Queen – A Night at the Opera

“Is this the real life? Is this just fantasy?”

Sarà stata questa, probabilmente, la domanda che in molti si sono posti all’uscita di A Night at the Opera (EMI,1975), il primo dei due album partoriti dalla regina con un titolo inneggiante ai fratelli Marx (il successivo sarà A day at the races).
Questo disco, uno dei prodotti più variopinti e meglio riusciti dei Queen, si apre con “Death on two legs, un antipasto dai gusti contrastanti con continui cambi di ritmo che gli danno un aspetto originale e fluttuante (da assaporare un raffinatissimo May); la canzone d’esordio di questo lavoro ben rappresenta l’arcobaleno stilistico di A Night at the Opera: si passa dall’ hard-rock al progressive rock, dal silenzio all’esplodere di cori, dal pianoforte angelico ai riff chitarristici maledetti nell’arco di poche note.

Il punto di arrivo (ma anche di partenza per quelli che saranno i futuri capolavori dei Queen) è l’indomabile A night at the Opera - QueenBohemian Rhapsody, una delle canzoni più belle della storia della storia della musica, col suo inizio drammatico a cui fanno seguito numerosi colpi di scena teatrali, fino al punto in cui la chitarra di Brian May annuncia la follia vocale operistica di Freddie e della band. D’altrocanto, Seaside Renderzuous suona come una gita in campagna, così come “Lazing on a Sunday afternoon” che illumina l’atmosfera e si incastra perfettamente con “I’m in love with my car” cantata da Taylor: da questa traccia si deduce come il rock duro di canzoni del passato come “Ogre battle” e “Keep yourself alive” si sia ammorbidito lasciando spazio a suoni nel complesso più eleganti e mansueti, anche se non si discostano mai completamente dalle matrici hard-rock dei primi album.

Una delle migliori tracce è la splendida “‘39, una dolce ballata country cantata da un appassionante Brian May, indimenticabile nei live. “The prophet song” è invece una marcia ipnotizzante, serpeggiata dai soliti cori e dalle voci registrare fino a risultare funesta ed apocalittica (“Ah people can you hear me? And now I know that you can hear me”). Su “Love of my life c’è infine da dire che scioglierebbe anche i ghiacci dell’Alaska, ma per evitare catastrofi naturali si limiterà a squagliare i nostri cuori! Di splendore etereo sono la voce e il piano di Freddie Mercury, un uomo che aveva la musica nel sangue e un trono d’immortalità nella storia.
Altra interessante e più vivace canzone d’amore è “You’re my best friend‘” scritta da Deacon, dove troviamo un basso ed un piano accattivanti quanto inediti, vagamente attinti dagli Yes, ma tuttavia incatalogabili per definzizione.

La canzone che chiude l’album può considerarsi una speranza per il futuro della musica… GOD SAVE THE QUEEN!

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