Canned Heat – Boogie with Canned Heat

La storia dei Canned Head è la storia di due grandi personalità che si incontrano.

Alan Wilson nacque nel 1943 ad Arlington (Massachussetts) da una famiglia di operai, che conscia del talento del figlio ne incoraggiò l’interesse per la musica: così da adolescente Alan suonó il trombone in svariati gruppi scolastici, compreso un Ensemble jazz denominato The Crescent City Hot Five. Dopo il diploma si spostò a Boston per frequentare l’Universitá, prendendo in considerazione l’idea di laurearsi in musica e frequentando i locali folk di Cambridge, dove si esibivano, tra gli altri, anche gli artisti blues della zona: proprio in questi anni mise assieme un gruppo con David Evans, iniziando a suonare nell’area universitaria, con Evans alla voce e Wilson alla chitarra e all’armonica, in un repertorio consistente in vecchie canzoni blues di Tommy Johnson, Booker White e Robert Johnson.
Nel 1964, Wilson incontró il bluesman del Delta Booker “Bukka” White: parlando con lui, Wilson venne a sapere che il suo idolo Son House era ancora vivo e così con alcuni amici lo trovarono a New York nel giugno del 1964; con ogni probabilità fu proprio Alan Wilson a spingere Son House a riprendere la musica, che aveva abbandonato negli anni dopo continui abusi d’alcool (ed infatti Wilson si può anche sentire sull’album Father of the Delta Blues di House).

Nel 1965, il laureando John Fahey si esibì in un concerto a Cambrige, dove ebbe modo di conoscere Alan Wilson, che si propose di aiutarlo nella scrittura dei testi in cambio di un passaggio a Los Angeles ed una camera con pensione. In California, gli orizzonti personali e musicali di Wilson si espansero considerevolmente: oltre alla scoperta dell’LSD, Alan incontrò il suo coetaneo Bob Hite, la sua anima gemella musicale che qui gestiva un negozio di dischi: i due avrebbero finito perfino per pubblicare una rivista insieme, anche se dalla vita breve, dedicata ai dischi R&B che tanto amavano. Hite e Wilson diventarono rapidamente grandissimi amici: entrambi ossessionati dai dischi del blues rurale del periodo precedente alla Seconda Guerra Mondiale, Bob prese qualche lezione da Alan che in cambio gli permise di usare il suo materiale. Con John Fahey, i due inseparabili amici decisero di formare una “jug band” ma quando Wilson espresse il suo interesse per la chitarra elettrica, un contrariato Fahey se ne andò a gambe levate: Alan trovó allora il suo chitarrista elettrico ideale in Henry Vestine (del Maryland), un vecchio amico di Fahey influenzato fortemente da Albert King, B.B. King  ed Albert Collins. Ultimata la band con gli inserimenti del bassista Mark Andes e del batterista Frank Cook, il gruppo inizió così a esibirsi in una serie di concerti con la sigla Canned Heat Blues Band (prendendo il nome da una hit di Tommy Johnson del 1928), fino all’incontro coi managers Skip Taylor e John Hartman che gli assicurarono un contratto con la Liberty Records; proprio allora però ad un uscente Mark Andes subentrò Larry Taylor, un bassista talentuoso proveniente dai gruppi di Chuck Berry e Jerry Lee Lewis.

Il primo album omonimo The Canned Heat (1967, Liberty) consisteva in una riscoperta degli standards del blues e proprio durante questo periodo il gruppo selezionò i propri soprannomi: Alan Wilson era già noto come “Blind Owl” (la civetta cieca), epiteto datogli da John Fahey per la sua faccia rotonda ed i suoi problemi di miopia, Hite fu chiamato “The Bear” (l’orso) per la sua enorme stazza, Larry Taylor si trasformò in “The Mole” (la talpa), Henry Vestine divenne “The Sunflower” (il girasole), per la sua esile figura ed i lunghi capelli biondi, infine il nuovo batterista Adolfo de la Parra venne denominato semplicemente “Fito”.

Depurandosi dell’appellativo “Blues Band” (pensando che questa qualifica avrebbe scoraggiato il mercato discocanned-heat-boogie-withgrafico pop), il secondo album della band si intitolò Boogie With Canned Heat e presentò maggior spazio per il repertorio auto-composto; registrato ai Liberty Studios di Los Angeles il 6 settembre del 1967 e rilasciato il 24 aprile 1968 su etichetta Liberty, esso si conquistò anche i gusti della difficile pleatea hippy, in un blues che venne arricchito da guide boogie e servito con un’aura psichedelica, in maniera non dissimile da Paul Butterfield e John Mayall & The Bluesbreakers; fulcro della melodia è ancora una ruggente chitarra solista/slide combinata con l’armonica, qualche pianoforte, percussioni spigolose ed un basso ipnotico, con una allettante sezione di fiati per gentile concessione del Dr. John Creaux.

Il disco ha il suo diabolico battesimo con il blues sincopato e seducente di “Evil Woman” mentre la seguente My Crime” accende maggiormente i riflettori sulla voce profonda di Bob Hite in un testo liberatorio ed irriverente (“‘Cause the police in Denver, no, they don’t want none of them, long hairs hanging around and that’s the reason why, ooh well, well they want to tear Canned Heat’s reputation down“).

La celebre “On the Road Again” viene estrapolata da un vecchio pezzo di James Oden, con uno sfondo di sitar e l’incredibile falsetto di Wilson che la riportano a galla: originalmente sul lato B di un 45 giri, iniziò ad essere trasmessa dalle stazioni radio del Texas e fu ristampata dalla Liberty Records nel lato A di un’altro singolo. La canzone esemplifica il profondo interesse per la musica classica indiana di Wilson che qui, infatti, si cimenta con gli strumenti tradizionali di questa terra, come la tambura e la veena: la natura modale della musica indiana viene miscelata alla tradizione pentatonica blues dei vari Fred McDowell, John Lee Hooker e compari, in un brano di grande fascino mistico e nostalgico (“I’m going to leave the city, got to go away, all this fussing and fighting, man, I sure can’t stay“).

Alla tagliente “World in a Jug” seguono le più tradizionali Trementina Moan“, con un ritmo persuasivo della chitarra ed un bel pianoforte discontinuo e Whiskey Headed Woman n° 2“, con un titolo che pare quello di un profumo, ed infatti presenta una flagranza davvero inebriante che fa il verso al Delta Blues di “Whiskey Headed Woman” di Tommy McClennan.

La tossica “Amphetamine Annie” rappresenta una insolita parentesi psichedelica, sia nella sonorità contagiosa che nel testo lisergico (“This is a song with a message, I want you to heed my warning, I wanna tell you all a story about this chick I know, they call her “Amphetamine Annie”, she’s always shovelling snow, I sat her down and told her, I told her crystal clear “I don’t mind you getting high but there’s one thing you should fear“); l‘accattivante “An Owl Song” non rompe l’incantesimo della traccia precedente, complice anche la voce da stregone effeminato di Alan “Blind Owl” Wilson, che qui si dedica ad un cantico amoroso intitolato come il suo “animale guida” ed accompagnato, tra le altre, da una inebriante sezione di fiati.

La strumentale “Marie Laveau” è un convenzionale blues offerto in sacrificio alla sacerdotessa del voodoo di New Orleans mentre chiude le danze Fried Hockey Boogie“, scritta dal bassista Larry Taylor, nel primo disinvolto ed autentico boogie della band. Una curiosità: la più tardiva “Spirit in the Sky” riprende platealmente il riff iniziale di questa canzone, che è a sua volta basato su “Boogie Chillen” di John Lee Hooker… Eh già, l’eterno ritorno di Nietzsche tormenta anche la musica!

Nell’estate del 1969 i Canned Heat subirono una grossa perdita: Henry Vestine sviluppó una forte dipendenza dalle droghe e, solo qualche giorno prima del concerto di Woodstock, lasció il gruppo dopo aver litigato con uno stanco Larry Taylor. Dopo il bellissimo Hallelujah, (Liberty, 1968) la band trovó un nuovo chitarrista in Harvey Mandel, che nonostante un curriculum diverso fu capace di integrarsi nel suono blues-rock della formazione, che con questa line-up registrò l’album live Future Blues, (Liberty, 1970) considerato dai più come uno dei migliori dischi dei Canned Heat.

Ma le tragedie, si sa, sono sempre dietro l’angolo: Alan Wilson cedette alla depressione e morì per una overdose di barbiturici, anche lui alla maledetta età di 27 anni (ambientalista convinto, molti colleghi interpretarono la sua morte come un suicido, un tentativo deliberato di lasciarsi alle spalle un pianeta autodistruttivo ed indifferente); Bob Hite, frustrato dalla popolarità del gruppo, svanì gradualmente dalla scene e morì per un’overdose accidentale di eroina nel 1981. Henry Vestine fu invece, inaspettatamente, l’artefice della rinascita del gruppo negli anni Novanta ma perì per una insufficienza cardiaca e respiratoria in un hotel parigino il 20 ottobre 1997, proprio quando la band era in procinto di rientrare negli Stati Uniti.

Questo è un album che mette d’accordo un po’ tutti: puristi e rivoluzionari del blues, drogati di psichedelia, maniaci del rock ‘n’ roll, cultori del boogie-boogie… Un grande capolavoro proteiforme dei Canned Heat.

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