Premiata Forneria Marconi – Storia di un Minuto

La Premiata Forneria Marconi fu uno dei pochi gruppi italiani capace di affermarsi in mercati difficili come quello inglese e americano; la loro storia ebbe inizio quando il chitarrista Franco Mussida, il batterista Franz Di Ciocco, il tastierista Flavio Premoli ed il bassista Giorgio Piazza si unirono ne I Quelli a metà degli anni Sessanta, affiancando la loro attività discografica a quella di session-men per diversi artisti, tra cui Lucio Battisti (con cui collaborarono in importanti sodalizi: “Acqua azzurra, acqua chiara”, “Mi ritorni in mente”, “Emozioni” sono solo i più famosi). Nell’estate del 1970, in seguito agli scarsi risultati commerciali del singolo di “Krel”, il quartetto accolse nella formazione il polistrumentista Mauro Pagani: dopo aver suonato nell’album La Buona Novella di Fabrizio De Andrè, la Premiata Forneria Marconi si battezzò con il nome di battaglia che la porterà alla storia, in onore di un vecchio gruppo di Pagani e di una pasticceria del bresciano, dedicandosi poi alla costruzione di un repertorio sofisticato, influenzato dai grandi nomi del progressive inglese. Nel frattempo, per ottenere la liberatoria della Ricordi, Franz Di Coccio dovette unirsi all’Equipe 84 per otto mesi, durante i quali la band fu scritturata dalla Numero Uno di Battisti e Mogol ed affidata al produttore Claudio Fabi: la prima uscita discografica avvenne col 45 giri di “Impressioni di settembre / La carrozza di Hans” nel novembre del 1971, creando una spasmodica attesa per l’uscita del primo album.

Storia di un minPremiata_Forneria_Marconi_-_Storia_di_un_Minutouto è, prima di tutto, una storia di grande sensibilità, in cui l’arte appare in maniera spontanea, con tinte e colori ben somatizzati dalla copertina di Cesare Monti e Wanda Spinelli: inizialmente disegnata da Marco Damiani, essa venne poi affidata al fotografo Cesare Monti, che in questo caso si limitò ad un ruolo di Art Director, mentre è la moglie, Wanda Spinello, ad eseguire la tela ad olio che soppianterà il lavoro di Damiani (che troverà spazio solo all’interno del disco). Il significato di questa immagine venne chiarito così da Di Coccio e Pagani: “Una persona in un solo minuto vede la sua vita come potrebbe essere e si estrania, entra in contatto con la parte scura che la opprime. In mezzo, l’albero della vita, che si divide in due rami. Quindi: da un lato la vita grigia di tutti i giorni, dall’altro la vita che potresti avere e che vedi in un minuto. L’intero disco è concepito come un testo unico, molto breve: una storia che in alcune sequenze è raccontata attraverso i testi delle canzoni, in altre rimane solamente scritta“.

Con un enorme sforzo nel centrifugare in un ossimoro la tradizionale rock a strumenti di grande raffinezza (mandoloncello, ottavino, clavicembalo), congiunti da uno spirito vocale contrappuntistico, Storia di un Minuto è un classico di ottima ispirazione, tra capricci dinamici e dialetti sinfonici, in cui spicca la prima apparizione del sintetizzatore Moog nei dischi italiani.

Il minuto scarso di “Introduzione” è un breve prologo con reminiscenze kingcrimsoniane che conduce senza indugio alla storica “Impressioni di settembre“, uno dei brani più conosciuti del repertorio italiano di sempre; il modo in cui il tema viene sviluppato contiene le caratteristiche che divennero una sorta di marchio di fabbrica della PFM: un inizio lento e tranquillo seguito da un nucleo magniloquente ed esplosivo, in cui voce, chitarre e tastiere lavorano insieme per trasmettere all’ascoltatore un viaggio astrale, in una sinfonia progressiva pastorale intrisa di atmosfere alla Moody Blues, di grande impatto emotivo; tutto questo viene condito da continue gocce di flauto dolce e da una pesante batteria, che modula alla perfezione il testo suggestivo scritto dal sempiterno Mogol, che dipinge i sentimenti di “un uomo in cerca di se stesso” in una campagna sommersa dalla nebbia settembrina. Il ritornello strumentale è molto accattivante, con il suono potente del moog in prima linea, che riporta alla mente gli esperimenti di Emerson Lake & Palmer (e secondo la band, “Lucky Man” è stata, non a caso, una fonte di ispirazione); il brano nacque da un momento di illuminazione di Franco Mussida sul divano dei genitori, mentre Franz Di Ciocco confidò che: “Impressioni di Settembre […] era la prima canzone che non aveva il classico ritornello. Mi correggo: il ritornello c’era, ma era suonato, non cantato. Quell’inciso era talmente bello che ci sembrava di non avere a disposizione lo strumento adatto per farlo. Provammo con il flauto, ma non aveva la forza evocativa, lo facemmo con la chitarra, ma era troppo normale. Mancava lo strumento… ma questo strumento esisteva. Lo avevamo sentito in un disco di Emerson Like & Palmer che si chiamava “Lucky man”. Era uno strumento dalle sonorità nuove, simili a quelle delle tastiere e dei fiati. […] Si chiamava Moog, dal nome del suo inventore ed era composto da tre oscillatori che creavano delle onde da mescolare insieme.[…] Era la prima volta che si sentiva un suono sintetico e ci entusiasmò.
Come nelle migliori fiabe, arrivò un colpo di fortuna. Incontrammo il Signor Monzino quasi per caso, alla “Mostra dello strumento” del 1971. Aveva con se un prototipo di Moog, il secondo, perché fino a quel momento lo possedeva solo Keith Emerson, che lo aveva ricevuto dal signor Moog in persona. Al solo pensarci sospiravamo di sconforto: giocavamo ad armi veramente impari. Così guardavamo estasiati il Moog dei nostri sogni – un modello portatile – convinti che fosse proprio quello che ci serviva. “Quanto costa?” chiedo a Monzino. Costava uno sfracello e mezzo. E noi uno sfracello e mezzo non ce l’avevamo. Ancora una volta riappare l’abruzzese che c’è in me e dico a Monzino: “Guarda, io penso che questo strumento potrebbe veramente dare una svolta alla musica italiana. Dallo a noi e ne venderai almeno dieci”. Non so come, ma Monzino ci diede il moog. Con il suo suono incidemmo Impressioni di Settembre. Uscì il disco e fu un botto pazzesco”.

Il banchetto di “È festa” è una sorta di frenetica tarantella rock quasi completamente strumentale, con solo una breve parte vocale (È festa, come sempre é la festa d’un leggero uccelio che va, come sempre è la festa di chi è. E tu?“). Qui gli elementi del folklore italiano si mescolano con astruse influenze classiche, tra l’uso costante del mellotron e del sintetizzatore moog, presentando molti cambiamenti di metrica in una dinamica che fa quasi venire alla mente  “Hocus Pocus” dei Focus, uscito un paio di mesi prima di questo disco. Dove… quando… (parte 1)” ha indubbiamente una delle più belle introduzioni di sempre, per poi svilupparsi in una ballata gustosa dominata dal flauto e dalle chitarre acustiche, con il cantato che aggiunge un tocco di fascino in più a questa traccia bucolica che concerne il desiderio di un uomo per la sua donna. L’ispirazione per la musica venne direttamente dal XV secolo, con la voce sussurrata che si accorda docilmente alla melodia come in un disteso madrigale: “Dove stai? Dove sei? Solo dentro me. Cosa fai? Come sei? Solo come me. Inventarti qua e là è gioco vecchio oramai: bussa già la fretta di te“. La seconda parte, Dove… quando… (parte 2)“, pare cambiare volto, denudandosi fino a divenire completamente strumentale e truccandosi di violini e pianoforti, con una musica conseguentemente più sinfonica, tra i focosi interventi del flauto che diviene lo strumento guida, accompagnando in sei minuti l’ascoltatore attraverso diversi spazi di jazz, classica, rock e folk. 

La colossale “La carrozza di Hans” è il grande momento progressive dell’album, dove tutto funziona a livello disumano, tra assoli, cambi di tempo e passaggi più ermetici che danno al pezzo, costruito intorno al lavoro di chitarra di Franco Mussida, dei contorni di livello epico, contenenti il magnifico testo di Pagani a sottolineare l’importanza del viaggio nella vita (“Cieli infiniti, vento in faccia voglia di correre e non fermarsi mai, scrivere suonare e ballare e non fermarsi mai, bruciare il proprio teatro, vestire il proprio teatro ascoltare, lavorare a dormire e non fermarsi mai. Guardarsi in giro, sentirsi il mondo negli occhi, sentirsi piccino e adorare e non fermarsi mai“). Una curiosità: il brano (nato da un viaggio in furgone da Torino a Milano) ottenne una discreta popolarità nella scena rock italiana, soprattutto grazie al fatto che venne scelto dal gruppo per partecipare al Festival di avanguardia e nuove tendenze di Viareggio, portandoli alla vittoria dell’edizione del 1971, a pari merito con Mia Martini e gli Osanna. La malinconica “Grazie davvero chiude poi l’album, giocando vocalmente con i cromatismi ed i suoni di uno stagno, evocati in una impressionante variazione dinamica e strumentale: Suona già sullo stagno, cade senza età. sui colori gioca piano, l’acqua senza età. Piove su un mondo da vivere. Piove sul giorno che qua. Piove sul tempo che arriverà“. Si tratta di un finale maestoso per uno dei più importanti album della scena progressive italiana dei primi anni Settanta e della storia in generale, presagio di alcune idee che si materializzeranno nei successivi lavori.

Data la lunga gavetta, la PFM aveva molto materiale a disposizione, un’opulenza che gli permise di pubblicare nello stesso anno il secondo album Per un amico, dedicato – si dice – all’amico Claudio Rocchi. Il grande successo del disco mise in moto Greg Lake che li presentò a Pete Sinfield (lo scrittore per antonomasia dei King Crimson) il quale decise di scrivere i testi inglesi della Premiata Forneria Marconi, riducendo la sigla del gruppo nell’acronimo PFM, più memorabile per il popolo anglofono del complicato nome originale; il singolo di “Celebration” (versione inglese di “È festa”) ebbe un notevole successo radiofonico, grazie anche al bellissimo riff di sintetizzatore che divenne il marchio di fabbrica della band, che il 26 agosto 1973 fece un altro importantissimo passo esibendosi al Reading Festival, il più importante evento rock inglese dell’epoca (condividendo il palco con i Genesis ed i Magma).

E pensare che Storia di un Minuto fu soltanto l’inizio della leggenda della Premiata Forneria Marconi.

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