senso della tragedia personale di Browne si trasforma verso la fine in una più grande apprensione sociale. Alla soleggiata “The Road and the Sky” (un classico rock della West Coast) fa da contrappeso la cupa “For a Dancer” che, a dispetto dell’innocente titolo, è una ballata con le ossa rotte dedicata ad un amico morto in giovane età, che si rifà a “Song For Adam” presente sul primo album ed in cui le tastiere di Jai Winding ed il violino di David Lindley remano nel loro tango contro la voce sbattuta di Jackson Browne: “I don’t know what happens when people die, can’t seem to grasp it as hard as I try. It’s like a song I can hear playing right in my ear but I can’t sing, I can’t help listening“. Alla piacevole ma dimenticabile “Walking Slow” segue in ultima istanza l’inno anti-nucleare di “Before the Deluge” che riunisce in una epigrafe sociale tutti i temi dell’album in una marcia a tre voci – Browne, il violino e ed il coro di Lindley -, evocando il malessere spirituale del dopo Woodstock e chiudendo consapevolmente le porte ai sogni di un’intera generazione, non senza l’ombra del rimpianto ad oscurare la visuale.

In  Late for the Sky Jackson Browne guarda verso tutti noi come un padre apprensivo, notando l’amore che si addormenta sui nostri cuori mentre la chitarra ed il violino di Lindley piangono dolcemente: questo terzo disco è un’opera sicuramente più tentacolare e matura rispetto ai suoi precedenti lavori, in cui Browne ha saputo cantare con grande intelligenza alcune delle vicende che hanno toccato chiunque nel corso della propria esistenza, e lo ha fatto tramite un coinvolgimento spontaneo e sincero, lontano dai soliti patetici clichè. Due anni dopo l’uscita di Late for the Sky, la moglie di Browne (Phyllis Major) morì tragicamente per un’overdose, e la sua musica assunse tonalità più scure in The Pretender (1976) ma questo disco aveva di fatto già forgiato il suo percorso, lasciando dietro di sè le rovine di una società che non sapeva più dove andare.

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