Syd Arthur – On an On

Dignitari per filiazione del suono di Canterbury, i Syd Arthur si formarono nella nota cittadina del Kent grazie all’estro dei fratelli Liam (voce, chitarra, percussioni) e Joel Magill (basso), che nel 2003 diedero vita ai Grumpy Jumper con il nipote di Kate Bush, Raven Bush (mandolino, violino, pianoforte) ed il batterista Fred Rother. Pochi mesi più tardi, il quartetto decise di mutare il proprio nome, puntando su un più evocativo Syd Arthur, la cui sigla si riferisce nel contempo al romanzo di Hermann Hesse “Siddharta”, ma anche ai debiti musicali con Syd Barrett ed Arthur Lee. 

E pensare che nel 2003, quando la band aveva appena iniziato, ancora non era a conoscenza della tradizione musicale della propria città. Poi, un giorno, capitò per caso che un amico decidesse di fargli ascoltare la collezione di dischi del padre: fu allora che i Syd Barrett capirono di non essere soli, come riferì in seguito Joe Magill: “Da quel momento abbiamo iniziato ad ascoltare solo Hatfield and the North, Caravan e tutti gli altri. Eravamo ossessionati ed è stato divertente scoprire che noi stessi,16101-on-and-on inconsapevolmente, stavamo andando in quella direzione, con le jam e le improvvisazioni. Era stupefacente pensare che quarant’anni prima quelle persone avessero fatto la stessa cosa“. Nel 2006, il quartetto decise quindi di attivarsi per la propria cittadina, organizzando un loro personale festival locale, il Lounge on the Farm, dato che Canterbury non aveva più punti di riferimento per la musica dal vivo (ad eccezione delle feste nei boschi!): nelle diverse edizioni, colsero l’opportunità per inserire nella scaletta band come i Wolf People, Arthur Brown, i Caravan ed i Gong, il cui leader Daevid Allen fu senza dubbio il catalizzatore della scena di Canterbury come la conosciamo noi oggi. Proprio nel 2006, i Syd Arthur rilasciarono il loro primo album omonimo per la Madman Records, prima di istituire un proprio spazio di registrazione nei “Wicker Studios” e la propria etichetta personale, la “Dawn Chorus Recording Company”, con la quale pubblicarono il secondo LP On an On nel luglio del 2012, prodotto dai membri della band e confezionato nell’opera d’arte del poliedrico Liam Magill.

Uno degli elementi peculiari di tutta la musica progressive sono sicuramente i testi pregni di significato ed i Syd Arthur non sono da meno: le loro sensazioni vengono, di fatto, confezionate in un impressionismo verbale che non rivela facilmente le sue intenzioni, ma in cui è tuttavia possibile cogliere il generale desiderio d’esplorazione: On an On è, prima di tutto, un viaggio ispirato non dissimile dal “Siddharta” di Hesse, guidato da una musica notevolmente fluida nel suo stile e nella sua costruzione, dotata di uno sfondo inebriante di progressive, jazz, fusion e pop psichedelico. Sebbene radicati sulle orme dei pionieri del passato, i Syd Arthur non possono essere affatto considerati come un atto di rinascita della Scena di Canterbury: i loro tempi insoliti sono mascherati da un elegante folk elettrico, che sicuramente affina le loro esplorazioni in qualcosa di più moderno ed accessibile, rispetto a gruppi maggiormente “analogici” come Soft Machine e Hatfield and the North, solo per fare un esempio. Ed infatti, dalle prime battute di “First Difference” si viene trasportati ed avvolti nel caldo della vecchia Canterbury degli anni Settanta, anche se a ben guardare ci sono stati notevoli cambiamenti negli ultimi quarant’anni: una corrente sotterranea di jazz scorre sotto all’asfalto contemporaneo, in cui il violino di Raven Bush strappa delicatamente la melodia per raschiare brutalmente sulle sue corde, mentre la musica cresce di forza e d’intensità, immergendosi dentro e fuori al muro del suono con insolita destrezza. 

E se non si riesce a rimanere immobili davanti al ritmo impellente di “Edge of the Earth“, l’estatica Ode to the Summer” pare farci riflettere per un secondo, lasciandoci inermi su un prato mentre essa raccoglie con successo la natura mutevole e tumultuosa dell’estate britannica. Al docile jazz di “Dorothy” si frappone in seguito la spigolosa Truth Seeker” con le sue turbolenze ritmiche, ma d’altronde la ricerca della Verità non è mai stato un affare facile; altrove, il violino pare non avere le medesime buone intenzioni e lo troviamo così a sfregarsi ambiguamente sulla semi-strumentale “Night Shaped Light“, in un brillante esperimento di caos controllato, nel mezzo di trame giustapposte a percussioni esoteriche che, in qualche modo, collidono in un ritmo coinvolgente, che non si arresta nemmeno con la successiva Promise Me“, anche se il risultato non è dei più indimenticabili. 
Con “Black Wave” torniamo, invece, ad un suono più pulito ed equilibrato, mentre nella granulosa Moving World” il sottotono jazz persiste ancora, sotterrato dalla durezza del mandolino e dei tempi spezzati che, nonostante l’instabilità, non interferiscono con la narrazione; sigilla, infine, il disco il compendio progressive di “Paradise Lost“, con tutta la band coinvolta in una corvee elettrica con un’esplosiva sinergia finale. 

Forse il confronto più appropriato per l’orecchio sarebbe quello con gli acquarelli pop dei Caravan, ma ai Syd Arthur manca sicuramente quella componente fantastica e melodica, costruendo invece in maniera originale il proprio suono su un rock elettrico dai colori accesi. Anche se la voce di Liam Magill sembra provenire direttamente dagli anni Settanta, il miglior contributo lo danno sicuramente il mandolino ed il violino di Raven Bush, il cui gusto ornamentale imposta in definitiva il suono di un gruppo che ha molto da dire. 

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