May Blitz – May Blitz

I misconosciuti May Blitz si formano nel 1969 nel momento in cui il bassista Terry Poole e il batterista Keith Baker (la sezione ritmica dei Bakerloo) sciolgono la vecchia band, con Clem Clempson deciso ormai a unirsi ai Colosseum. Così, al superstite duo, si aggiunge il vocalist e chitarrista Jamie Black, ma sia Poole che Baker abbandonano il loro nuovo progetto ancora prima di entrare in studio di registrazione – Poole per suonare con Graham Bond e Baker per trovare più fama e denari con gli Uriah Heep. Rimasto solo dopo pochi mesi, Black non si fa tuttavia prendere dallo sconforto e chiama a sè il collega canadese Reid Hudson al basso e Tony Newman alla batteria (Jeff Beck, Sounds Incorporated), riformando un nuovo power-trio sul modello dei Cream. 

L’album di debutto omonimo dei May Blitz viene quindi rilasciato dalla Vertigo nel 1970, con una curiosa immagine di copertina disegnata da Tony Benyon, vignettista del New Musical Express. L’immagine rappresenta una donna dai connotati scimmieschi con un (poco) intrigante bikini, una raffigurazione che continua anche sul secondo lato, dove tra i grattacieli si erge un altro primate piuttosto raccapricciante.7f117a958a7685fd40a129e8ed7f4ef3 L’album inizia proprio con questa perplessa immagine ancora impressa in testa, convogliata nell’odissea rock e fumante di Smoking the Day Away” che, dopo un inizio moderato, si sviluppa in un animalesco blues, prima di tornare al tema principale; con la giusta combinazione di effetti delay e wah wah alle chitarre, il riff principale è un vero e proprio rullo compressore, che dà l’impressione di trascinarci in un viaggio fuori dagli ingorghi della città, in una catartica camminata attraverso la foresta per ritrovare la pace perduta (“The trees there were so friendly/ though I felt very small“). Ma proprio mentre alzando lo sguardo verso gli alberi e la luce del sole si esaminano le foglie e i loro colori screziati provando un senso di naturale appartenenza, questa effimera empatia si dissolve velocemente così come era iniziata, con il riff principale che riaffiora barbaricamente per ricordarci come il ritorno a casa sia ormai prossimo.

E se con “I Don’t Know” si torna ad un vecchio e pigro blues dai riverberi del Delta, “Dreaming” – come suggerisce il titolo – è una canzone lenta e sognante, che si apre come un lento lamento su una visione di un mondo migliore, con la chitarra acustica e i cembali che accelerano poi in una baraonda di percussioni e slide guitars. Con espliciti riferimenti a “La macchina del tempo” di H.G. Wells, i temi sono stati, ovviamente, ben connessi allo stato di coscienza sociale della fine degli anni Sessanta: una parte della società vive un’esistenza utopica, dove tutti sono uguali, ma nella realtà l’odio è tutto intorno e la tristezza si è ormai radicata dentro di ognuno (“Back in our world, hate is all around. Man was never created equal, everyone’s a clown, sadness hides amongst us“). La canzone ha, per questo, due metà e due timbri vocali distinti: la prima parte, focalizzata sulla felicità, è una meditazione sul perché il sogno non può divenire realtà e così, mentre il ritmo cambia e prende fiato, sopraggiunge l’inevitabile presa di coscienza, con la slide guitar utilizzata brillantemente per plasmare questo senso di panico e rassegnazione, che esplode poi nell’odio finale. Più rappresentativa dell’essenza hard-prog dei May Blitz è sicuramente Squeet“, anche se risale dalle sabbie mobili del funk, mentre “Tomorrow May Come” contribuisce ancora a ricalcare l’immagine di un mondo migliore, battezzandosi con un vibrafono che definisce istantaneamente l’umore di questo “sogno cosmico, di storie vere all’interno di un bagliore lontano“, risvegliato poi dalla furente “Fire Queen“, tra urla animalesche e percussioni tonanti. Chiude, infine, le porte la bisbigliata “Virgin Waters“, una flemmatica ballata sul primo amore, con la palpitante batteria di Tony Newman capace – ancora una volta – di deviare e dettare la frequenza cardiaca dell’ascoltatore.

L’album vendette molto poco e anche il successivo The 2nd of May (1971) patì la stessa sfortuna commerciale, pur cambiando gli ingredienti per un suono decisamente più duro: questo fallimento portò la band all’inevitabile scioglimento nel 1971, dopo soltanto due anni di attività. Oggi, la prima edizione di May Blitz è difficilissima da trovare ed è estremamente costosa, ma il disco è stato ristampato in vinile negli anni Novanta e Duemila, oltre che in versione cd (unicamente assieme al secondo album) dalla BGO Records. 

Se le scimmie sapessero annoiarsi, potrebbero diventare uomini“. Scriveva così, secoli fa, Goethe: una bellissima immagine – a mio avviso – dell’uomo post-moderno, perso tra televisioni in hd e (a)social networks. In tutta la durata di questo conturbante May Blitz la noia non sembra mai transitare neanche di passaggio, quindi l’immagine di copertina pare quantomeno profetica!

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