The Doors – Waiting for the Sun

Quando una band entra in studio, ha materiale pronto per un paio di album; poi, se ha successo va in tour e non riesce più a scrivere nuovo materiale. Quando entra in studio per il terzo disco ed è costretta a comporre in sala, la differenza si sente“. (Robbie Krieger)

Il terzo disco dei Doors, dopo il mezzo flop commerciale di Strange Days, avrebbe dovuto essere il loro grande album, ma il progetto venne parzialmente sventato dall’interno: dopo il viaggio mozzafiato di The Doors e quello acido di Strange Days, Waiting for the Sun venne alla luce nel 1968 in modo più “leggero” rispetto ai due dischi che lo hanno preceduto, nonostante la serenità della foto di copertina (scattata da Paul Ferrara nel sobborgo di Laurel Canyon) sia soltanto l’istantanea della quiete prima della tempesta che nei due anni a venire avrebbe travolto i Doors. Musicalmente il livello è, come sempre, superbo, anche se non spettacolare ed innovativo come nei primi due sforzi vinilici: mentre Manzarek, Densmore e Krieger continuavano sulla loro strada ascetica (col tastierista che passò da un Vox Continental ad un organo Gibson G-101), Morrison stava allora cominciando a mostrare una sorta di decadimento psico-fisico: la barba iniziava a crescere incolta, il suo corpo ad ingrassare, la sua voce cominciò a camminare in un sentiero in discesa, ed il suo profondo baritono si stava trasformando in un rantolo pastoso ed alcolico, che Jim stesso auto-definiva “a metà tra il grido e la cantilena malata“, mentre il suo cantante preferito era diventato improvvisamente Frank Sinatra. 

Paul Rothchild ricevette diThe-Doors-Waiting-For-The-Sun-vinile-lp2versi pressioni dalla Elektra per produrre un altro disco di successo: il fulcro di questo album doveva essere il lungo poema teatrale di Morrison, “The Celebration of the Lizard”, un visionario esodo dalla civiltà moderna, ma alla fine soltanto un suo frammento sarebbe stato utilizzato, data anche la maestosità del progetto non compatibile con la commercializzazione auspicata del prodotto; anche la title-track “Waiting for the Sun” venne lasciata fuori da questo album, ma sarebbe stata inclusa in Morrison HotelTre canzoni vennero composte esclusivamente dal chitarrista Robby Krieger (che aveva scritto il più grande successo dei Doors, “Light My Fire”), e, come il loro secondo lavoro, le altre tracce vennero ricavate dagli avanzi delle sessioni precedenti, in particolare del primo LP: si possono immediatamente riconoscere i contributi di Krieger a causa del loro romanticismo sfrenato e dall’assenza del cinismo che caratterizza invece le opere di Morrison.

Si inizia con la hit rispolverata dai cassetti di Jim da Jac Holzman,”Hello, I Love You“, una delle canzoni più note del repertorio doorsiano: si dice che il titolo derivi da un’affermazione di Morrison che, sulla spiaggia di Venice Beach, vide una bellissima ragazza di colore, presentandosi alla sconosciuta con la frase “Hello, I love you. Won’t you tell me your name?”. Nelle note interne al cofanetto The Doors Box Set, Robby Krieger negò categoricamente che la band si fosse ispirata ad “All Day and All of the Night” dei Kinks (pubblicata quattro anni prima) per la struttura musicale della canzone, ma indicò invece “Sunshine of Your Love” dei Cream come fonte di ispirazione; nonostante la questione controversa, la causa di plagio che venne portata in tribunale in Gran Bretagna venne vinta da Ray Davies e dalla sua band, determinando così che ogni royalties derivante dal brano fosse pagata ai Kinks. La breve e sentimentale Love Street“, coccolata dal pianoforte di Manzarek, venne pubblicata come lato-B di “Hello, I Love You” e venne scritta da Jim per la sua fidanzata Pamela Courson, con cui condivideva una casa nella zona di Laurel Canyon, a Los Angeles, al 1812 di Rothdell Trail, denominata “Love Street” perché la coppia era solita sedersi sul balcone a guardare gli innumerevoli hippies che camminano sulla strada (I see you live on Love Street, there’s this store where the creatures meet I wonder what they do in there. Summer Sunday and a year, I guess I like it fine, so far, she lives on Love Street. Lingers long on Love Street, she has a house and garden, I would like to see what happens“). Il negozio a cui la traccia si riferisce in un verso era il Canyon Country Store di fronte alla loro casa, che venne parzialmente danneggiata durante una ondata di incendi dolosi a fine 2011; dal punto di vista strumentale, essa non è niente di straordinario, salvo per il tocco di Krieger che rende il suono fatato, ma di fatto il pianoforte è l’indiscusso protagonista di questa canzone, coi tamburi che battono un semplice ritmo in 4/4 tra qualche raro momento jazz.

La beffarda “Not to Touch the Earth” torna al classico suono psichedelico: si tratta di un frammento di “The Celebration of the Lizard” che è stata registrata nella sua interezza nell’album Absolutely Live, anche se il testo completo appare nella copertina apribile di Waiting for the Sun. La sciamanica ed etilica danza tribale di Morrison ci mostra una mente completamente incorporata in un labirinto acido a luci stroboscopiche; si inizia con una strana linea di basso su cui scivola una bizzarra chitarra elettrica, coi tamburi e le tastiere che ci trascinando in un caos cerebrale e lisergico; la canzone viene battezzata coi versi “not to touch the earth, not to see the sun“, sottotitoli del sessantesimo capitolo del Ramo d’oro di James Frazer, in cui lo scrittore riportava alcune superstizioni ricorrenti in molte culture primitive, in particolare quelle legate al menarca e, in tal modo, ai riti di iniziazione femminile, mentre il verso Dead presidents corpse in the driver’s car” si riferisce invece alla morte di J.F. Kennedy. La prima versione in studio registrata di “Celebration” nella sua interezza non venne rilasciata fino al 2003, trovando spazio nella compilation Legacy: The Absolute Best.

La ballata “Summer’s Almost Gone” è una delle prime canzoni che la band compose, mentre “Wintertime Love” nel suo breve valzer, ne estende l’atmosfera romantica con maggior brio. Cambia le carte in tavola “The Unknown Soldier“, un manifesto di protesta contro la Guerra del Vietnam, che combina elementi pop-rock convenzionali con un taglio più surreale: Morrison era stato disturbato dal modo in cui la guerra era stato venduta al pubblico (“Breakfast where the news is read, television children fed“) e cercò quindi di mettere in evidenza la disperazione e la logica spesso viziata di un’intera generazione. In principio, così come dopo la metà della canzone, i misteriosi suoni dell’organo dipingono l’enigma del “Milite Ignoto” mentre, nel mezzo, i Doors producono quella che ha tutta l’aria di essere una marcia militare: nelle esibizioni live Robby Krieger puntava la sua chitarra verso Morrison come un fucile, il batterista John Densmore emulava i colpi della pistola, producendo un forte boato colpendo il bordo del rullante e rompendo le bacchette, mentre Morrison cadeva urlando a terra. Dopo questa parte centrale, vi è un ritorno della sezione canora con Morrison che, con voce rassegnata, suggerisce: “Make a grave for the unknown soldier“, mentre la canzone si conclude poi con la celebrazione estatica di una guerra finita. Alcune curiosità: ci vollero più di 130 tentativi per ottenere una versione di questa traccia che si accordasse con gli standard elevati di Paul Rothchild; Jim era spesso troppo ubriaco in studio, così Ray e Robby sentirono di dover fare qualcosa e parlarono col produttore per assumere qualcuno che tenesse d’occhio Morrison, e assicurarsi così che si presentasse alle sessioni: Rothchild suggerì il nome di Bobby Neuwirth, ex roadie e collaboratore della band di Bob Dylan, che poteva pensare di bere con Jim Morrison in maniera responsabile. La Elektra pagò la metà dello stipendio di questi, passando a John, Ray e Robby l’altra metà: così Jim e Bobby si unirono a bere nei bar di tutta la città, ovviamente senza troppo controllo. Inoltre, la clip di questa canzone (disponibile sul DVD “The Doors: 30 Years Commemorative Edition”) è stata vietata negli Stati Uniti per molto tempo ed è interessante sapere che nel 1968 i Doors avevano già rilasciato un video per sostenere un loro brano. 

La calda “Spanish Caravan” è una una rielaborazione della melodia classica Asturias (Leyenda), composta da Isaac Albéniz, che è la ragione per la quale gli elementi propri del flamenco dominano la canzone. Dopo lo sfoggio di abilità sulla chitarra acustica di Krieger, la canzone si sofferma in un territorio sensuale, con un ritmo ipnotico ed ossessivo che si protrae, col resto della traccia fortemente dominato dalle distorsioni in un crescendo percussivo. Passano senza infamia nè gloria “My Wild Love“, una canzone sperimentale cantata “a cappella” (con battiti di mani e percussioni, su suggerimento di Bobby Neuwirth), il blues allucinato di We Could Be So Good Together” e “Yes, the River Knows“, una sorta di ballata acustica ed acida, con un‘atmosfera molto jazz ed un testo alquanto ermetico e controverso. La classica chiusura col botto arriva con “Five to One“, un pesante hard-rock con Morrison completamente ubriaco (se si ascolta attentamente la parte conclusiva dove Jim canta: “C’mon, you won’t have along wait for me, baby, I’ll be there in just a little while, you see, I gotta go out in this car with these, people and…” lo si può sentire prendere un sorso dalla sua bottiglia di Brandy) ma forse l’elemento che più salta all’orecchio è il seppellimento delle tastiere; tra varie citazioni, Jim Morrison probabilmente si riferisce nel titolo ad una storia di Dylan Thomas intitolata The fight, da “Il ritratto dell’artista da cucciolo”, in cui il protagonista legge una poesia intitolata Warp ed i versi “Five into one, the one made of five into one, early, Suns distorted too late“. Si è spesso ipotizzato anche che la proporzione 5:1 del titolo fosse presumibilmente un riferimento al rapporto numerico fra la popolazione bianca e quella nera in America nel 1967, oppure fra i vecchi ed i giovani, ma anche fra i fumatori di marijuana ed i non fumatori. Un’ulteriore versione ipotizza pure che il rapporto numerico citato da Morrison fu quello tra i Viet Cong ed i soldati americani in Vietnam durante la guerra: interrogato sulla questione, Jim Morrison non chiarì mai l’oscuro significato dell’espressione utilizzata nel testo, né con la stampa né con i propri compagni, e disse che il testo del brano non era espressamente politico, nonostante l’utilizzo di toni sovversivi (“They got the guns but we got the numbers”) e dalla forte connotazione critica verso il movimento hippie (“Your ballroom days are over baby, night is drawing near, shadows of the evening crawl across the years“); a conferma di questa ipotesi ci sono le parole dello stesso Morrison, per cui il movimento hippie era “sostanzialmente un fenomeno piccolo borghese“. L’introduzione parlata del brano (“Yeah, c’mon – I love my girl. She lookin’ good“) è un’improvvisazione vocale di Jim Morrison dalla dedica ancora incerta: secondo alcune fonti sarebbe dedicata alla sua ragazza Pamela che era presente in studio al momento della registrazione del brano; secondo altri, Jim quella sera si sarebbe presentato in studio con una groupie conosciuta per strada. L’esecuzione più celebre della canzone si ebbe in occasione del concerto che la band tenne a Miami nel 1969 al Dinner Key Auditorium: verso la fine del brano, un Morrison totalmente ubriaco apostrofò il pubblico chiamando gli spettatori “un branco di fottuti idioti” poiché si stavano lasciando maltrattare dal servizio di sicurezza, un concerto che sarebbe inevitabilmente poi terminato con Morrison accusato di una serie di capi di imputazione che lo portarono all’arresto ed al noto processo.

“Il titolo del primo album rappresenta un’apertura, il secondo è una descrizione di ciò che troviamo quando siamo all’interno e questo terzo descrive lo stato emotivo di chi è dentro, il desiderio di porre fine a questa oscurità collettiva“. (Paul Williams)

In realtà Waiting For The Sun fu l’inizio della fine dei Doors: i critici bocciarono l’album ma i fan furono di diverso parere. Ormai non si potevano più nascondere i problemi: l‘ambizione insoddisfatta di “Celebration Of The Lizard” contribuì sicuramente al malumore, ma il crescente disinteresse di Morrison nell’essere parte di una band, aggravato dalla sua assunzione olimpionica di alcol, ostacolò non poco la realizzazione del discoMetà dell’album successivo The Soft Parade portò la firma di Robbie Krieger, che per la prima volta divise i diritti d’autore da quelli di Morrison, divenuto ormai ingestibile. Ray, Robbie e John iniziarono ad abbandonare le droghe e dedicarsi alla meditazione, mentre Jim continuava ad assumere acidi: ci vollero addirittura 11 mesi per ultimare The Soft Parade, in parte anche per il perfezionismo di Rothchild, ma la situazione gettò nello sconforto pure Densmore, che un giorno se ne andò dallo studio dicendo di non poterne più. Durante i concerti bisognava sempre tenere sveglio Jim sul palco, ma anche quando era in sè il suo atteggiamento era del tutto imprevedibile: il primo arresto avvenne nel Connecticut, con Jim apparso sul palco pieno di lividi dopo aver subito diversi colpi di manganello da parte di un poliziotto, che lo colse in fragrante mentre si era appartato con una sua fan. I Doors iniziarono a guadagnarsi la reputazione di band immorale: ormai il pubblico accorreva soltanto per assistere alle stramberie di Morrison, ma nonostante tutto The Soft Parade divenne il quarto disco d’oro consecutivo con “Touch Me” in cima alle classifiche di vendita. Alla fine del 1969 Jim annunciò di voler mollare la band, tra lo stupore generale: Pamela voleva infatti che si concentrasse sulla poesia, liberandosi dagli obblighi della rock-star, ma Ray lo convinse a restare per altri sei mesi, anche se il suo alter-ego Jimbo era ormai dominante e sempre più devastato dall’alcol (celebre l’episodio in cui si addormentò sulle gambe di Janis Joplin che gli spaccò la bottiglia in testa).

Alla fine del decennio, i Doors si esibivano in concerti sempre più grandi: il primo vero tour era stato programmato in ben diciannove città; dopo aver assistito ad uno spettacolo del Living Theatre, il comportamento di Jim sul palco stava diventando sempre più teatrale e provocatorio, arrivando nel concerto di Miami del 1° marzo 1969, in seguito ad un accesissimo discorso, ad urlare “siete un branco di schiavi!” rivolto al suo pubblico, dopo che qualcuno aveva lanciato un secchio di vernice arancione addosso alla band. Tra l’agitazione generale, Jim poi iniziò a togliersi i vestiti, mentre il pubblico insisteva di voler sentire “Light My Fire”; ad un certo punto un amico di Jim (Lewis Marvin dei Moonfire) gli diede in braccio un agnello (con Jim che asserì tra l’ilaritá generale: “me la farei ma è troppo giovane!“) poi invitò tutti a salire sul palco, con la sicurezza costretta a chiudere il concerto a meno di un’ora dall’inizio e dopo soltanto quattro canzoni a malapena accennate. In seguito, mentre la band riparò in Giamaica per prendersi una pausa, a Miami era in atto la denuncia per quell’esibizione.

Le date del tour vennero in seguito cancellate, le canzoni dei Doors bannate dalle radio: Jim si dovette consegnare all’FBI, ma il Pubblico Ministero insistette sull’accusa di copulazione orale nonostante la mancanza di prove visive. Il 30 ottobre venne giudicato colpevole per atti osceni in luogo pubblico e condannato a 6 mesi di lavoro forzato in una prigione del profondo sud. Morrison la prese molto male: col nuovo decennio appena iniziato, ed un presidente come Nixon che stava mettendo fine ad ogni speranza rivoluzionaria, una forte ondata conservatrice stava spazzando via ogni focolaio superstite della Controcultura. Morrison scherzava con gli amici dicendo che tutti stavano aspettando il terzo, dopo le morti premature di Janis Joplin e Jimi Hendrix: quell’anno pubblicò alcuni volumi di poesia ed i Doors ritornarono alle radici blues con Morrison Hotel, ma fu col successivo L.A. Woman che le cose cambiarono, compresa l’aggiunta della cocaina al cocktail mortale di Jim; Rothchild se ne andò sostenendo che l’unico modo per i Doors di sopravvivere era quello di registrare quell’album da soli: la band si rivolse allora a Bruce Botnick, che li incitò a lasciarsi andare in quello che doveva essere il disco della loro rinascita. Per stimolare “Mr mojo risin” venne chiamato in studio anche Jerry Scheff, il vecchio bassista di Elvis, e Jim accettò di esibirsi ancora in alcuni concerti ma alla prima esibizione crollò sul palco, senza più alzarsi. Tornata da un viaggio a Parigi, la “compagna cosmica” Pamela Courson trovò Jim a letto con un’altra donna, sposata con qualche rito tribale, ma nonostante l’ennesimo tradimento i due si riconciliarono e, quasi concluse le registrazioni di L.A. Woman, annunciarono di volersi trasferire a Parigi. Per un po’ le cose sembrarono andare bene, poi nel 1971 sopraggiunse l’inevitabile “morte a credito”, tanto per rispolverare  e parafrasare l’amato Celine: perché si è autorizzati a morire solo quando si ha una buona storia da raccontare.

Perennemente in bilico tra sacro e profano, tra complessi edipici ed un ego smisurato, Jim Morrison fu prima di tutto un ragazzo molto acuto ed intelligente ed è stato uno dei personaggi più miticizzati del secolo appena concluso, con la sua faccia spalmata sulle magliette di migliaia di persone che, probabilmente, neanche lo hanno capito: essere stato incluso nel fantomatico club necrofilo dei 27 ha incredibilmente rischiarato la sua aura da poeta maledetto ed inafferrabile. Dal mio punto di vista, pur essendo un personaggio che ha sempre suscitato in me molta ammirazione e curiosità, prediligo piuttosto gli artisti che hanno avuto il coraggio di affrontare i propri demoni, dire no ad alcol e droghe in un’epoca in cui tutti nel business musicale ne facevano uso, quei sopravvissuti che non hanno avuto l’immortalità che la storia ha riservato a Jim… e qui parlo anche e soprattutto dei suoi talentuosi compagni dei Doors, ma anche di una schiera di altri artisti che non appaiono in nessuna maglietta, ma che meriterebbero comunque la stessa attenzione dell’illustre ed eterno Lizard King.

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