Queen – A Day at the Races

A day at the Races è il quinto album in studio dei Queen, pubblicato il 10 dicembre 1976 e completamente auto-prodotto dalla band.

Get your party gown and get your pigtail down and get your heart beatin’ baby!“: Con quest’esortazione ha inizio la nostra “giornata alle corse”: questo album si sposa esteticamente al precedente A night at the opera, presentandosi però con vesti complessivamente più leggere – seppur ci sia da premettere che la pole position di “Tie your mother down“, iniziata come uno scherzo ma che presagisce il contrario e confuta spietatamente la mia tesi d’esordio: si tratta di una canzone inaugurata da un colossale Brian May capace assoggettarti a suon di assoli nella monarchia della Regina (funzionario di tale sottomissione è la sua poderosa red special).

La sostanza fondamentale di A day at the races è la medesima dell’anteriore A night at the opera: numerose molecole stilistiche vanno a comporre un sound che assume sempre di più caratteristiche peculiari; i cori qui adottano un ruolo più imperioso, dando vita in alcuni brani ad un’autentica oligarchia vocale (“Somebody to love, “Teo Torriatte e “Good old fashionable boy” in particolare mostrano smorfiose la loro carnagione gospel). Fisionomie affascinanti ritroviamo anche nel basso ammaliante di Deacon e nelle salde percussioni di Taylor che vanno a completare quel connubio perfetto di rock e arte, tratto caratteristico dei Queen.

You take my breath away è il corrispettivo inglese de “La cura” battiatiana, la love song cheA day at the Races - Queen perfino il re dei cinici non disdegnerebbe di sentirsi dedicare. Si tratta di una ballata classica, ma il merito della canzone è quello di saper creare un’atmosfera nostalgica di spessore, senza cadere nelle banalità, e qui Freddie Mercury non è eccezionale soltanto nelle parti vocali (come sempre), ma anche nel pianoforte. Un discorso simile va fatto per “Long Away“, una delle rare occasioni in cui Brian May prende il comando vocale e Somebody to love“, una delle più deliziose canzoni d’amore della storia, con innesti di blues e di gospel.
The millionaire waltz” ricompone quell’assemblaggio stilistico che abbiamo apprezzato in A night at the opera‘: di genere impossibile da schedare ma dal risultato di straordinaria armonia, dove un intermittente May scinde lo sposalizio effimero di walzer e rock, in 5 minuti di transizione attraverso melodie anacronistiche e crescendi feroci, mentre le accese White man e “Drowse” sono due possenti canzone che guardano alla specchio le canzoni fortificate dei primi album, senza mai però farli il verso; del primo componimento va sottolineato il testo di perenne attualità (“White man, don’t you give a light for the blood you’ve shed?”), del secondo va invece citato un discreto Roger Taylor alla voce che si perde in un ritmo blando.

E questi sono i Queen… Nelle famiglie reali si potrebbe dire che i secondogeniti partano sfavoriti ma quest’album non è da diseredare, è un figlio docile e di bell’aspetto. Da soffermarsi ancora una volta sulle ultime parole della regina che non sono mai incolori: “in the quiet of the night, let our candle always burn: let us never lose the lessons we have learned“.

In complesso, si tratta di un album molto piacevole, un primo indizio di come i Queen si stavano allontanavano dalla fase sperimentale per in uno stile più semplice, ma di grande efficacia.

Penso che mai un giorno alle corse possa essere così bello e redditizio.

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