Matching Mole – Little Red Record

Meno di sette mesi dopo la registrazione del loro album di debutto, nel luglio del 1972 i Matching Mole entrarono negli studi di registrazione per dar vita al secondo disco, prodotto dal leggendario “Re Cremisi” Robert Fripp: curiosamente, questa volta Robert Wyatt si dedicò unicamente ai suoi esperimenti vocali e non figurò come autore in nessuna delle composizioni, un compito che spettò invece al resto della sua band, mutata dall’esordio con la sola partenza di David Sinclair verso gli Hatfield and The North e la sostituzione di questi con Dave McRae, presente nel primo LP soltanto nelle vesti di ospite; alle sessioni di registrazione partecipò al sintetizzatore anche il guru della musica elettronica ambient Brian Eno, all’apice della sua attività sperimentale in quel periodo, con la conseguenza di un avvicinamento del sound dei Matching Mole verso un jazz-fusion prevalentemente strumentale.

Parlando di quecover_3222122272009sto album, è difficile evitare di toccare lo scomodo argomento delle idee apertamente comuniste di Robert Wyatt: mentre il titolo del disco si riferisce con ironia al Libretto Rosso (Little Red Book) di Mao Tse-tung, l’immagine di copertina riprende quella che era in origine una cartolina di propaganda cinese dal titolo “We are determinated to liberate Taiwan“, con le teste dei soldati sostituite da quelle degli armati Matching Mole. Musicalmente, tutte le tracce hanno quasi la forma di una lunga suite, con una forte presenza del pianoforte elettrico di Dave McRae ed un bel equilibrio tra i passaggi strumentali e quelli vocali, con l’innesto sporadico del dialogo fra le voci di David Gale, Alfreda Benge (la futura moglie di Wyatt) e la sua amica ed attrice Julie Christie, in un trio nominatosi Der Mutter Korus.

L’aria di sortita è uno dei brani più impressionanti mai registrato da Robert Wyatt, “Starting in the Middle of the Day, We Can Drink Our Politics Away“, una sequenza semi-operistica che si erge sulle tastiere di Dave McRae e sul sintetizzatore di Brian Eno, che poi si scagliano violentemente su Marchides“, in un selvaggio e torrido jazz-rock che vira un po’ nella dissonanza nella sua sezione centrale, prima di ritrovare il lume della ragione nella parte finale. L’arabesco inquietante di Nan True’s Hole” si sviluppa su alcuni assurdi dialoghi e sulla batteria violenta di Wyatt, mentre la martellante Righteous Rhumba” prosegue la stessa strada, tra recitativi ambigui ed un organo sinistro, con Phil Miller che si lancia infine in un oscuro assolo che va quasi ad omaggiare il produttore Robert Fripp.
La semi-strumentale “Brandy as in Benj“, dedicata al roadie del gruppo, vede brillare McRae all’organo e Robert Wyatt alla batteria, mentre è di Bill McCormick l’arcana “Gloria Gloom” (un titolo escogitato dalla Benge che faceva riferimento all’imperscrutabilitá del suo volto), che si battezza come un incubo percussivo, in balia poi dell’ossessionante VCS-3 di Eno e di strane conversazioni che sconvolgono l’ascoltatore per alcuni minuti, per poi sbocciare docilmente nella sezione centrale in cui Wyatt sottolinea, se non fossero già chiare, le sue idee politiche, ovviamente senza mezzi termini: “Like so many of you I’ve got my doubts about how much to contribute to the already rich among us, how can I pretend that music is more relevant than fighting for a socialist world“. Solo verso la fine degli anni Ottanta, Wyatt uscì dal Partito Comunista, senza rinnegare le sue idee, asserendo semplicemente che “essere ex comunista sia molto più presuntuoso che essere comunista“.

Phil Miller sigilla invece la diatriba agnostica di God Song“, una ballata acustica ed alcolica indirizzata irriverentemente al Grande Capo e che, secondo Wyatt, riguarda “l’impossibilità di vivere seguendo realmente i dettami della ragione, trascorrendo perciò l’intera vita in una condizione di colpa” (“You know that I’m only joking, aren’t I? Pardon me, I’m very drunk! But I know what I’m trying to say and it’s nearly night time and we’re still alone waiting for something unknown, still waiting so throw down a stone, or something. Give us a sign, for Christ’s sake!“) La successiva “Flora Fidgit” riporta quasi alla mente le melodie jazz in miniatura degli Hatfield & the North, mentre il segnale di fumo di chiusura è un bel tema di Dave McRae, Smoke Signal“, un brano ambient dal lento sviluppo con, ancora una volta, la sorprendente batteria di Wyatt in prima linea, che lentamente muore in una cosmica agonia strumentale.

Pur essendo maggiormente coeso rispetto all’album di debutto, nel suo insieme Little Red Record manca forse di messa a fuoco, e suona più come una ricerca di identità piuttosto che come il manifesto definitivo di un gruppo, al contrario di ciò che il titolo e la copertina dell’album suggerirebbero. In seguito al famigerato incidente a casa di Lady June, a soli 27 anni Wyatt ebbe la fortuna di fuggire da una morte prematura (e per questo la necrofila storia spesso dimenticò il suo nome!), ma il cambiamento della sua condizione fisica fece sì che non potesse più dare il suo contributo stabile come batterista in una band; i Matching Mole vennero allora sciolti e la ricerca vocale di Wyatt si sviluppò nella piena libertà artistica individuale, con la sua rara capacità di coniugare la sua disperazione nei testi a musiche colme di intrinseco umorismo, incollando il tutto al suo surreale romanticismo di tempi antichi e forse mai esistiti per davvero. 

Tornando al disco, Little Red Record è consigliato a chiunque abbia apprezzato il lavoro di Miller con gli Hatfield & The North, ma per il resto, non è un album particolarmente essenziale per capire la scena di Canterbury, e certamente non è avvincente come il disco di esordio dei Matching Mole.

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