Walpurgis – Queen of Saba

La storia di questi Walpurgis è stata una delle più brevi ma interessanti del Krautrock: i due chitarristi Jerzy Sokolowski e Ryszard Kalemba fuggirono infatti dalla Polonia comunista alla fine degli anni Sessanta, rifugiandosi nella Berlino Ovest, dove allestirono insieme al batterista Manfred Stadelmann un gruppo specializzato nel rock psichedelico americano, con un repertorio costituito, in gran parte, da cover dei Grateful Dead e dei Quicksilver Messenger Service. Nel 1972, nonostante i dubbi del capo della “Ohr” Rolf-Ulrich Kaiser, sulla spinta dell’interesse discografico del produttore Frank Oeser il trio riuscì ad approdare alla più nota etichetta del rock sperimentale tedesco, con la quale pubblicarono il loro unico album Queen of Saba nel 1972 assieme al flautista George Fruechtenicht e al tastierista Jürgen Dollase (dei Wallenstein). Il disco, formato da sei Queen-Of-Saba-coverbrani di rumorosa psichedelica di stampo americano e blues dai riverberi cosmici, venne creato negli studi di Dieter Dierks, il tecnico del suono per antonomasia del Krautrock, mantenendo il suo solito elevato standard di produzione. Con una tiratura limitatissima di 500 copie, Queen of Saba venne quindi rilasciato con in copertina la biblica “regina di Saba” in abito bianco, mentre il nome programmatico della band, Walpurgis, allude a Valpurga, santa della chiesa cattolica ma anche protagonista, suo malgrado, di una vecchia tradizione germanica: secondo il folclore, infatti, nella notte tra il 30 aprile e il 1º maggio le streghe escono dai loro rifugi per compiere le loro danze lunari sul monte Bocker e vengono quindi celebrate da canti, danze e falò; questa usanza – ripresa anche da Goethe nel suo “Faust” – si sovrappose tuttavia alla festa della santa, fino ad essere rinominata, in maniera un pochino blasfema, la “notte di Valpurga” (“Walpurgisnacht”).

Tornando al disco, bisogna innanzitutto sottolineare come abbia un inizio un po’ difficile, essendo le prime due tracce decisamente le più povere del conio: si tratta di “Dissapointment“, opportunamente intitolata (“delusione”!) e Hey You Over There“. Va decisamente meglio con la feroce title-track Queen Of Saba“, grazie alla prepotente spinta delle doppie chitarre, mentre Daily” chiude il primo lato con il bell’assolo del pianoforte di Jurgen Dollase, uno dei personaggi forse più ingiustamente dimenticati dell’intero Krautrock (Wallenstein, Cosmic Jokers). 
Il secondo lato contiene, invece, due interessanti jam-session in stile West Coast, condotte ancora principalmente dall’interazione tra i due chitarristi Sokolmowski e Kalemba. Si tratta del baccanale psichedelico di “What Can I Do (To Find Myself?)” e di quello hard-rock di My Last Illusion“, con un titolo ancora profetico, questa volta della fine dei Walpurgis, anche se i lunghi assoli delle chitarre ed il grande tappeto percussivo risultano davvero suggestivi solo fino ad un certo punto, quando la musica si ferma improvvisamente per ricominciare in seguito, un po’ inutilmente, negli ultimi due minuti, non aggiungendo nulla di particolarmente stimolante alla traccia.

Come spesso è accaduto agli album meno noti del Krautrock, se da una parte la produzione di Dieter Dierks si rivela essere una garanzia qualitativa per quanto concerne il suono, le parti vocali in inglese non riescono tuttavia sempre a convincere. Chiaramente i Walpurgis, a cui più che il talento mancava la fantasia, non riuscirono ad avere abbastanza fortuna per proseguire la loro carriera e registrare il secondo album, complice la diffidenza di Kaiser, probabilmente, ma soprattutto l’imminente scomparsa della sua “Ohr”. Nel 1975, infatti, dopo aver pubblicato a insaputa dei musicisti coinvolti ben cinque album dei Cosmic Jokers, Kaiser divenne oggetto di una feroce campagna diffamatoria promossa da molti dei musicisti che aveva contribuito a lanciare a livello internazionale e decise di ritirarsi dalla vita pubblica tagliando ogni legame con la società, rifugiandosi poi a Colonia assieme alla compagna cartomante Gille Lettmann. Assieme a lui, scompariranno tanti altri nomi del Krautrock: alcuni ebbero la fortuna di essere riesumati da Julian Cope nel suo appassionatissimo saggio “Krautrocksampler”, altri patiranno, invece, un clamoroso silenzio mediatico che continua imperterrito fino ai giorni nostri.

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