Osanna – Palepoli

Dopo una breve parentesi per la colonna sonora del film Milano Calibro 9, gli Osanna tornarono in studio per il terzo album: Palepoli (1973, Fonit Cetra) vide la luce con la stessa formazione di L’Uomo con Lino Vairetti (voce, chitarra, mellotron), Danilo Rustici (chitarre, organo), Elio D’Anna (sax, flauti), Lello Brandi (basso) e Massimo Guarino (percussioni, vibrafono).

La struttura dell’album è molto simile a quella di Thick As A Brick dei Jethro Tull: ogni lato del disco contiene infatti 20 minuti di musica fusi in una suite, ma il sound, piuttosto che essere influenzato dal gruppo di Anderson, pare rievocare i primi King Crimson, snodandosi tra sezioni guidate dalla chitarra e parti più affezionate al sax, attraverscover_551501782008o morbidi intermezzi di flauto e di mellotron; con estremo spirito di teatralità e di audacia le tracce risultano assemblate come un polimaterico collage sonoro, tra chitarre elettriche, tastiere, fiati, rumori della strada e percussioni etniche, tutti alla deriva lungo uno stranissimo sogno lucido. 

Nelle intenzioni del gruppo, l’album è un invito a rifiutare le ipocrisie della moderna città (“Neapolis“) per riscoprire i valori più autentici dei borghi antichi (“Palepolis“), denunciando la miseria e la criminalità di Napoli, ma senza moralismi eccessivi, con parole che mirano a far riflettere il proprio io più profondo.

Oro Caldo” anticipa già dalle prime note l’esperienza a cui stiamo andando incontro, con l’evocazione del clima mediterraneo effettuata per mezzo di tamburi a manovella ed esuberanti sprazzi di flauto, persi tra i rumori di un mercato partenopeo. La musica viene poi agglomerata in una “tarantella elettrica” che porta ad un ponte tra chitarra e tastiere in stile Genesis, fino a quando un incendiario blues-rock non contamina l’ambiente con riff costanti di due chitarre, assoli brucianti di sax ed una sezione ritmica rigida: tutti questi elementi sono gestiti con finezza, mentre il lato più dolce della musica degli Osanna è relegato in forma di acustici interludi inseriti tra le sezioni più pesanti. La presenza di più strati di tastiere (mellotron su tutti, ma si può anche occasionalmente ascoltare l’organo, così come gli effetti del synth) dona al suono generale una dimensione epica, ma il vero leitmotiv dell’album non è propriamente rock, ma piuttosto un folle papier collè di folk mediterraneo, tarantella, fiere dialettali, psichedelia, blues, musica etnica e orge wagneriane (Oro caldo cola da una tromba ormai, l’ombra di una nota fredda, muta esce da lei. Fogli di un giornale che non vive più. Una cicca consumata come il tempo va. Ghiacci volti stanchi vanno senza età, come vuole che nessuno suonerà e una mano graffia il viso tuo!”). Lo spettacolo continua tra continui cambi di ritmo e di umore, grandi armonie vocali e sorprendenti pause strumentali: tutto questo va oltre il prog-rock, con una delicata spinta verso l’avanguardia che però non scivola mai troppo a fondo; la sessione ha inoltre un invitante tono informale che tende la mano verso un mercato sonoro consistente, tra la sensualità mediterranea e qualche pensiero lunatico, che con qualche dissolvenza incrociata, ci introduce in un autentico tema popolare italiano a rappresentare tutte le cose antiche. La parentesi etnica di “Stanza Città” è un breve intermezzo tra le due tracce più imponenti, dotato di una forte influenza folk: il suono di una chitarra intensa tesse la musica, col contributo della tastiera e del flauto che creano maggior spazio, sovrastrutturando la melodia in più livelli. Segnalo infine un testo di grande caratura: “Gente distrutta e una città di più. Cerca se puoi, cerca Palepoli, la realtà di una età senza noi. Folle di bimbi avidi, case con donne gravide, giochi e mestieri d’uomini, l’ilarità di un Pulcinella. Cerca se puoi, dentro Palepoli la realtà di una età senza noi, senza poi. Storia di una città che non ha senso,ma siamo avanti ormai con il progresso. Il Progresso siamo noi e il benessere è tra voi: chi produce siamo noi, ma il lavoro avete voi!“.

Animale senza Respiro” a volte si perde nei suoi meandri ma non è priva di momenti brillanti: l’apertura marziale, il focoso tamburo solista verso la fine, e poi la chiusura sinfonica in cui la combinazione di organo e mellotron svetta come una torre d’avorio. La traccia inizia in modo più jazz e sperimentale ma dopo alcuni minuti vi è una detonazione a cui fa seguito un passaggio acustico ustionante: Non ha più tempo, non hai più ore, non hai più forza di credere in te. In questo metro di vita che hai cerchi l’aria di un respiro“. Non c’è riposo né noia, la musica va avanti e tutto quello che dovete fare è ascoltare: in questo album molte influenze mescolate insieme danno vita ad una originale, complessa e teatrale “opera-rock” dove tutto culmina con la voce melodica e potente di Vairetti ed un pizzico di follia che porta ad un intimo ragionamento. 

Gli Osanna sono riusciti sapientemente a coniugare  le influenze dei primi King Crimson, dei Pink Floyd e dei Van Der Graaf Generator, con il più convenzionale pop-sinfonico all’italiana e le tradizioni partenopee, racchiudendo il tutto in un disco che è una somma di idee interessanti, dove raffinatezza armonica ed una lirica ponderata si incontrano in momenti sinfonici di rara potenza: la ricetta perfetta per un capolavoro del rock progressivo. La registrazione rimane un po’ piatta, tuttavia questo disco è consigliato agli appassionati di progressive rock senza troppi fronzoli, mentre le persone interessate alla musica sinfonica più morbida potrebbero vivere questo disco come il loro incubo peggiore… Ma merita comunque almeno un ascolto.

Questo progetto, autofinanziato, si rivelò purtroppo fallimentare sotto il profilo economico e questo contribuì alla scissione del gruppo, anche se lo scioglimento non venne di fatto mai annunciato. D’Anna e Rustici formarono gli Uno col chitarrista Enzo Vallicelli, mentre Vairetti, Guarino e Brandi resuscitarono i Città Frontale con il tastierista Paolo Raffone. Contemporaneamente al valzer delle coppie esce per motivi contrattuali Landscape of Life (Fonit, 1974), realizzato in più momenti utilizzando registrazioni effettuate da diverse formazioni in studio. Nel 1978, a sorpresa, venne rilasciato anche Suddance.

Una menzione speciale merita infine anche il fratello più giovane di Danilo Rustici, Corrado, che lo stesso anno uscì coi suoi Cervello con l’album Melos (1973, Ricordi)… ma di questo ne parleremo ancora, in un altro capitolo. Intanto godiamoci la visita di questa incontaminata Palepoli.

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