Jumbo – Vietato ai minori di 18 anni?

E’ con una punta di emozione che mi accingo a stendere le seguenti righe, su un album che, per me, ha un grande valore.

Registrato per la Philips nel 1972 presso i milanesi Studi Phonogram, Vietato ai minori di 18 anni? è il terzo album in studio per i Jumbo (dopo il primo omonimo e DNA); il lavoro di questa innovativa e misconosciuta band si basa su un mix ardente di sensibilità folk e blues-rock, in un’amalgama di generi e strumenti diversi che forniscono l’essenza progressive allo stile musicale del gruppo. Il nome “Jumbo” all’inizio designava unicamente il cantante Alvaro Fella ma dopo un paio di 45 giri da solista, con la pubblicazione del primo album la sigla venne estesa all’intera band, formata contattando vecchi amici: il chitarrista Daniele Bianchini, il tastierista Sergio Conte, il polistrumentista Dario Guidotti, il batterista Vito Balzano ed il bassista Aldo Gargano.

L’inizio è forte: “Specchio” parte col botto e senza troppi giri di parole con un’imbarazzante “avevo sette anni quella volta che in colonia bagnai il letto, mi fecero percorrere il lungo corridoio che portava alle docce tirandomi per le orecchie, schernito da tutti. Ero nudo“. Prosegue poi vorticosamente mettendoci sempre più a disagio, fino allo sconcertante finale “Ed ora non ho il coraggio di cercarmi una donna mia son sicuro che mi prenderebbe in giro e non saprei sopportarlo, continuo a masturbarmi e son sicuro non avrò mai un figlio“. Ma la voce di Alvaro Fella in tutta questa scomoda confessione rimane sempre forte e convinta, tra le più credibili della scena prog italiana. La chitarra di Daniele Bianchini emette un suono sporco, a tratti increscioso mentre Dario Guidotti e Sergio Conte, tra fiati e percussioni, completano un quadro di disagevole e claustrofobica cacofonia.

Come vorrei essere uguale a te“, suona inizialmente simile alla “Déjà Vu” di Crosby, Stills, Nash & Young… ma è solo una prima impressione. Si apre dolcemente con un pianoforte che suona lontano per poi cedere il passo alla chitarra acustica e a quella elettrica: sul ritmo incostante del nuovo arrivato Tullio Granatello, Alvaro Fella canta con un timbro sempre più sporco fino all’esplosione della rassegnazione, tra percussioni e sax.

Alla breve “Il ritorno del signor K” (un sequel di un pezzo del loro album precedente, DNA, quasi in stile Gentle Giant) fa seguito la fosca “Via larga“, una violenta storia d’amore e prostituzione con un epilogo brutale (“hai preso coraggio e ti sei ribellata volevi finirla, cambiare la tua vita, te l’hanno impedito e tu hai minacciato. Ed ora sei lì in quella pozza di sangue, hiai gli occhi ancora sbarrati dal terrore”) in cui è interessante il lavoro di Tullio Granatello alla batteria, che detta un ritmo a tratti davvero nefasto. La mastodontica e funesta “Gil” è invece una jam registrata coi tastieristi Franco Battiato e Angelo Vaggi – tra campane e synth – e con il percussionista Lino Vaccina (Aktuala): si tratta di’ un pezzo piuttosto destrutturato, avvolto in una coperta psichedelica costruita su strati di mellotron, effetti synth ed una patina di percussioni etniche, il cui tema è la tossicodipendenza.

In “Vangelo?“, se ci fossero rimasti dei dubbi, troviamo il motivo per cui i Jumbo vennero bannati dai programmi radiofonici. Dopo una presentazione tra campane e flauti, una infernale chitarra jazz si prende cura dell’ambiente in perverso stile infermieristico da Misery: i momenti in cui subentra il piano sono del tutto disarmanti, così come quei rintocchi bronzei che quasi danno i brividi, mentre il testo è decisamente crudo, diretto, senza censure “Se tutto ciò fosse vangelo noi vivremmo in un mondo di pazzi, se tutto ciò fosse vangelo il mondo sarebbe pieno di mostri“. La tossica “40 gradi è una scomoda canzone sull’alcolismo, con l’organo Hammond e una chitarra (a metà strada tra Gilmour e Krieger) che offrono istanti di heavy rock. Sulla scia di questa traccia siamo arrivati alla conclusione del disco, ed è un epilogo che non si dimentica: “No!” è una solenne canzone-manifesto sulla società degli anni Settanta (e suona ancora più attuale oggi!). Con voce graffiante Fella canta la sua filippica come un pugno sullo stomaco, senza peli sulla lingua:

Diciamo no, a ipocriti e borghesi
a chi è in mala fede
a chi non sogna che ricchezza
ai falsi venditori di parole.
Diciamo no, ai conservatori
a tutta quella gente
che vuole tutto come sta
diciamo no, diciamo no,
a chi non ci permette di parlare.
Vietato? Ahahahah!!!

Nonostante una fervida attività live, il successo commerciale non arrivò mai e dopo la pubblicazione di un altro 45 giri (“Vorrei” / “Il Re dei re del rock ‘n’ roll”, 1975) il gruppo si sciolse.

Avanti col lo scavo… E’ ora di riportare alla luce questo prezioso tesoro dimenticato!

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