Rory Gallagher – Deuce

A Jimi Hendrix una volta fu chiesto come ci si sentisse ad essere il miglior chitarrista di sempre e lui risponde semplicemente: “Non lo so, andate a chiederlo a Rory Gallagher“; è ormai impossibile fargli la fatidica domanda, dato che morì nel 1995 dopo un trapianto di fegato dall’esito negativo: allora l’Irlanda pianse copiosamente il suo figliol prodigo.
Ricordo ancora quando per la prima volta mi capitò per caso tra le mani un vinile di Rory Gallagher e ascoltando “A million miles away” da quel suo superbo Irish Tour  rimasi letteralmente a bocca aperta: che sia un concerto o un album studio, la potenza è sempre la stessa e pochi cantautori riescono a incidere i brividi di una performance live su un supporto materico.
Rory Gallagher è riuscito nell’impresa, auto-eleggendosi “chitarrista per il popolo”, in complicità simbiotica con la sua poliedrica Fender Stratocaster e le registrazioni post-concerto con i compagni Gerry McAvoy al basso e Wilgar Campbell alla batteria.

Rory è un artista enciclopedico per il blues, dove nella sua opera ne vengono esplorati tutti i quartieri: la sua versatilità non ha forse eguali nella storia; carattere schivo ma estremamente autentico, Rory ha inoltre sempre insistito con gli organizzatori dei suoi concerti affinché tenessero bassi i prezzi dei biglietti delle sue esibizioni, che raramente non superavano le tre ore.

Dopo la permanenza nei Taste (con il bassista Charlie McCracker ed il batterista John Wilson) e l’uscita dell’omonimo disco di debutto solista, bastano pochi mesi per la preparazione di Deuce (1971, Atlantic) che prende repentinamente avvio con con “I’m not awake yet, dove le sovraincisioni di chitarra e l’appassionante voce di Rory danno il via ad un flamenco malinconico in chiave celtica ed elettrica.
Used to be” cambia e strappa la pagina precedente, ribaltandone nettamente la soluzione e palesando un blues duro sin dal principio; la voce di Rory si sporca ma è sempre venata di sincero sentimento. Avanzando vi è un continuo sguardo di sbieco alla tradizione con “Don’t know where I’m going, una country-song incarnata da acustica ed armonica, “Should’ve learnt my lesson” col suo blues puro di stampo-Chicago e “Out of my mind“, cantilena-folk sillabata attraverso un rapido finger picking.

I capitoli da evidenziare sono “In your town“, una delle canzoni più apprezzate dai fans e tra i cavalli di battaglia nei live con i suoi ostinati assoli e il suo blues multi-faccia ma è con “Crest of a wave che ci troviamo decisamente sulla cresta dell’onda: slide guitar, basso e batteria si rincorrono dando il via a una canzone superlativa.
Nella ristampa è presente in aggiunta “Persuasion“, dalla trama hard rock grezza che riprende i precedenti stratagemmi.

Nel 1975 i Rolling Stones scelsero Rory Gallagher per sostituire Mick Taylor, ma l’ingresso nel gruppo duró a malapena un mattino, abbandonandolo senza rimpianti dopo aver registrato un paio di demo.

Deuce è uno splendido capitolo della storia blues-rock, un paragrafo imperdibile da avere e custodire gelosamente!

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