Kevin Ayers – The Confessions of Dr. Dream and Other Stories

Dopo il quarto album Bananamour, le misere soddisfazioni commerciali portarono Kevin Ayers alla rescissione antizempo del contratto con la Harvest e ad un graduale disinteresse verso la scena artistica in favore del sole delle Baleari, da sempre tana del suo esilio. L’amore per le isole si convertì successivamente in un cambio di etichetta: Ayers, infatti, si trasferì alla più quotata Island, una società di solito nota per spendere molti soldi per promuovere i suoi artisti e, avendo quasi raggiunto i 29 anni in quel momento, Kevin sapKevin_Ayers_-_The_Confessions_Of_Dr_Dream_And_Other_Storieseva che era ora di fare un passo in avanti; in cambio del sostegno, Ayers avrebbe però dovuto cedere un po’ della sua libertà artistica: così, per la prima volta, l’ex Soft Machine non produrrà il suo nuovo album, lasciando l’intero compito a Rupert Hine, un fatto che si tradusse, nel complesso, in una minor ermeticità dei brani ed una maggior leggerezza pop, nonostante la solita buona qualità dei testi.

Dopo aver sciolto i Whole World, alla Island Kevin Ayers ebbe modo di chiamare alcuni grandi nomi nella sua nuova band di supporto: furono così reclutati Mike Giles dai King Crimson alla batteria, Geoffrey Richardson dai Caravan alla viola, Johnny Gustafson dai Merseaybeats al basso e l’amico Ollie Halsall dai Patto alla chitarra, con la presenza di una sfilza di numerosi ospiti, alcuni ormai abituali come il sassofonista Lol Coxhill, la “chantause” Nico, il tastierista ed ex compagno nei Soft Machine Mike Ratledge ed il neo-milionario polistrumentista Mike Oldfield, reduce dal successo planetario di Tubular Bells.

Si inizia col funky di “Day By Day“, coi cori – un po’ fastidiosi! – di Doris Troy, Rosetta Hightower e Joanne Williams, a cui fa seguito il country sarcastico di See You Later“, tra campanelli di biciclette e fischi del treno, un brano piacevole ma troppo breve per essere ricordato a lungo. Il blues sognante e gagliardo di Didn’t Feel Lonely Till I Thought Of You“, imbastito con la pirotecnica chitarra di Ollie Halsall, è uno dei brani classici del repertorio di Kevin Ayers, che da qui in avanti si trasforma in una sorta di narratore che culla l’ascoltatore con un falso senso di sicurezza tra pianoforti cadenzati, sussurri sopra le righe e gli accordi maligni dell’organo Hammond; così, dopo la struggente “Everybody’s Sometime And Some People’s All The Time Blues” le cose prendono definitivamente una piega diversa con It Begins With A Blessing/ Once I Awakened/ But It Ends With A Curse“, che è fondamentalmente una versione truccata e potenziata della sua “Why Are We Sleeping?”, presente sul primo LP dei Soft Machine: si tratta di una traccia roboante, spaventosa ma anche comica a tratti, con un losco interludio del sax di Lol Coxhill ed un organo clericale che mette infine i brividi, ma il cui sgomento viene scacciato via dalla breve ed esotica Ballbearing Blues“, col suo testo farcito della solita filosofia leggera ayersiana: ”if you don’t wear shoes,you’ll have no shoes to lose and that’s the end of the news”.
La title-track “The Confessions Of Doctor Dream” è una suite divisa in quattro parti (“Irreversible Neural Damage“, “Invitation“, “The One Chance Dance” e “Doctor Dream Theme“) che, in verità, risultano essere quattro canzoni distinte, unite a caso assieme per decisione della Island; la sezione di apertura è estremamente interessante, tra chitarre acustiche intrecciate, i suoni strani del synth, nastri manipolati, il fuzz dell’organo distorto di Mike Ratledge ed il gelo teutonico della voce di Nico; la seconda parte, interamente strumentale, alleggerisce i toni in un classico hard-rock senza pretese, mentre il terzo movimento porta alcune somiglianze al suono dei Gong, tra urla cosmiche, arcane risate e cori farneticanti, che culminano poi nell’ultima parte della suite, probabilmente la migliore, con il suo folle ritmo lento, le sue chitarre extraterrestri ed un riff finale talmente allungato e minaccioso che potrebbe perseguitare l’ascoltatore per giorni interi; tuttavia, ancora una volta, Kevin si rifiuta di lasciarci con una maledizione, e conclude il suo album con Two Goes Into Four“, una delle sue più belle ballate acustiche di sempre, una dolce ed elaborata ninna nanna che sigilla il disco delicatamente così come era stato aperto (“Life is the star trapped in my jar. Go, follow the wind, open your heart then you may start to make it better“). 

Kevin Ayers e Ollie Halsall
Kevin Ayers e Ollie Halsall

Con il successivo album in studio Sweet Deceiver (1975), Kevin era ormai succube delle sue alcoliche dipendenze e fu caratterizzato dall’inserimento prepotente di Elton John, una presenza che si tradusse di fatto nella composizione di un disco macchiato da romantiche leggerezze; anche se la storia canterburiana, secondo lo stesso Ayers, si concluse idealmente nel concerto del 1° giugno 1974 al Rainbow Theatre di Londra (messo su disco a tempo record: Ayers Cale Eno Nico, June 1st 1974, Island), The Confessions of Dr. Dream and Other è indubbiamente l’epitaffio di un periodo d’oro: proprio qui Ayers incontrò la sua anima gemella artistica, il grande chitarrista Ollie Halsall, e proprio per lo shock della morte di questi per un’overdose nel 1992, Kevin decise di ritirarsi dal mondo musicale.

Dopo alcune collaborazioni (tra cui quella con Lady June), Kevin Ayers decise di ritornare alla Harvest, con Yes We Have No Mañanas (1976) e Rainbow Take Away (1978), due dischi che contengono ancora qualche pezzo degno di nota, ma che preludono al suo ritiro francese. Negli anni Ottanta la sua attività discografica si fece sempre più rada, ma meritano una menzione speciale Still Life with Guitar (1992) e The Unfairground (2007), in cui Kevin tornò a circondarsi dei vecchi amici ma ritrovò soprattutto la voglia di condividere e cantare. Nel 2013 sopraggiunse infine l’inevitabile morte, che lo trovò a Montolieu, uno sperduto villaggio di 800 anime nel Sudest della Francia dove Ayers viveva in assoluta solitudine da ormai quindici anni: una scomparsa passata quasi inosservata, malgrado il suo lavoro discografico avrebbe dovuto splendere come quella del suo grande amico Syd Barrett. Accanto al suo letto venne curiosamente ritrovato un biglietto con scritto “You can’t shine if you don’t burn” (“Non puoi brillare se non bruci”) ma ai posteri forse sarebbe meglio dire che, in un mondo di ciechi ed ottusi, è difficile notare alcuni luci, mentre ci accingiamo a pascolare nel buio di un’ignoranza che finisce per diventare la nostra casa. E questa sorte è toccata a Kevin Ayers: un grandissimo cantautore ignorato dalla massa.

La notizia della scomparsa di Ayers venne diffusa dall’ufficio stampa di Montolieu che definì Kevin come “una brava persona, molto semplice”, ricordando come il musicista avesse lasciato una delle sue chitarre in un caffè del posto, scrivendovi sopra “Per chiunque voglia suonarla”. Un gesto semplice eppure non banale, che racchiude tutta la generosità di questo eccentrico artista: dopo più di quaranta anni di carriera, sempre in disparte ed in fuga dal mondo del business che ti ruba l’anima, Ayers avrebbe meritato di più ma, come diceva lui stesso: “I think you have to have a bit missing upstairs, or just be hungry for fame and money, to play the industry game. I’m not very good at it” (“penso che debba mancarti qualcosa in testa, o solamente essere proprio affamato di fama e denaro per far parte del gioco dell’industria musicale. Non sono molto bravo in questo”).

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