Robert Wyatt – Ruth Is Stranger Than Richard

Nel 1975, dopo il suo trentesimo compleanno, Robert Wyatt iniziò a registrare ai Manor Studios il suo terzo album solista dall’ironico titolo Ruth Is Stranger Than Richard (storpiatura del detto popolare “truth is stranger than fiction“): intimidito dalla paura di non produrre un disco all’altezza di Rock Bottom ma risoluto anche a non riutilizzarne gli ingredienti, Wyatt decise di non comporre neanche un brano per il nuovo lavoro, ad eccezione di “Solar Flares”, ideata però due anni prima per il cortometraggio eponimo di Arthur Johns.

L’album si compone di due distinte metà, ciascuna col suo nome: se nel primo lato, dedicato a Ruth, prevale un blues ritemprato dal jazz degli strumenti a fiato, nel secondo, intitolato a Richard, spiccano i duetti fra il pianoforte e la fragile voce di Wyatt; pubblicato nel maggio del 1975, questo disco sfoggia la classica copertina dipinta dalla moglie di Robert, Alfreda Benge, che come sempre ha saputo sublimare la musica del marito in un’immagruth-500x500ine molto evocativa: se Rock Bottom portava con sè colori sfumati e contorni appena accennati, Ruth Is Stranger Than Richard espone con calde cromie ogni sua singola pennellata, rivelando così anche la multiforme formazione a supporto di Wyatt, composta dal “mago” Brian Eno, i sassofonisti Gary Windo e George Kahn, i bassisti Bill McCormick e John Greaves, il trombettista Mongezi Feza, il pianista Fred Frith ed il batterista Laurie Allan; a leggere questi nomi, non desta quindi stupore la divisione in due fazioni durante le sessioni di registrazione: da una parte, quella “tradizionale” capitanata dai jazzisti Gary Windo e George Khan, e dall’altra quella più avanguardistica di Brian Eno – a trovare un equilibrio ci pensarono le Strategie Oblique (che ricordiamo essere alcune carte aforistiche ideate da Eno con l’artista Peter Schmidt), smorzando i toni anche con qualche buffo episodio, come quando Bill McCormick pescò una carta con scritto “tappatevi la bocca” facendo cadere Alfreda Benge dalle risate!

Il “lato Ruth” si apre con “Soup Song“, la rivisitazione di un vecchio brano dei Wilde Flowers (la prima band di Wyatt) composto da Brian Hopper, che Robert aveva già rielaborato in un tour statunitense a supporto di Jimi Hendrix nel 1968 con il titolo “Slow Walkin’ Talk” (una versione pubblicata soltanto nel 1994 nella compilation Flotsam Jetsam) e che viene qui proposta in chiave boogie-woogie e con un nuovo testo. Il blues eccentrico di “Sonia” venne invece concepito dal trombettista africano Mongezi Feza, qui farcito dal clarinetto di Gary Windo e da una grancassa sincopata dal forte gusto esotico, mentre la buia “Team Spirit” era nella sua “archè” una composizione dei Quiet Sun di Bill McCormick e Phil Manzanera dal titolo “Frontera”, qui sfregiata dalla “pistola a raggi anti-jazz a iniezione diretta” di Brian Eno (il quale, secondo l’ex Roxy Music, fu il più bel ruolo attribuitogli sulle note di copertina di un disco) e da un accecante assolo del sax di George Khan. Nella strumentale “Song For Che” viene, infine, anche a galla il crescente impegno politico di Wyatt, che tra rullanti e fiati ripropone il brano del grandissimo contrabbassista jazz Charlie Haden (già nel quartetto di Ornette Coleman) dedicato – ovviamente – al “comandante” Ernesto Che Guevara.

Nel “lato Richard”, se gli intermezzi di “Muddy Mouse (a)” e “Muddy Mouse (b)” ricordano l’umorismo dei primi brani dei Soft Machine (ad esempio “Pataphisical Introduction” del secondo album), l’impenetrabile “Solar Flares” è invece l’unica traccia composta da Robert Wyatt, in cui la sua voce viene contrappuntata dal clarinetto di Gary Windo che raddoppia la linea del basso, fondendo le inflessioni geometriche dei Soft Machine con l’approccio più astratto dei Matching Mole. In ultima fila troviamo 5 Black Notes And 1 White Note“, che reinventa la “Barcarola” del compositore romantico Jacques Offenbach, in una versione inedita arrangiata da Wyatt ed elettrificata da Eno, mentre ai piedi di “Richard” striscia “Muddy Mouse (c) Which In Turn Leads To Muddy Mouth“, intitolata col soprannome di Wyatt (“voce fangosa”) per il suo rifarsi vocalmente al vibrato gentile di Peter Parks, all’espressionismo sonoro di Duke Ellington e all’eclettismo multirazziale degli Sly & The Family Stone, in un brano follemente minimalistico in cui Robert viene accompagnato dall’Henry Cow Fred Frith al piano.

Per qualche ragione a me sconosciuta, la versione in CD ha invertito le sequenze dei due lati, una scelta che a mio parere muta parecchio l’esperienza d’ascolto. Detto questo, nonostante col passare degli anni Wyatt finì per affezionarsi a Ruth Is Stranger Than Richard (complice anche la ristampa della Hannibal Records in cui poté finalmente levigarne i difetti), al momento della sua uscita non ne era per niente 175832912-1465a695-aa77-42b1-b495-cbd12e6e886asoddisfatto, arrivando a dichiarare perfino di essere stato orripilato dal suono della propria voce. In verità, questo terzo disco buttò nello sconforto Wyatt per una serie di motivi personali: in primis, non era ancora riuscito a superare lo shock della sua uscita forzata dai Soft Machine e, nonostante ne facesse dell’ironia, si stava ancora abituando alla sua nuova vita in carrozzina; in aggiunta a queste ferite, Wyatt dovette anche subire la perdita di colui che considerava come il suo gemello artistico, Mongezi Feza, che venne ricoverato nel dicembre del 1975 in un ospedale psichiatrico per una polmonite, finendo per morire da solo in una stanza vuota, dimenticato dal personale della struttura che si accorse soltanto dopo molte ore del suo decesso. Un disperato Wyatt cercò allora di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle sospette circostanze della morte dell’amico, appoggiato dal trombettista Dave De Fries che rivelò la totale insensibilità del personale ospedaliero verso il trombettista africano. Per tutti questi motivi, dopo il 1975 Wyatt decise di ritirarsi dalla sfera musicale per un certo periodo, iscrivendosi al Partito Comunista e dando voce ai più deboli, rompendo l’isolamento soltanto cinque anni dopo quando incise alcuni singoli.

Ruth Is Stranger Than Richard non è sicuramente il miglior album di Robert Wyatt, risentendo del periodo nero del suo autore – tuttavia, rimane un disco piacevole all’ascolto e dal fascino gentile, anche se privo di momenti di forza.

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