Living Music – To Allen Ginsberg

Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate  nude isteriche,

trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa…

E mentre osservavo tutto questo pandemonio, era da parecchi mesi che pensavo di inserire questo disco nell’elenco degli album italiani che meritano una particolare menzione, ma fisicamente non riuscivo a procurarmelo. Così, nell’ultimo weekend, mentre giravo tra le bestemmie nell’isteria collettiva pre-natalizia per cercare alcuni vinili, sono quasi per caso inciampata visivamente in questo To Allen Ginsberg ad un prezzo ridicolamente basso: probabilmente, chi lo ha messo lì non era a conoscenza del suo effettivo valore, trattandosi di un disco senza alcun nome in copertina e privo di alcun riferimento spazio-temporale anche sul suo nudissimo e specularissimo retro. Buon per me: per una volta non dovrò aspettare Santa Claus sulla porta con un kalashnikov ed una carota in mano.

Uno dei dischi più originali della storia progressive italiana è sicuramente questo unico prodotto dei Living Music, un disco lontano anni luce dalle sonorità mediterranee della nostra penisola: mentre i testi sono ispirati – ovviamente – all’eroe per antonomasia della beat generation Allen Ginsberg, le musiche riflettono le eclettiche ispirazioni dei musicisti coinvolti: da un lato, l’amore per la West Coast di Andrea Carpi (chitarre, cumbus) e per le atmosfere indiane di Costantino Albini (sitar, tabla, chitarre), dall’altra le inclinazioni free-jazz dei coniugi Gianfranca Montedoro (voce) e Umberto Santucci (piano, basso, marimba).

Dopo un breve periodo di rodaggio e numerosi cambi di formazione, i Living Music approdarono alla RCA nel 1972, registrando negli studi romani della celebre etichetta il loro primo ed unico album in compagnia di numerosi ospiti, fusi assieme in un prodotto che coniuga il folk acido americano, l’esoterismo del Krautrock616zBashInL e la Library music italiana. Prendendo il loro nome ed il concetto ispiratore dal teatro sperimentale di New York, il “Living Theatre“,  il duo composto da Umberto Santucci (critico jazz, compositore e graphic designer) e sua moglie Gianfranca Montedoro (cantante jazz-rock, già parte dei Brainticket) ospitò una serie di personaggi altrettanto curiosi nella loro casa, dove esplorarono i nuovi concetti espressivi attraverso la musica e la letteratura, ricollegandosi alla poesia di Allen Ginsberg in quanto “quasi tutte le idee portanti della nuova cultura si sono incontrate nella sua persona“; elevando il sommo poeta della Beat Generation ad emblema discografico, i Living Music produssero un album che assomiglia più ad un’escursione psichedelica in acido che ad un mite capitolo di progressive italiano, snodandosi tra canti tibetani, raga indiani e jazz d’avanguardia, tutti incentrati attorno alla voce energica ed androgina di Gianfranca Montedoro.

Spiegando i motivi della lingua anglofona come veicolo di comunicazione universale, sulle note di copertina i Living Music si presentano così: “Il Living Music non è un complesso rock. Il Living Music non è un complesso nel senso stereotipo del termine, perchè se da una parte ci sono elementi costanti, dall’altra c’è sempre l’intervento di qualche altro musicista. C’è la combinazione fra generazioni diverse, culture diverse, musicisti e non musicisti. […] Il Living Music non vuole fare un genere di musica che vada sotto una sola etichetta. […] Se il risultato di tutto ciò è un gran pasticcio, non si disperano, perchè sono convinti che questa direzione ha la possibilità di rompere le barriere che dividono il jazz dal rock, la musica accademica dalla canzonetta, la cultura di èlite dalla cultura di massa. E una volta cadute queste barriere, potrà sorgere la nuova musica, o almeno una nuova comunicabilità fra musica e pubblico“.

Con queste premesse, il disco ha inizio proprio col poema simbolo di Allen Ginsberg, l’isterico e strillante “Howl“, dove nella trama ciclica di basso, chitarra elettrica e percussioni si innestano sporadicamente la tromba di Cicci Santucci ed il sax tenore di Enzo Scoppa, solo per reiterare il matrimonio già consumato tra beat generation e free-jazz. Dopo il preve interludio di “Off-On“, utile ad alleggerire l’atmosfera, si inserisce in seguito “Song“, in cui il flauto dell’ospite Rodolfo Bianchi vuole portare a galla il senso della ricerca dell’illuminazione, un percorso destinato poi a trovare la sua naturale proroga nella strumentale “OM Shri Maitreya“, un curioso mantra tibetano dai bordi tetri.

Il lato B prende avvio con “Aiku“, in cui i primi sette componimenti sono prelevati da alcuni testi giapponesi del ‘900 (Suju, Yawa e Takeji), mentre i versi finali (“Where can I find my friend“) si riferiscono all’incontro di Ginsberg e Kerouac con la dottrina Zen. Nel flemmatico folk di “Lysergic Acid” si menzionano poi i primi esperimenti con i decondizionanti psichedelici del peyote da parte di Ginsberg, un lisergico tragitto mentale che trova in “Mandala” il suo più spontaneo epilogo (“This is the work. This is the Knowledge. This is the End of man!“), con un brano che sul finale si inceppa in alcuni rumori sgradevoli che vanno a sovrapporsi al dolce suono del tanpura (uno strumento a corde indiano), esprimendo in tal modo la violenza della realtà che interviene con veemenza: ha inizio così il tumultuoso “1968“, in cui il sassofono si proclama allegoricamente vicario dell’umanità, costretto a sopravvivere da solo, circondato dalle sue stesse paranoie, incarnate dal suo avanzare con titubanza nel mezzo di petulanti percussioni. Per fortuna, in fondo al tunnel si intravede la luce: ed è proprio “Mantra” a lasciarci con un buon augurio, nel risveglio della kundalini che prende musicalmente forma.

To Allen Ginsberg è un album che copre inaspettatamente una moltitudine di stili, a volte mescolati insieme in un’unica canzone, ma per lo più divisi in entità distinte: indubbiamente, si tratta di uno dei dischi più stupefacenti e peculiari del panorama italiano di tutti i tempi… E con un titolo dedicato ad Allen Ginsberg, non poteva che essere altrimenti!

Precedente Robert Wyatt - Nothing Can Stop Us Successivo Julian Cope - World Shut Your Mouth