Frank Zappa & The Mothers of Invention – Freak Out!

Il pericolo sta nel far diventare il “Freak out” un pretesto piuttosto che un motivo. […] “Freaking out” dovrebbe presuporre una libertà attiva, e per libertà si intende la liberazione dal controllo di qualcun altro. Sfortunatamente, la reazione si è sostituita all’azione. […] Se potessimo incanalare le energie spese nel tentativo di fare il “Freak out” fisicamente su un piano intellettuale, forse saremmo in grado di creare qualcosa di concreto, al di là della fioca luce ideologica di comportamenti stravaganti e dell’essere ritenuti stravaganti. Ascoltiamo davvero? E, se ascoltiamo davvero, pensiamo davvero? […] Quello che noi dobbiamo provare a fare non è commentare ironicamente ciò che è sbagliato, ma cercare di cambiare ciò che è sbagliato. I Mothers ci stanno provando.

In primo luogo c’è da dire che Frank Zappa si scagliava innanzitutto contro chi lo applaudiva per i motivi sbagliati (aveva un singolare talento ad alienarsi le simpatie del pubblico), ed esemplari risultano queste parole prese da una lettera al giornale Lafp nel 1966 per capire la dottrina dei Mothers, che va ben oltre l’arte musicale.
Freak out! è il primo concept album, uno dei primi doppio dischi della storia, e molto probabilmente presenta anche una delle note di copertina più estese (ben 179 sono infatti le persone nominate). A mio parere è anche l’album più sottovalutato, per l’enorme deviazione che ha fatto intraprendere alla strada della musica.

E’ un’impresa davvero ardua e paradossale stendere una recensione su un personaggio controverso come Frank Zappa, proprio lui, che il giornalismo tanto disdegnava. Sarebbe altrettanto impossibile pensar di associare R&B, musica per orchestra, rap, musica concreta, sovraincisioni, free jazz, rock, satira e influenze etniche (in primis quella messicana) eppure lui ci è riuscito: lontano dalle droghe ma più lisergico di tutti, musicalmente indefinibile e tuttavia sempre determinato: questo è il genio di Frank Zappa a cui si uniscono i Mothers of Invention (in primis Roy Estrada, Ray Collins, Jimmy Carl Black) ed un’orchestra di ben 17 strumenti. Il risultato è tra acume e insania!

Dopo esperienze eclettiche in varie band locali, Zappa trova il ventre materno nei Mothers: l’etichetta di produzione, la MGM-Verve decise però di mutare il nome in Mothers of Invention, onde evitar problemi di ambiguità semantica in un’America post-maccartista e repressiva. Il primo parto rivoluzionario fu Freak Out!, uscito a giugno del 1966 con la produzione di Tom Wilson.
Per capire il giornalismo musicale di Frank Zappa prendiamo a titolo di campione “Trouble coming everyday“, la canzone che egli sostiene d’aver tentato di vendere invano all’intera Hollywood; il pezzo riporta con vigore i disordini di Watts, infierendo con particolar veemenza contro la manipolazione mediatica della vicenda e registrando la portata di tale violenza a base razziale (parole che gli costarono una visita dell’FBI per accertamenti sul suo coinvolgimento nei fatti); spicca la frase: “Hey, you know something people? I’m not black but there’s a whole lots a times I wish I could say I’m not white” (hey gente la sapete una cosa? Non sono nero ma ci sono tante volte in cui vorrei dire di non esser bianco). Era l’11 agosto 1995 quando nel quartiere di Watts (Los Angeles) un agente di polizia ferma un afroamericano con l’accusa di guida in stato d’ebbrezza e la situazione sfugge di mano (anzi, per meglio dire, di manganello!) tanto che le violenze delle forze dell’ordine portano a sei giorni di disordine, tensione etnica e brutalità (con un bilancio di trentaquattro morti e più di mille feriti).
Il suo rap di stampo pachuco è forse il primo rap mai inciso, e ci trascina in un cupo mondo primordiale dove in seguito arriveremo a chiederci: “Who are the brain police?” – un brano che, secondo Zappa, è stato scritto svegliatosi d’improvviso alle 5 del mattino e rimanda all’idea della ‘psicopolizia’ orwelliana. Si tratta ancora una volta di un pezzo al limite del paranormale illuminato da funeste percussioni e kazoo.
Scritta per Karl Franzoni, “Hungry freaks, daddy è il primo brano dell’album, bizzarra canzone sull’onda beat: dietro un testo tipicamente zappiano si nasconde un background d’elaborazione strumentale di prima classe, nitido come un ritratto fiammingo ma effimero quanto un dipinto impressionista in cui spicca un ottimo l’assolo di chitarra: vi è una certa armonia nel caos!
C’è spazio anche per le contaminazioni doo-wop e pop: spiccano la diatriba sentimentale di “Go Cry on Somebody’s Else Shoulder” e “Wowie Zowie”, il cui il titolo rimanda ad un’esclamazione dell’amica intima nota come Suzy Creamcheese, che è fondamentalmente una delle tante scimmiottature delle mode anni degli anni ’60, Beatles in primis (“non divinità ma soltanto un buon gruppo commerciale” secondo Zappa); sulla stessa onda vi sono anche “You didn’t try to call me“, “You’re probably wondering why I’m here“, e “Any way the wind blows” che cita alcune discussioni riguardo al divorzio di Frank dalla prima moglie Kay, mentre in “Help I’m a Rock“, nella sua dedica ad Elvis, viene infine superato anche il dadaismo sonoro.
The return of the son of the monster magnet chiude l’album in un’altra atmosfera d’avanguardia (preludio delle successive produzioni): un centinaio di freaks girano nello studio, fra cui il ballerino Karl Franzoni e Suzy Creemsheese, nei fumi di urla psicotiche e strumenti totalmente dissennati da “musica concreta”.

Questo è un album che pesa, pesa eccome, e la musica se ne porta ancora il carico sulle spalle: signori e signori, Frank Zappa!

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