Kaleidoscope – Tangerine Dream

Signori e signore, i Kaleidoscope inglesi: troppo ordinari per Canterbury, troppo originali per Abbey Road.
Immaginate quattro floridi giovani con la canonica faccia perbene che l’emporio degli anni Sessanta imponeva. Bene, tenete a mente questi ragazzi-clichè e poneteli in un tipico abito arabo come il caffettano! Alquanto insensato, vero? E’ un ritratto decisamente bizzarro eppure dietro alla loro musica si nasconde un universo stravagante almeno quanto la loro apparenza.
Vocalmente a metà strada tra Donovan e i Moody Blues, con un fervore compositivo conforme ai Pink Floyd barrettiani o ai Byrds, qualche riverbero testuale a Simon & Garfunkel e Bob Dylan nel versificare in musica la gente comune e, ovviamente, un aspetto esteriore concorde alla matrice Beatles. Amalgamate tutte queste velate ascendenze e otterrete gli inglesi Kaleidoscope, da non confondere coi loro contemporanei omonimi d’oltre oceano capeggiati da Lindley.

Con “Kaleidoscope“, prima canzone dell’album, la band stringe la mano al pubblico e si presenta con una filastrocca ammaliante e pittoresca che ha inizio col suggerimento: “relax your eyes, for after all, we can but share these minute“; ponendo un occhio sul caleidoscopio si alternano in svariati colori l’eclettico compositore Eddy Pumer alla chitarra, il suggestivo paroliere Peter Daltrey alla voce e alle tastiere, l’intrigante Steve Clark al basso e ai flauti e l’ipnotico Dan Bridgman alle batteria e alle percussioni.
C’è subito spazio per riflessioni tragicomiche nella vulnerabile “Please excuse my face“, una ‘psychedelic love song‘ dall’ossatura tipicamente folk e un rivestimento letterale che è simultaneamente afflitto e buffo; “Dear Nellie Goodrich” è la seconda canzone d’amore dell’album, splendida epistola stesa da clavicembalo e chitarra che maestosamente si combinano.
Uno dei pezzi migliori del disco è “Dive into yesterday“, ovvero un tuffo nel ieri lanciato da una frenetica chitarra e attuato attraverso incessanti cambi di tempo: è un brano perspicace dove si alternano suoni e voci pure a strumenti distorti; vari effetti e stati d’animo si legano in una struttura irregolare che sarà uno dei tratti fisionomici dei Kaleidoscope.

Mr Small the watch repair man” prende libera ispirazione dalle abitudini del padre del chitarrista Eddy Pumer (“mr. Small, the watch-repairer man mended clocks and watches every day“): inizia da ciò che sembra un orologio a muro e prosegue in percussioni dissennate e strumenti impazziti in una sorta di orchestra psichedelica, mentre Daltrey canta con un’insolita leggerezza la triste storia di Mr Small.
In “Flight from Ashya“, l’ispirazione proviene da un libro; molte sono le allusioni allucinogene eppure il gruppo si discosta dalle mode lisergiche dell’epoca. Il pezzo tratta di un aereo che sta per precipitare, delle persone che vi si trovano a bordo e del loro stato confusionale, in particolar modo del comandante “(“nobody knows where we are” viene ripetuto fino allo sfinimento); si tratta del singolo di debutto e della canzone più conosciuta dei Kaleidoscope, che finisce per diventare una hit perfino in Giappone, vendendo un gran numero di copie.
Madrigale tutto da scoprire è “A lesson perhaps“: nel suo parlato riporta la storia di un re (“and the King lived on his dreams and died on them“); senza dubbio è un brano da ascoltare è leggere più volte, assomiglia ad una narrazione medievale in chiave psichedelica… Una traccia decisamente squilibrata!
The sky children“, in posizione di chiusura, torna a far luce sul passato, in 8 minuti di intima magia: perfetta sintesi della poetica-Kaleidoscope, è un viaggio onirico e utopico nell’infanzia a suon di tastiere e chitarre… Incantevole!

Tangerine dream” è un album accessibile e imprevedibile, consigliato a chi si vuole avvicinare al rock psichedelico e al progressive in punta di piedi… Da ascoltare!

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