Eloy – Floating

Realizzato negli stessi studi in cui gli Scorpions stavano registrando Fly to the Rainbow (a cui Frank Bornemann ha collaborato), il terzo album dei tedeschi Eloy segue un percorso molto simile rispetto al suo predecessore Inside, nonostante il repertorio contenuto al suo interno sia stato trattato con una maggiore cura negli arrangiamenti. Nei 18 mesi trascorsi dalla registrazione del loro secondo album, gli Eloy avevano nel frattempo cambiato il proprio bassista – Wolfgang Stocker era, infatti, stato opportunamente sostituito da Luitjen Jansen – ma il nucleo centrale era rimasto intaccato: organo (Manfred Wieczorke) e chitarra (Frank Bornemann) continuavano ancora a competere per attirare l’attenzione dell’ascoltatore, tuttavia la band decise di proporre un hard-rock più multiforme, con gli istinti Krautrock sedati e tenuti sotto controllo a favore di accordi più sviluppati in stile sinfonico, tecniche di registrazione più lucide ed una Weltanschauung decisamente più concreta. Una maggiore qualità del suono che portò, inevitabilmente, ad una minore grinta primordiale! 51SfSxTi8mL

Edito nel 1974 con una surreale copertina colorata – opera del francese Jacques Wyrs (collaboratore, peraltro, di Klaus Schulze) -, Floating risente senza dubbio del lavoro del leader Frank Bornemann con i compaesani Scorpions: può essere una mera coincidenza, ma gli Eloy nel loro terzo album registrarono del materiale molto più grintoso rispetto a quello presente su Inside. E se le analogie con i Pink Floyd e gli Hawkwind rimangono invariate, alcune delle tracce si rifanno maggiormente ad un heavy-rock più vicino ai Deep Purple, per esempio; se poi ci mettiamo una buona produzione, trasparente e dettagliata, ci troviamo di fronte ad un disco che offre inevitabilmente delle sensazioni più nitide, rispetto alle jam spaziali sfuocate dell’album precedente.

Si comincia con la title-track “Floating“, una improvvisazione heavy-rock basata su una melodia molto efficace che offre mutevoli stati d’animo, alternando atmosfere rilassate ad altre più dinamiche e percussive, nel mezzo di ritmi latini, fendenti chitarrarristici e diabolici organi Hammond; non vi è nessuna voce reale, soltanto la reiterazione di una semplice linea vocale per sostenere la melodia principale. Dopo una buona introduzione, il culmine del disco viene presto raggiunto con la babilonica suite The Light from Deep Darkness“, che incarna le principali virtù dell’album: in un tema musicale concettuale circa il tempo della Creazione, la traccia inizia in maniera arcana e misteriosa, convertendosi poi in “viaggio” pesante, mescolando sempre un dialogo siderale tra l’organo Hammond ed una ringhiante chitarra. L’estatica Castle in the Air” viene decantata da Bornemann nel mezzo di una tempesta esotica africana, con una sezione ritmica che affonda inesorabilmente nella sabbia, fino a riafforare malignamente nella sintetica “Plastic Girl“, dove si punta il dito contro le ipocrisie del nostro mondo (“the synthetic world destroyed all my feelings, she’s a girl full of plastic, she’s a plastic girl“), in una canzone caratterizzata strumentalmente dall’unica digressione egli Eloy col sintetizzatore Moog (opera di Wieczorke, non accreditato); giunti al termine di questa “fluttuazione”, l’alienazione in camice bianco di Madhouse” riassume con una buona dose di paranoia tutto ciò che è stato fatto in precedenza: una folle canzone freak ‘n’ roll divisa in due parti da uno spaventoso interludio, con la voce di Bornemann in modalità “Ian Anderson senza flauto” (proprio come in Inside), che lotta contro l’entropia galattica delle percussioni.

Gli Eloy furono una band molto eclettica, ed è per questo che nella mia personale classifica Krautrock si trovano indubbiamente nella top 5: in generale, l’ispirazione in questo disco confluisce in maniera più pulita rispetto ai lavori precedenti. Le canzoni sono ben composte, con molte variabili e varianti: Floating forse non è abbastanza eccezionale per essere definito un capolavoro, ma sicuramente è un ottimo album.

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