Simon & Garfunkel – Bridge over Trouble Water

“Two steps away from the county line… just trying to keep my customers satisfied”

Così cantavano in “Keep the customer satisfied” – due passi fuori dalla contea ma altrettanti dentro la storia: Bridge Over Troubled Water (Columbia, 1970) è l’ultimo album di coloro che, agli albori, suonavano con lo pseudonimo di Tom e Jerry ma che i posteri ricorderanno semplicemente come Simon e Garfunkel. La storia del celebre duo folk inizia tra i banchi di scuola e prosegue tra perpetue rotture e ritorni (memorabili le reunion a New York e Roma); nonostante cinque album di successo, le divergenze caratteriali sono troppe: Paul Simon proseguirà la carriera musicale accogliendo in special modo le influenze africane e sudamericane mentre Art Garfunkel si dividerà tra musica e recitazione, sua passione di sempre.

La title track, “Bridge over troubled water“, viene lanciata da uno degli intro a piano più sentiti della storia e viene cantata unicamente da Garfunkel (sarà il grande rimorso di Simon non avergli dato voce). Il significato attribuitogli dalla critica è sempre stato controverso, barcollando dalla droga alla religione: semplicemente Paul Simon scrisse questa canzone per una persona in difficoltà, forse per la moglie Peggy Simon (“Sail on silver girl” può essere interpretato come un riferimento ai primi capelli bianchi). Nonostante la continua ricerca di un’accezione globale, ne rimane un componimento assai intimo e individuale: splendido l’impeto in prossimità della chiusura (particolarmente quel tamburo ottenuto in maniera poco ‘ortodossa’) che sigilla una delle più belle canzoni della storia. Ricordiamo inoltre che molte sono le cover, le più peculiari senza dubbio quelle di Johnny Cash e di un inedito Elvis Presley.

In “El condor pasa (if I could)” si respira tutta la passione di Paul Simon per i suoni etnici: si tratta di un brano del compositore peruviano Daniel Alomìa Robles tradotto da Simon in una filastrocca a flauti andini, in collaborazione con i Los Incas.
C’è spazio per l’amore, in “Cecilia“, dal cuore a pezzi al ritorno di lei: patrona dei musicisti, forse si tratta di un’allegoria dell’ispirazione artistica che va e viene; il tempo è dato ancora una volta in maniera inconsueta dal battito di cosce dei due amici, che nonostante un ordinario songwriting, si dimostrano nel contempo empirici e dilettevoli.
The boxer“, scritta a seguito delle prime critiche della stampa, è una melodia delicata e memorabile: tramite un intimo fingerpicking, si ripercorre in prima persona una storia che ricalca per certi versi quella di Paul Simon (leggenda vuole che in questa traccia ammetta di essere andato a prostitute) ma anche quella dell’America, con un “lie la lie” ripetuto fino all’esaurimento. Magica e intramontabile, sicuramente una delle più belle canzoni dell’album.
Un’altra pregevole traccia è “The only living boy in New York“, scritta da Simon per Garfunkel (impegnato cinematograficamente in Messico mentre il compagno lavorava al disco) come un’epistola velata all’amico qui chiamato con l’atavico soprannome “Tom”. Come una nube sopra il capo, la solitudine è espressa in contrasto con la ricchezza corale – si presagisce l’incombente scissione, non senza rammarico, una sensazione rimarcata e ben ravvisabile in “So long, Frank Lloyd Wright. Garfunkel aveva studiato come architetto pensando che la sua carriera musicale non potesse ottenere remunerazione e sfidò Simon a scrivere una canzone sul celebre costruttore statunitense: il verso “all of the nights we’d harmonize till dawn I never laughed so long, so long…” suggella lo sposalizio musicale con un plurimo “so long dal riverbero d’addio.

Non sono sicura sia il miglior album per cominciare ad ascoltare Simon & Garfunkel (non si inizia la lettura di un libro dall’epilogo!), tuttavia vi sono pezzi immortali e astorici degni d’esser ascoltati e soprattutto vissuti.

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