Phil Ochs – [The Story Behind] The War Is Over

Articolo tratto da OndaRock

Se Bob Dylan è universalmente accreditato come il folksinger più importante di tutti i tempi, non sono invece molti a conoscere il nome di Phil Ochs. Persino Lady Gaga, durante la Convention Democratica del 2016, ottenne una risposta tiepida quando chiese al pubblico se qualcuno sapesse chi fosse Phil Ochs, prima di intonare la sua versione di “The War Is Over“.
Non c’è da meravigliarsi, ma neanche da biasimare nessuno per questa lacuna: Phil registrò infatti per soli undici anni, prima di scegliere di mettere fine alla propria vita. I due lustri in cui fu attivo vennero segnati da una guerra sanguinosa e diverse lotte razziali; erano gli anni in cui si combatteva per i diritti civili, per superare le antiche barriere sociali. Contemporaneamente a queste battaglie, Phil Ochs ha cercato di fare la differenza con la sua chitarra e il suo tagliente giornalismo musicale.

Le canzoni di Ochs non erano solo parte di quei cambiamenti, ma ne rappresentavano la voce: un tenore nasale in cui si rifletteva tutta l’innocenza e la fiducia nel futuro della gioventù. Una di quelle voci che ti convincono che sì, forse la musica può veramente cambiare il mondo. Purtroppo per lui, Phil Ochs non ha visto i risultati delle sue lotte; morì di propria mano, pensando che la sua vita e le sue canzoni fossero state inutili. Nel tentativo di salvare il mondo non riuscì a salvare se stesso dai propri demoni. È un suicidio che la dice lunga su un uomo che non conosceva compromessi, seppur convinto di potere raggiungere la fama proponendo le sue idee così radicali. Negli ultimi anni si rivelò persino disposto a crearsi l’alter-ego malvagio di John Butler Train e travestirsi come un mix tra Elvis e Che Guevara, pur di diffondere la sua poetica/politica. Ma né John Butler Train né Phil Ochs potevano andare bene per il mercato discografico: la sua musica era troppo apertamente schierata, lucida, sarcastica. Se Dylan si nascondeva dietro metafore e figure retoriche, Ochs narrava senza filtri ciò che vedeva intorno: che fosse un’esecuzione su una sedia elettrica (“Iron Lady”), l’omicidio di Kitty Genovese (“Outside Of A Small Circle Of Friends”) o la guerra del Vietnam (“I Ain’t Marching Anymore”), la sua maniera di affrontare la musica era quella del cronista a cui non sfuggiva il macabro dettaglio.

Prima dei tempi della televisione e dei mass media, il folksinger era spesso un giornale itinerante che diffondeva storie attraverso la sua musica. Gli americani hanno un estremo bisogno di guardare profondamente dentro se stessi e le loro azioni, e la poesia musicale è forse lo specchio più efficace disponibile. Ogni titolo di giornale è una potenziale canzone.
(Phil Ochs)

Durante la prima parte della sua carriera musicale – sia con Jim Glover nel duo dei Singing Socialists, sia come artista solista – le sue canzoni suonavano spesso come articoli di sinistra trasportati in musica, piuttosto che canzoni di protesta. Lo stesso Bob Dylan, una volta consacrato al successo, lo buttò fuori dalla sua macchina apostrofandolo in tal modo: “Non sei un cantante folk, Phil, sei solo un giornalista”. Bisogna tuttavia premettere che Ochs prese questa definizione come un complimento, fiero di presentare se stesso come singin’ journalist. Se non fosse stato così, il suo primo album del 1964 non si sarebbe intitolato “All The News That’s Fit To Sing”.

senza_titolo1_03Ma Phil Ochs, oltre che giornalista-cantante, era anche un attivista convinto. Come Abbie Hoffman ricorda nel docu-film “There But Fortune”: “Se c’era qualche possibilità di cantare per una causa in cui credeva, Phil Ochs era lì”. Molte delle sue canzoni, come ci si potrebbe aspettare, si rivolgono direttamente ai capi di stato e agli uomini di potere, sviscerandone tutte le ipocrisie. Appena qualche mese dopo l’offensiva del Têt, Ochs pubblicò una canzone dal titolo in appartenza sarcastico: “The War Is Over”. Una frase che avrebbe ispirato John Lennon fino a farla divenire il proprio trademark, ma al povero Phil non andò così bene.
L’idea per il brano derivò da una poesia di Allen Ginsberg (“Wichita Vortex Sutra”), in cui il poeta dichiarava di sua volontà la fine della guerra (“Io levo alta la mia voce/ faccio ora un Mantra di linguaggio Americano/ Io qui dichiaro la fine della Guerra!”). Ochs dapprima usò questa idea per scrivere un articolo di disobbedienza civile per il Village Voice e il LA Free Press nel 1967 (“Have You Heard? The War Is Over!”), poi fece un ulteriore passo in avanti con la sua canzone, accompagnando l’uscita del singolo a diversi raduni di protesta (i “VD Day”). A corredo degli eventi venivano inoltre fatti circolare dei volantini che portavano la firma illustre di Ron Cobb. Questi dati ci fanno capire come gli intenti di Ochs fossero molto più concreti di quelli di Lennon: mentre l’ex-Beatles ne trasse il singolo natalizio per antonomasia, quella del cantautore texano era una vera e propria dichiarazione anti-bellica.

Scritta nel suo classico metro allitterativo, la canzone attinge furbamente ai valori patriottici americani per metterli in discussione; in tal senso, l’arrangiamento curato da Bob Thompson accena, come per farsi beffa, alle due marce nazionali “National Emblem” e “The Stars And Stripes Forever”. L’intera composizione può però essere riassunta in un unico verso: “Sei solamente ciò in cui credi”. Una filosofia semplice ma autorevole come quella del “Disertore” di Boris Vian, se si pensa alla sensazione dilagante di impotenza del popolo americano, costretto a combattere una guerra che non aveva scelto né condivideva. Nel momento il cui il cittadino stesso giunge a decretare dal basso che la guerra è finita, vuol dire che essa si è conclusa davvero, non essendoci più forze da schierare al fronte né dita che premono un grilletto.
Se “I Ain’t Marching Anymore” stava – stando alle parole di Phil Ochs – “al confine tra il pacifismo e il tradimento”, in “The War Is Over” quella linea viene decisamente superata a favore di una collettiva obiezione di coscienza. Le immagini si fanno brutali al termine della sua visione, quando nell’ultima strofa presagisce quali saranno gli orrori dei veterani una volta rientrati in patria, dove nessuna gloria li attende. Al fine di sottolineare questo desolante aspetto, le fanfare accennano a un altro classico di Ochs (“I Ain’t Marchin’ Anymore”) negli ultimi secondi del brano.

Quindi fate il vostro dovere, ragazzi, e arruolatevi con orgoglio
servite il vostro paese nel suo suicidio
trovate le bandiere, così potete sventolare un addio
ma giusto prima della fine, vale la pena provare anche il tradimento
questo paese è troppo giovane per morire.
Io dichiaro che la guerra è finita
è finita, è finita!

348853423pigasus_the_immortal_held_upQuando la canzone venne cantata per la prima volta in pubblico il 23 giugno 1967, ci fu una accesa protesta a Los Angeles, che non si concluse nel modo costruttivo auspicato da Ochs. Iniziata come una cerimonia pacifica, la polizia trasformò l’evento in un episodio di guerriglia urbana. L’incidente che rovinò per sempre la visione ottimistica di Phil ebbe tuttavia luogo a Chicago. Amico fraterno dell’attivista Jerry Rubin, Ochs si era recato a Chicago per suonare al Festival Of Life, la manifestazione allestita in opposizione alla Convention Democratica. Al gruppo degli Yippis venne allora una brillante idea: proporre un loro candidato. Phil Ochs, Stew Albert e Jerry Rubin trovarono così un agricoltore dell’Illinois disposto a venderli un grosso maiale per soli venti dollari; poiché Phil era l’unico con i soldi, l’onore dell’acquisto spettò a lui. Il 23 agosto 1968 tennero dunque una conferenza stampa fuori dal Civic Center di Chicago per annunciare la campagna presidenziale di “Pigasus”.

La sera del 25 agosto portò in città 7.500 dimostranti, molti dei quali al Lincoln Park. La polizia, su ordine del sindaco Richard Daley, li accolse con manganelli e gas lacrimogeni. Una violenza ingiustificata e inaudita, che ispirò Graham Nash a scrivere la canzone “Chicago”. Ma nonostante “tutto il mondo stesse guardando” (come urlava la folla dinanzi alle telecamere), la maggioranza rimase silenziosa e non ci fu l’indignazione che Ochs si aspettava. Anzi: stando ai sondaggi, una larga percentuale appoggiava persino la reazione violenta delle forze armate.
Spaventato dalla prospettiva di un popolo sempre più obbediente e inetto, il cantautore cominciò gradualmente a staccarsi dall’approccio giornalistico della sua musica. Probabilmente a molti allora è sembrato uno sketch lugubre vedere la copertina che Ochs progettò per il suo “Rehearsal For Retirement” – con la propria lapide che recitava: “Nato a El Paso, Texas, nel 1940; morto a Chicago, Illinois, nel 1968” – ma qualcosa dentro di lui effettivamente morì quel giorno.

La sera degli scontri, Ochs aveva invitato a suonare Pete Seeger, Paul Simon e molti altri, ma fu l’unico cantante folk a esibirsi (e tra i pochi coraggiosi ci furono anche gli MC5). Con lui sul palco molti giovani inziarono ad applaudire per poi bruciare le cartoline di leva quando Phil invitava tutti al “tradimento”. Il cantautore cercò anche di coinvolgere le giovani guardie nazionali, senza successo, e per la prima volta in vita sua Ochs sentì di non avere il potere di cambiare i pensieri delle persone. Lasciò Chicago disilluso dall’idea che il sistema potesse essere aggiustato. Ci sarebbe tornato un anno più tardi per testimoniare nel processo dei “Chicago Eight”, con l’accusa di cospirazione ai danni dello stato. Non ci fu nessuna condanna per lui ma da allora l’Fbi intensificò la copertura.

Nei sette anni che trascorsero fra la sua dichiarazione anti-guerra e la conclusione effettiva della stessa, Phil Ochs divenne un uomo paranoico, alcolizzato e vittima di una depressione che non mollerà mai la presa. Le sue corde vocali furono segnate per sempre dall’attentato che subì quando fu strangolato mentre passeggiava lungo una spiaggia della Tanzania. Anche per questo, forse la versione più rappresentativa di “The War Is Over” non è quella marziale e barocca presente nel disco “Tape From California”, ma quella acustica eseguita dal vivo al Central Park nell’evento omonimo, che Phil Ochs intonò con voce flebile l’11 maggio 1975, dinanzi a oltre 100.000 persone. In quel momento la guerra era realisticamente giunta alla fine, dopo la caotica liberazione di Saigon. L’ironia del destino volle tuttavia che, solo pochi mesi più tardi, si sarebbe conclusa – con una sconfitta – anche la battaglia di Phil, morto suicida in casa della sorella.

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