Johnny Winter – Johnny Winter

Archetipo esile ed albino del guitar-hero maledetto, il texano Johnny Winter inizió sin dalla giovane età a suonare con il fratello Edgar, con cui a 15 anni aveva già formato la sua prima band, Johnny and the Jammers. John Dawson Winter III nacque a Beaumont nel 1944 e trascorse i suoi anni formativi imparando a suonare vari strumenti (tra cui il clarinetto e l’ukulele) fino a quando scoprì il rock’n’ roll ed il blues alla radio: a 12 anni il suo bisnonno gli comprò allora la sua prima chitarra, una Gibson. Nel frattempo, raggiunti i 17 anni i due fratelli non persero l’occasione di vedere B.B. King in un concerto a Beaumont, unici bianchi (entrambi albini!) in tutto il pubblico: in questa occasione Johnny convinse il suo idolo a fargli suonare la sua chitarra, guadagnandosi un fragoroso applauso dalla platea. Con Tommy Shannon e John Turnet, Johnny si trasferì in seguito a New York, accompagnando vari bluesmen locali fino a quando il manager Steve Paul (titolare di un celebre club della Grande Mela, The Scene) decise di presentarlo alla Columbia, che nel 1968 per metterlo sotto contratto non badò a spese, offrendogli un anticipo faraonico di 600.000 dollari. L’anno dopo Johnny Winter partecipò al festival di Woodstock, suonando nella terza giornata del 17 agosto con i suoi Progressive Blues Experiment, la stessa formazione che accompagnò Johnny Winter (chitarre, armonica, voce) in questo album, edito dalla Columbia nel giugno del 1969: Tommy Shannon (basso – futuro Double Trouble con Steve Ray Vaughan), “Uncle” John Turner (percussioni); partecipano anche due grandi vecchi del blues come Willie Dixon (contrabbasso) e Walter Shakey Horton (armonica), con il fratello Edgar Winter (sassofono contralto, pianoforte), Karl Garin (tromba), A. Wynn Butler (sassofono tenore), Stephen Ralph Sefsik (sassofono contralto), Norman Ray (sassofono baritono) e Carrie Hossell, Peggy Bowers e Elsie Senter ai cori.

Questo album usjohnny_winter_-_johnny_winter-front-1cì in contemporanea al suo debutto di successo The Experiment Progressive Blues ed un paio di mesi prima della sua apparizione al Festival di Woodstock: in questo lavoro, Johnny alterna spinte esuberanti a riff più naturali, che si ritrovano a dialogare con i suoi fraseggi di chitarra e con le sue interiezioni vocali spontaneeMusicalmente, il disco appare simile al suo debutto ufficiale, nel senso che contiene dosi generose di blues elettrico ed acustico, prelevate direttamente dai capolavori del genere, tuttavia ciò che separa questo album dal resto della produzione di Winter, è che esso sia stato avvolto da un involucro hard-rock, nonostante l’anima più purista del blues sia comunque palpabile. 

L’elettricità texana di “I‘m Yours and I’m Hers” apre il disco, con un bel riff funky che tiene alta la carica per tutta la durata della traccia. La seguente “Be Careful with a Fool” è rispolverata dal repertorio del compianto B.B. King, con dei toni Southern Rock a cui Johnny aggiunge il suo tocco personale con una certa granulosità, percepibile anche nella secca ed agre “Dallas“, un pezzo del proprio conio, anche se avrebbe potuto passare benissimo per un Missisipipi Blues: sfregiata da una slide alla Elmore James, ispirata all’accordatura aperta di Robert Johnson e dalle lezioni del Delta Blues, essa paga pure un debito alla leggenda texana Blind Lemon Jefferson… probabilmente è il pezzo più forte del disco. 

Big Walter Horton con la sua armonica brilla invece su “Mean Mistreater“, cover di un originale di James Gordon, che dispone peraltro di un altro titano dello stile di Chicago, il contrabbassista Willie Dixon. Continua l’escursione fluviale “Leland, Mississippi Blues“, altra canzone dalla penna di Winter, con la sua chitarra che segue la sua ruvida linea vocale. “Good Morning Little School Girl” va ad omaggiare un altro colosso, Sonny Boy Williamson, tra sax e trombe in veste “urban” collaudate dal contributo del fratello Edgar ad evocare l’angoscia in modo piuttosto vivace.

La scheletrica “When You Got a Good Friend” proviene invece dal portfolio sonoro di Robert Johnson ed è una delle sue canzoni più conosciute, già oggetto di svariate cover anche da parte di Eric Clapton; Johnny Winter fa un ottimo lavoro mantenendo l’emotività della versione originale ed aggiungendo il suo personale contributo con alcuni eccellenti passaggi della chitarra slide, sottolineati dalla sua voce che è al tempo stesso riverente e profondamente soul, anche se di tanto in tanto si sentono ancora un paio di spigoli da appianare – ma bisogna dire che questa ingenuinità vocale rende il tutto ancora più affascinante ed autentico.

Altra cover, questa volta di Henry Glover, è “I’ll Drown in My Tears” col significativo apporto del fratello Edgar al pianoforte ed una forte influenza della versione di Ray Charles. Nonostante risulti leggermente fuori bolla rispetto allo stile lineare del resto del disco, la produzione che è stato fatta da Winter stesso con l’aiuto del grande Eddie Kramer la adatta perfettamente al mood complessivo dell’album, con la band allargata in diverse armonie vocali ed una sezione di fiati nutrita da ben quattro uomini.

Il lento bruciare di “Back Door Friend” chiude le porte ritornando alle origini texane, con la canzone acustica e cruda di Lightnin’ Hopkins che viene trasformata in un brano sporco ed elettrico: un altro ottimo esempio della capacità di Winter di coprire tutti i sottogeneri del blues e di reinterpretare le canzoni dei maestri senza manieristicamente ricalcarle, ma omaggiandole con sincero rispetto.

Dopo questo disco meritano una menzione il capolavoro Second Winter (Columbia, 1969), dove il power trio dell’esordio si amplia in un quartetto con il fratello Edgar alle tastiere e al clavicembalo, il live di Johnny Winter And (Columbia, 1971) confezionato in un rock più duro e grezzo, e Nothin’ but the Blues (Blue Sky, 1977), che interrompe la precedente virata verso l’hard rock come si evince dal titolo, per un ritorno ai suoni più puri del blues. Tra produzioni di Muddy Waters, la scoperta dell’eroina, importanti collaborazioni, il flirt con Janis Joplin e nuovi rilasci discografici, Johnny Winter arrivò agli anni Ottanta pulito e con ancora molte cose da dire, salvo poi ritirarsi gradualmente nel decennio successivo per ripetuti problemi di salute. Ormai quasi cieco, venne trovato morto nella sua stanza d’albergo vicino a Zurigo la sera del 16 luglio 2014, a 70 anni: così se ne andò in sordina colui che il Rolling Stone definì “la cosa migliore del Texas dopo Janis Joplin”.

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