The Sensational Alex Harvey Band – Framed

Correva l’anno 1972. Alex Harvey aveva raggiunto i 37 anni, un’età ormai avanzata per poter realisticamente considerare di divenire un’edonistica pop-star. Già nella seconda metà degli anni Cinquanta, l’estroso musicista scozzese era partito dalla sua nativa Glasgow per cercare fama in Inghilterra e, quando tutti suonavano musica skiffle, agli inizi del nuovo decennio Harvey fu uno degli artefici del Revival Blues, pubblicando tre album con la sua Alex Harvey’s Big Soul Band (Alex Harvey and His Soul Band e The Blues nel 1964 e Roman Blues Wall nel 1969): la sua eclettica esperienza e la sua eccentrica personalità lo portarono nel 1967 a partecipare per cinque anni alla rappresentazione live del musical iconoclasta “Hair” (di James Rado e Gerome Ragni), ma fu nel 1972 che Harvey costituì il suo gruppo più conosciuto, una delle più formidabili formazioni del nascente genere glam, la Sensational Alex Harvey Band, scritturata dall’etichetta Vertigo dopo la parentesi solista di The Joker is Wild (1972).

Facciamo però un passo indietro – nello stesso 1972, la vita di Alex Harvey fu segnata da una tragedia: Leslie, il fratello minore, era morto in un incidente durante un sound-check con il suo gruppo (gli Stone the Crows) presso il “Top Rank” di Swansea, dove rimase fulminato in una piovosa giornata di maggio. Questo drammatico evento spinse Alex a tornare in Scozia, su consiglio del suo manageAlex+Harvey+UK+Framed+-+Swirl+491628r e mentore Bill Fehilly che gli suggerì di riparare nella sua nativa Glasgow, dove Harvey chiamòa sè alcuni vecchi amici nei Tear Gas, una band fortemente radicata nelle tradizioni scozzesi. Con questa stessa formazione ma con un cambio di sigla, Framed venne registrato in meno di cinque giorni ai Morgan Studios londinesi, con un mix di nuove creazioni, magici intrugli e vecchi successi che Harvey aveva suonato negli anni precedenti. Sul palcoscenico, davanti ad Alex stretto nei suoi jeans e con un vistoso fazzoletto rosso in testa, c’era il chitarrista Zal Cleminson, vestito con una tuta di gomma verde ed il make-up di uno spaventoso clown, mentre sull’altro lato del palco si potevano scorgere il sosia di Elvis in una scollatissima tuta blu, Chris Glen (basso) ed i più ordinari (almeno visivamente!) fratelli McKenna, Hugh (tastiere) e Ted (batteria).

La title-track “Framed” accende subito gli animi con un hard-blues che mette a fuoco la potenza propulsiva della sensazionale band di Alex Harvey, incorniciando poi l’indiscusso capolavoro dell’album, “Hammer Song“, che martella l’incudine delle nostre frigidità mentali, insinuandosi prepotentemente in testa per fomentare ogni nostra recondita libidine. Come la traccia precedente, anche la successiva sferzata rock di “Midnight Moses” è una rivisitazione di un vecchio brano apparso su Roman Wall Blues, mentre l’occulta “Isobel Goudie” lascia invece spazio ad un lungo racconto prelevato da una leggenda scozzese inerente l’ultima strega bruciata viva (pare, lontana antenata dell’artista), racchiusa in una canzone molto sottile e divisa in tre parti, in cui Harvey racconta la storia di una ragazza che “non fa le cose come dovrebbero” (“she does not do the things she should“). La traccia inizia lentamente con il riff di Cleminson accompagnato dall’organo Farfisa di Hugh McKenna e dalla voce infantile di Harvey, mentre le varie sezioni si intrecciano nel furioso recitativo del “coitus interruptus“, scandito con un accento scozzese alquanto distintivo.

Dopo il il blues pianistico ed insolente di “Buff’s Bar Blues” e la cover denaturata di “I Just Want to Make Love to You” (originale di Willie Dixon) rivisitata con pathos ed irriverenza, si fa in seguito largo “Hole In Her Stocking“, un vecchio brano di Harvey qui riproposto con la veemenza di un agonizzante sassofono che sconvolge l’atmosfera nel mezzo della composizione. Possiamo successivamente apprezzare il lato più cabarettistico della band nella folgorante “There’s No Lights On The Christmas Tree, Mother They’re Burning Big Louie Tonight“, la storia raccapricciante di un gangster in attesa della sedia elettrica, un rituale voltaico in cui la polka viene alterata da elettrocuzioni country, deviate in una ballata che con la cordialità natalizia non ha proprio nulla da spartire. La sfavillante “St. Anthony” chiude infine le danze con un sozzo blues distorto, ancora marchiato a fuoco dalla voce arcaica e ruspante del condottiero-glam Alex Harvey.

The Sensational Alex Harvey Band è stata – seppur per un breve periodo – una delle più grandi band da palcoscenico in Europa, ma purtroppo il carico di lavoro era semplicemente troppo e così, dopo aver vissuto sulla sua pelle il declino della sua salute, Alex lasciò la sua creatura nel 1978. Poco più tardi, nel 1982, Alex sarebbe morto di un attacco cardiaco proprio mentre era in tour con la nuova band (gli Electric Cowboys) in Belgio, un giorno prima del suo quarantasettesimo compleanno. Anche se la carriera di Alex non prese mai definitivamente fuoco (sotterraneo anzi il suo nome in un ginepraio di mille altri nomi dimenticati) Harvey è stato sicuramente uno dei più grandi maestri del rock’n’ roll di sempre!

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