Barclay James Harvest – Once Again

Chi sono i Barcley James Harvest? Inizialmente denominati “The Blues Keepers” nel 1967, decisero però di avere bisogno di un nome più originale e curioso per il mercato discografico, così esso venne dato tramite dei fogli di carta in cui ognuno scrisse qualcosa: James, dal nome di un ragazzo che suonava con la band inizialmente, Harvest perchè vivevano in una fattoria e Barclay come la banca, perchè volevano fare soldi!

Dopo un primo album omonimo, Once Again venne registrato con un’orchestra a Abbey Road allo scadere del 1970 e rilasciato nel febbraio 1971 sotto etichetta Harvest (che si vocifera debba il proprio nome al gruppo): è un piccolo gioiellino dimenticato, in stile tardo-psichedelico.

Apre lFile:BJH OnceAgain.jpge danze la conturbante She Said, una canzone d’amore vivace, con un bel passaggio di flauto medievale nel mezzo. La sezione ritmica trasuda emozioni attraverso il basso di Les Holroyd e la batteria di Mel Pritchard, i cui pattern riescono a fornire un vortice di continuità alla voce. Il brano è il risultato di due registrazioni originali poi mescolate insieme per una miglior resa. Nel complesso, la costruzione di questo pezzo suona simile ai primi King Crimson, ma i BJH non hanno la pretesa di esplorare maggiormente la musica e la canzone finisce semplicemente per sentirsi più come una raffinata ballata: si tratta di un imponente prog-classico, ricco di svettanti chitarre e sontuosi mellotron, con una melodia basata su un assolo registrato dal chitarrista John Lees. Dopo un primo tratto frenetico e una dolce pausa di flauto nel mezzo è tutto pronto per il gran finale, in cui la band ci colpisce con tutto quello che ha… Un brano incredibile.

Happy Old World” è meno convincente se paragonata alla precedente, e sicuramente più legata all’album di debutto. Il bassista cerca di strafare, il batterista non concretizza nulla e il flusso del testo stesso non scorre molto liscio ma il ritornello è ancora buono, con un coro psichedelico infantile e il pianoforte che chiude il brano ridandole la grazia a tratti dimenticata. In “Song For The Dyingpossiamo senz’altro sentire le influenze dei Moody Blues e dei Beatles, ma questa non è una cosa per forza negativa. Si tratta di una potente canzone contro la guerra dove le parti più delicate di piano costruiscono un crescendo con la chitarra fino all’entusiasmante ritornello (“It’s not for you we cry, no, not for those who die, it is only for their sons, forget the lives of others who are gone“). Ispirata a John Lees dall’inno americano (“The Star-Spangled Banner”) il tastierista Stuart “Wooly” Wolstenholme le darà voce, cantando gli orrori della guerra in una canzone malinconicamente perfetta.

Galadrielè un altro piccolo gioiellino. Trovo le trombe del supporto orchestrale un po’ sconcertanti all’inizio, ma la strumentazione in generale è magistrale: si tratta di una bellissima rievocazione pastorale alla regina degli elfi di Tolkien, in cui John Lees suona una delle chitarre di Lennon cantando con voce suadente e accompagnato da una magica profusione di mellotron. E senza troppa fatica abbiamo raggiunto la vetta della montagna con “Mockingbird“, una delle canzoni più note dei BJH; John Lees scrisse questo brano già nel 1968, mentre viveva con i genitori della sua futura moglie, Olwen (il brano si sviluppa proprio da una frase di “Pools of Blue“, che scrisse in quel periodo). Un capolavoro da ascoltare senza troppe presentazioni.

Dopo il culmine ha inevitabilmente inizio la parabola discendente. Vanessa Simmonsè una canzone acustica folk senza troppe pretese… Si inserisce bene, è leggera e rilassante ma dopo “Mockingbirdsuona sicuramente deludente. E sembra di passare direttamente dall’antipasto al dolce quando ci troviamo la seguente “Ball and Chain“, la canzone più pesante dell’album, in cui Woolly canta addirittura attraverso un bicchiere di carta! I versi non cantati ma che compariranno più avanti  (“If I could live my whole life again I would not be on this prison train and I’d have no trouble from my ball and chain“) forse avrebbero chiarito meglio il significato di questo oscuro brano, che vuole rendere l”idea della prigionia e che sembra essere liberamente ispirato alla canzone di Janis Joplin. Un orecchiabile rock ma nulla di più. La leggera Lady Loves”  presenta invece l’importante contributo di un certo (allora un semplice operatore) Alan Parson che qui suona l’arpa a bocca e forse solo per questo merita di essere menzionata.

Gli spigoli sono chiaramente evidenti nella sezione finale ma l’album trasuda una corposità e una energia che mantiene la sua freschezza fino ai giorni nostri. Da ascoltare!

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