Miles Davis – Kind of Blue

Se ‘Round About Midnight (1955) e Miles Ahead (1957) sono state indubbiamente le gemme dei suoi primi anni, Kind of Blue (Columbia, 1959) si può universalmente ritenere il capolavoro di Miles Davis: morbido e lunatico, questo album è uno dei dischi più importanti del suo genere, anzi: è la definizione stessa del jazz. Il suo ambiente rilassante, le strutture ritmiche ed improvvisative intricate, ed un eccezionale cast di musicisti a supporto di Davis rendono questo lavoro perfetto per tutte le epoche. Per non parlare del fatto che Kind of Blue è stato l’album jazz più venduto di tutti i tempi, ispirando migliaia di giovani musicisti al momento della sua uscita, e continuando su questa strada ancora oggi a più di cinquant’anni dalla sua prima edizione.

La musica in oggetto è stata spesso etichettata come “cool jazz”, il che significa che essa è foalbumcoverKindOfBluertemente concentrata attorno a riff sottili, soffici improvvisazioni ed una rilassata atmosfera, uno stacco piuttosto netto dagli sforzi precedenti “hard bop” di Davis. Naturalmente, è difficile discutere di questo album senza citare l’esercito talentuoso dei musicisti coinvolti, un cast stellato che oltre a Miles Davis (tromba), comprende: John Coltrane (sax tenore), Julian “Cannonball” Adderley (sassofono contralto), Paul Chambers (contrabbasso), Jimmy Cobb (batteria), Bill Evans e Wynton Kelly (pianoforte). La sezione ritmica prevede un sacco di riff memorabili nel corso dell’album, e gli assoli di Miles Davis, John Coltrane, Julian Adderley e Bill Evans sono tra le performance più memorabili in ciascuna delle loro carriere: la chimica tra questi musicisti è sorprendentemente evidente, ancor più che su molti altri album del “principe delle tenebre”. La produzione contribuì inoltre ad evidenziare tutte le diverse sfumature delle composizioni, il che la rende una delle migliori degli anni Cinquanta (se non di sempre): Kind of Blue è per tutti questi motivi il tipo di album a cui nessuna recensione potrebbe mai fare giustizia.

Parte del fenomenale successo di questo disco e del suo status leggendario è la straordinaria facilità dei riff assassini di “So What“: un’introduzione come questa serve solo a prendere in giro l’ascoltatore, con una melodia a forma libera di contrabbasso e pianoforte che gelifica alla fine il tema principale del brano; questo è indubbiamente il brano alla base della rivoluzione modale: teorizzato da George Russell (“Lydian Chromatic Concept of Tonal Organization”) il jazz modale si propone di semplificare la sovrastruttura dell’hard bop e del bebop, liberandola dalle sue rigide regole e dalle serrate armonie: così non si parla più di successioni regolari di accordi, ma di scale modali (spesso pentatoniche) correlate in maniera polimorfa.

Freddie Freeloader” è l’unico pezzo con il contributo del pianista Wynton Kelly ed il suo stile è molto più ottimista di quella di Evans: la tromba ad un certo punto pare gridare, interrompendo il piano in modo autorevole, ma poi quel tono dispotico cede il passo ad una maniera più rilassata, almeno fino all’entrata del sassofono di Coltrane e di quello di Adderley. Ben presto il signor Freeloader rimane con le mani in tasca, e la melodia pare trasportarsi in un fumoso night club, con il sax tenore che supplica l’attenzione ed il sax alto che con timbri sensuali cerca di conciliare le loro divergenze; si torna infine al motivo di apertura che ci ricorda che il viaggio sta arrivando alla fine.
La malinconica “Blue In Green” è stata oggetto di una grande controversia, in quanto sia Davis e Evans reclamarono la paternità del pezzo: ciò che è certo è che si tratta di un capolavoro minimalista, che inizia con un pianoforte delicato ed un contrabbasso che trafigge l’anima, in un ritmo molto lento di cui il sax alto diventerà il portavoce su un ritmo di batteria atonale. 
Il classico soul di All Blues” è, invece, il pezzo più positivo tra suoni spazzolati dei tamburi, un basso funky e l’armonia degli ottoni con Cobb ed Evans che si fondono in un magistrale blues. Le melodie calde di sax e tromba spingono avanti il pezzo verso una destinazione sconosciuta, con i sax che prendono infine una dolce deviazione affievolendo la traccia nella parte finale.

L’estatica “Flamenco Sketches” termina il disco con il bellissimo assolo di Miles; basso, pianoforte e tromba regolano l’apertura di questo pezzo, ma è difficile immaginare un punto culminante quando tutto è così ispirato: un viaggio catartico che si muove attraverso le terre iberiche più aride. Nonostante manchi di una melodia unificante, questa è davvero una canzone rivoluzionaria, il cui accenno sarà poi sviluppato nel successivo album Sketches of Spain (1960, Columbia).

Si tratta di un disco che è d’obbligo ascoltare almeno una volta nella vita, anche solo per il suo significato storico: se amate il jazz e non avete mai sentito parlare di Kind of Blue, vi state perdendo qualcosa di indescrivibile, quindi vedete subito di rimediare. Se dopo averlo ascoltato non ne rimarrete impressionati… beh, vorrà dire semplicemente che non vi piace il jazz!!

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