Matching Mole – Matching Mole

Tra l’ethos sperimentale di The End of an Ear ed il pathos melodico di Rock Bottom, Robert Wyatt incise il primo album con i suoi Matching Mole, ironica derivazione francese di Soft Machine (“machine molle“), riportata poi per omofonia all’origine inglese con una nuova accezione (“talpe che lottano”). Nel 1970, dopo tre album all’attivo coi Soft Machine, Robert diede i primi segni di insofferenza artistica: frustrato per la persistenza degli altri membri di ignorare le sue qualità vocali, Wyatt incise il suo primo album da solista e la CBS lo convinse a formare un nuovo gruppo per promuovere il disco; così Wyatt chiamò a sè alcuni vecchi amici: i tastieristi Dave Sinclair (dai Caravan) e Phil Miller (fratello di Steve Miller dei Caravan, dai Delivery) ed il bassista Bill McCormick (dai Quiet Sun) – la band così formata provò per circa tre mesi prima di entrare in sala di registrazione, assumendo anche il pianista jazz Dave McRae dai Nucleus come ospite, ma che meno di un mese dopo l’uscita dell’album, divenne un membro ufficiale del gruppo, dopo la prematura partenza di Sinclair.51O4gM1DprL

Registrato nel dicembre del 1971 tra sedute di incisione piene di problemi (freddo, furti, apparecchiature rotte) e rilasciato il 14 aprile del 1972 con la copertina di Alan Cracknell, l’album di debutto dei Matching Mole è un prodotto piuttosto irregolare, sostanzialmente diviso in tre sezioni: la prima sembra porre prepotentemente Wyatt e la sua voce in primo piano, la seconda è una fusione selvaggia di jazz-rock e prog-rock, mentre la terza parte è autentica sperimentazione d’avanguardia. L’album si articola in otto canzoni, di normale durata, con transizioni tuttavia abbastanza fluide che legano il tutto in un’unica “meta-composizione”, tra ampi passaggi strumentali ed il “gusto per l’assurdo” che mancava ai colleghi dei Soft Machine, e sono dominati compositivamente dalla figura di Robert Wyatt, con solo uno stop strumentale scritto interamente da Phil Miller. 

L’idilliaca apertura “O Caroline” (co-scritta con David Sinclar) è l’unica composizione melodicamente ortotossa dell’intero disco, uno splendido poema d’amore sdraiato su una morbida coperta di mellotron e steso per la ex-fidanzata di Robert Wyatt, la giornalista ed attivista Caroline Coon, una storia d’amore interrotta pochi mesi prima dal tentativo di suicidio del batterista: “If you call this sentimental crap, you’ll make me mad ‘cause you know that I would not sing about some passing fad and if my attempts at rhyming aren’t convincing to your ear, then memories betray you through the passing of the year. I love you still, Caroline, I want you still, Caroline, I need you still, Caroline” (“Non chiamarlo stupido sentimentalismo o mi farai impazzire, perchè lo sai che non canterei mai le mode passeggere e se le rime che cerco di comporre non riescono a convincerti, saranno i ricordi a tradirti a mano a mano che il tempo passa. Ti amo ancora, Caroline, ti voglio ancora, Caroline, ho ancora bisogno di te, Caroline”).
Non c’è molto tempo per asciugarsi le lacrime, perchè si passa subito alla sperimentazione vocale e volgare di “Instant Pussy“, in cui Wyatt gorgheggia sulle sue onomatopee orgasmiche sopra una placida linea di basso e l’elegiaco jazz-rock del pianoforte, il cui spirito permane nel non-sense di Signed Curtain” dove Robert, come un cronista, mima passionalmente la struttura della canzone nel momento in cui essa viene cantata (“This is the first verse and this is the chorus or parhaps it’s a bridge or just another part of this song that I’m singing“): pur nella sua stranezza, si tratta di un vero fiore all’occhiello canterburiano, un’atipica ballata dada ricca di espressioni  e sentimento, in cui Wyatt dimostra che potrebbe emozionare anche recitando soltanto l’elenco telefonico.
L’improvvisazione corrosiva di “Part Of The Dance” è l’unico brano accreditato a Phil Miller: dopo le prime tre canzoni che celebrano le diverse doti di Wyatt come cantante, l’album vira verso un rock psichedelico senza compromessi, che divampa e fuma in tutta la sua durata con sciabolate di jazz e fusion, col dominio lunatico dei tamburi e del basso. Il rovescio della medaglia si ha però con Instant Kitten“, un innocente omaggio alla sua ambigua sorella “Instant Pussy”, che si apre con una melodia vocale a cui fa seguito un intreccio morbido tra chitarra, batteria e organo, mentre la nociva Dedicated To Hugh, But You Weren’t Listening” fa ovviamente cenno a Hugh Hopper, storico compagno dei Soft Machine, dal cui album Volume Two” è ripreso il titolo della canzone (“Dedicated To You, But You Weren’t Listening”).
In coda troviamo due brani velenosi che portano la sperimentazione ai massimi livelli: Phil Miller brilla su “Beer As In Braindeer“, tra tempi dispari ed una chitarra agghiacciante, bolliti in una pentola di suoni apparentemente scollegati, che perde ogni possibile contatto con la composizione tradizionale per trovare asilo politico solo nei territori dell’avanguardia; chiude infine le danze l’angosciante Immediate Curtain“, una cosmica battuta finale affogata nel mellotron che sconta paradossalmente più debiti coi primi Tangerine Dream che coi Soft Machine.

Espulsa la rabbia e le asperità di The End of an Ear ed aumentate le dosi di rock canterburiano e free-jazz, Matching Mole è un album notevole, forse migliore del secondo Little Red Record che, anche se più coeso ed unitario, non cattura a pieno la magia che questo disco riesce spontaneamente ad offrire. Per una migliore comprensione di questo effimero periodo di Robert Wyatt nei Matching Mole, consiglio di dare un ascolto ai live di BBC Raidio 1 Live in Concert (Windsong, 1994), Smoke Signal (Cuneiform, 2001) e March (Cuneiform, 2002), tutte registrazioni postume del 1972, anno in cui le talpe smisero definitivamente di lottare, pochi mesi prima della disgrazia che segnerà per sempre la vita di Robert Wyatt.

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