Kevin Coyne – Case History

Una delle mie più grandi paure è quella di entrare in una stanza piena di dischi di successo“.

(Kevin Coyne)

Come i primi due album di Kevin Coyne coi Siren, anche Case History (1972) uscì per la sfortunata Dandelion di John Peel: questa era un’etichetta discografica no-profit, con degli ideali quasi socialisti, fondata nel 1969 dal famoso disc-jockey dell’underground inglese e Clive Selwood, il responsabile dell’americana Elektra in Gran Bretagna.

Ma facciamo un passo indietro: innanzitutto, chi era Kevin Coyne? D’origine gallese ma nato e cresciuto a Derby, nella prima metà degli anni Sessanta il giovane cantautore incontrò Nick Cudworth presso la Derby School of Art, iniziando a scoprire le magie del blues americano, come stavano facendo molti altri ragazzi in quegli anni. Assieme a David Clague (ex-chitarrista della Bonzo Dog Doo-Dah Band), Cudworth ed altri ambigui personaggi di passaggio (tra cui un conduttore di autobus improvvisatosi batterista), Coyne registrò un demo di canzoni che attirarono l’attenzione di Mike Vernon della Blue Horizon Records, ma che alla fine caddero nelle mani da Re Mida di John Peel, che fece registrare rapidamente due singoli alla band, pubblicati nella fretta sotto l’errato nome “Clague”: si dice che uno dei questi, comprendente “The Stride – I Wonder Where”, divenne addirittura uno dei preferiti di Peel che lo inserì nella sua “Record Box” contenente 143 singoli che dovevano essere salvati in caso di emergenza. Successivamente, dopo essersi correttamente rinominato in Sirens, il gruppo registró l’LP di debutto omonimo nel 1969, a cui fece seguito Strange Locomotion nel 1971, entrambi rilasciati per la Dandelion Records: si tratta di due album infarciti di blues-rock e conditi dai contenuti poetico-sociali di Coyne, con una manciata di pezzi smontati e denudati ad arte in un semplice preparato folk per meglio mettere a fuoco le qualità di cantautore di Kevin. Dal 1971, nonostante il rispetto che si guadagnarono fra i giovani, i Sirens dimostrarono di essere poco attraenti per il mercato di massa e le tensioni portarono la band all’inevitabile scioglimento: così, in quello stesso anno, a cavallo tra la sacralità di Blind Willie Johnson e l’irriverenza di Captain Beefheart, Case History venne alla luce molto rapidamente, in sole quattro ore in un piccolo studio a Wimbledon, una vecchia chiesa o qualcosa di simile“, per venire poi rilasciato con la copertina disegnata dallo stesso Coyne.

Per rispondere alla domanda pos1365276169_500coverta in precedenza: Kevin Coyne era fondamentalmente un diverso. In possesso di un eccentrico muggito vocale e dei testi pieni di cinismo verso la società, scritti con un’intelligenza innegabile e iniettati di qualche malessere arcano dell’inconscio collettivo, la sua musica pare centrifugare un blues acustico con una piccola dose di psichedelia e country che ancora permeavano gran parte della musica rock dell’epoca. 

Due personaggi mi vengono in mente, quando penso a Kevin Coyne: uno è sicuramente Theodore Gericault ed i suoi ritratti fisiognomici degli “alienati monomaniacali”; l’altro è Charles Bukowski: proprio come “Hank”, anche Coyne fu un outsider della società, che dava voce alle emozioni degli emarginati, degli alcolisti, dei maniaci: il suo traverso Weltanschauung sfida l’ascoltatore a mettersi in una prospettiva scomoda, a vedere il mondo da un’angolazione che ferisce ma che porta, allo stesso tempo, a riflettere ad alta voce sui mali che quotidianamente ci circondano e ci fanno sprofondare nell’oblio; naturalmente, una grande influenza ebbe nei suoi testi il lavoro che Kevin svolgeva come assistente sociale in un ospedale psichiatrico, per pagarsi le bollette e crescere i suoi due figli. 

Si inizia subito con il cinismo abissale di “God Bless the Bride“, una traccia folk riservata ma anche intimamente maligna, in cui Coyne sputa veleno su un vecchio amore, in una formula ben lontana dal convenzionale “spero che siate felici”: via tutte le falsità e le ipocrisie formali, questa canzone è tutt’altro che una benedizione alla sposa! La successiva White Horse” avanza in un fingerpicking contemplativo con alcune belle immagini che mascherano l’alcolismo crescente di Coyne in una visione onirica dai toni sommessi, con David Clauge e Nick Cudworth dei Siren in accompagnamento al loro vecchio leader. La sbraitante “Uggy’s Song” prende ispirazione dalla storia vera di un barbone che venne assassinato dalla polizia nel 1971 per dare vita ad una litania blues in cui la chitarra sembra inciampare sui pensieri dell’uomo, espressi vocalmente dal “muggito” canoro di Coyne. Dopo lo struggimento solitario di “Need Somebody“, è il momento del blues psichedelico e scettico di “Evil Island Home“, la rappresentazione della Patria inglese dove, tra uccelli bianchi in picchiata su una spiaggia ed una montagna la cui neve si sta sciogliendo, il male cresce come l’edera e Coyne non può esimersi dal commentare  preoccupato: “I want to fly but they’ve taken my wings away, I want to run but I know I have to stayLa primordiale “Araby” col suo incalzante country ed il suo ritornello in falsetto porta direttamente al manifesto degli intenti di Coyne espresso in My Message to the People“, una canzone spietata nella sua docile ironia (don’t tie me to your steeple, don’t put me in the stocks in your market square“) e cantata con una dolcezza che porta in sé il seme del paradosso: una dichiarazione mostruosamente onesta, uno dei più intensi inni psico-sociali di sempre. Il successivo “Mad Boy” è l’istantanea sarcastica di una diagnosi di malattia mentale (Fetch the doctor, the doctor’s done his job, put him out to grass in the park, put him out, no more trouble, no more difficulties with his mother“) condotta da un country-blues sporco e graffiante, con una chitarra che si trascina faticosamente nella mente folle del “Mad Boy”. I vecchi compagni di Kevin ritornano per l’ultimo brano del disco, l’assillante “Sand All Yellow“, in cui Coyne impersona grottescamente un raccapricciante medico “di pillola larga” cantando a due voci anche nelle vesti del paziente (The next patient, Miss Faversham, is someone we know very well. We saw her out in the garden with the flowers and she was crying but she needs help and I’ve told her to come to the top floor where I reside and sit amongst the magazines the Novas and the Woman’s Owns“), tra riferimenti a popolari riviste femminili del periodo ed un pianoforte ossessivo che precipita nel baratro del Super-io.

Nonostante sia stato realizzato senza grandi pretese commerciali, Case History è probabilmente la più autentica rappresentazione di Kevin Coyne, anche se lontano dalla perfezione di Marjory Razorbladepubblicato dalla Virgin Records nel 1973, etichetta a cui il cantautore approdò soprattutto grazie alle critiche musicali che parlavano di grandi affinità con Syd Barrett e Captain Beefheart: un contratto siglato appena in tempo per garantire a Coyne di uscire dal declino fallimentare della Dandelion.

Che altro dire? Kevin Coyne o si odia o si ama: un’onestà così viscerale non può lasciare indifferenti.
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