Le Orme – Collage

Dopo Ad Gloriam, Collage è il secondo lavoro in studio per il redivivo trio composto da Aldo Tagliapietra (voce, chitarra, basso), Toni Pagliuca (tastiere) e Michi Dei Rossi (batteria). Le Orme, dopo il ritiro “spirituale” in una baita a San Boldo, cambiarono decisamente il profilo della loro impronta (perdonate il gioco di parole!), lasciando dietro di sè le influenze della musica beat e spingendosi maggiormente nelle strade del pop-prog inglese (grazie anche ad un viaggio oltre-manica di Pagliuca col fotografo Armando Gallo).

La copertina è abbastanza curiosa: il terzetto, in posa scomposta con un incarnato marmoreo, è ritratto davanti ad un cimitero sconsacrato alle porte di Milano. Gli sguardi austeri di Aldo Tagliapietra e di Tony Pagliuca fissano dritto l’obiettivo, mentre Michi Dei Rossi, in primo piano, rivolge un sorriso sornione verso l’orizzonte, stringendo al petto una croce. Fedelmente alla loro “forma mentis” enunciata da questa presentazione visiva, i testi contenuti in “Collage” risultano paragonabili all’espressione di Michi: poetici ed enigmatici nello stesso istante, classicamente eterei ma con un abbozzo di misticismo dietro ad una nivea e canonica apparenza.

Il papier collè ha inizio con “Collage“, un inno prog-barocco ispirato alla Sonata K380 in MiM di Domenico Scarlatti; si inizia con un attacco potente di organo Hammond, presto sostenuto da un vivace ritmo di marcia, fra cui spicca un segmento di affascinante clavicembalo; potenti linee di basso e di batteria ci accompagnano in una sezione centrale che risulta più morbida: si tratta di una singolare pista che è diventata una sorta di marchio di fabbrica della band. Abbiamo qui un chiaro esempio di proto-progressive in Italia: un brano che ben si comporta come una scheda d’introduzione all’album nel suo insieme e le prospettive disegnate sono più che buone.

Una chitarra acustica introduce la traccia successiva, “Era inverno“, una spinosa e travagliata storia d’amore tra un giovane ed una prostituta “Sempre bella sorridente, un’ attrice che non cambia scena. Diecimila, ventimila, nelle mani del cliente che possiede la tua finta gioia“. In “Cemento armato si comincia con una deflagrazione disperata di dolore: solo voce e pianoforte dominano inizialmente una scena claustrofobica e senza uscite di emergenza. In seguito l’atmosfera sinfonica verrà sostituita da una sorta di aria fusion, con tamburi ed organo che dipingono in secondo piano senza mai staccare il pennello dalla tela, interrotti soltanto da un bel intercedere di basso. A gran voce Tagliapietra porta in musica la triste vita nelle moderne metropoli, dove “ci son più sirene nell’aria che canti di usignoli, è meglio fuggire e non tornare più“. La sezione strumentale è complessa e frenetica e si può quasi percepire l’aria opprimente di una città febbrile ed inquinata. Alla fine la tensione svanisce, ma è un epilogo acquiescente: “cemento armato la grande città, senti la vita che se ne va“.

La celeberrima “Sguardo verso il cielo” è un altro classico dove il tema è “la gioia di cantare, la voglia di suonare, il senso di raggiungere quello che non hai”. Un brano impalpabile, colmo di speranza ed energia positiva, quasi una preghiera laica stesa su un’orchestrazione che si fa prog nelle tastiere incessanti di Pagliuca, pur recando ancora echi – forse intenzionali – del passato. Il supporto è perfetto per la voce, a tratti da crooner, di Aldo Tagliapietra: la canzone d’autore ha raggiunto qui la sua evoluzione in soli pochi minuti. Evasione Totale” è una lunga composizione strumentale dove i membri della band possono mostrare la loro destrezza musicale. Si comincia dolcemente con dei suoni spaziali e, dopo una sezione centrale caotica e improvvisata con un organo clericale ed un battito che suona vagamente jazz, il basso riorganizza il caos nel finale e sembra frenare per un momento quest’elusione. Un pezzo, a mio avviso, forse troppo pretenzioso e sfocato ed infatti il risultato finale non è dei più convincenti. 

Le ultime due tracce sono dei peculiari inni all’amore. “Immagini evoca istantanee naturali, abbinate all’assenza della propria donna in un pezzo che, guidato dall’organo, imprime su un dagherrotipo una vago sensore di solipsistica psichedelia (“Un cipresso nel deserto, tutti i prati color viola e lei non c’è“). Morte Di Un Fiore” inizia diversamente con la chitarra acustica, per poi far spazio all’organo e al pianoforte che apportano una sensazione di elegiaca malinconia. Il testo descrive la morte di una giovane prostituta (“Hanno scritto che per te la musica è finita tra le quattro e le cinque del mattino“) in un torrente di suoni diversi in grado di incantare l’ascoltatore in questa atipica love-story.

Nel 1971 il settimanale “Ciao 2001″ recensiva così questo disco:

Collage” premia gli sforzi di uno di quei gruppi nostri che fin dall’inizio hanno cercato strade nuove, handicappati tuttavia dalla necessità dei 45 giri commerciali, e dall’imitazione straniera fin troppo evidente. Anche qui i modelli stranieri sono facilmente lievabili: i Traffic in alcune linee melodiche di vago sapore folk (Stevie Winwood ha influenzato sempre da vicino la produzione dei Toni Pagliuca); e Keith Emerson, la cui recente esplosione ha incoraggiato l’organista italiano in quel discorso di riaggancio al classico già suo da tempo. Certe affinità espressive, la formazione triangolare (organo e piano, basso e chitarra acustica e canto, batteria e percussioni), l’uso temperato dell’elettronica, senza esagerato effettismo o sapore scenico, avvicinano le Orme a quello che viene oggi definito il più preparato gruppo inglese, gli ELP. C’è però nello stesso tempo un lavoro di assimilazione personale da parte del trio italiano, per cui Pagliuca, Aldo Tagliapietra e Micki Dei Rossi approdano ad un sound assai originale nell’attuale panorama nazionale. Nel barocchismo formale della bellissima prima facciata, come nella moderata sperimentalità della seconda, nei cantati che non tradiscono una certa impostazione prettamente italiana (ogni tano fa capolino Battisti), come nelle porzioni esclusivamente strumentali, che prevalgono, è sempre presente una linea comune, che supera l’apparente frammentarietà dell’album, e ne costituisce la spina dorsale al di là di ogni definizione stilistica.

Questo album presenta sicuramente molte novità, data anche la dichiarata ispirazione de Le Orme ai Quatermass (band progressive inglese), a cui però il trio mischia un sinfonico psych-pop. Se volessimo trovare qualcosa di simile sicuramente l’orecchio ci rimanderebbe al disco di esordio di ELP e a “Trespass” dei Genesis, ma non dimentichiamoci che siamo in Italia e l’album risulta avere ancora delle reminiscenze del Beat anni Sessanta, seppur contemporaneamente ne segni anche il superamento, con degli accorgimenti che evidenziano proprio una – timida – adesione alla scena progressive.

Dal 1971 la musica dello stivale iniziò a battere un ritmo diverso ed il merito fu anche e soprattutto di questo Collage.

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