Arzachel – Arzachel

Simeon Sasparella, Sam Lee-Uff, Njerogi Gategaka, Basil Dowling: questi buffi nomi forse echeggieranno a vuoto nelle vostre menti, dando il via ad un riverbero di lecita ilarità. Chi sono questi Arzachel, nati e morti nello stesso pomeriggio di un lisergico giorno del 1969?
Cominciamo dall’inizio, ovvero dagli Uriel, la band formata dagli allora teenagers Steve Hillage, Dave Stewart, Clive Brooks e Mont Campbell nel 1967: un progetto di breve permanenza per Hillage, che per impegni universitari decise di lasciare il gruppo; dalle ceneri del progetto-Uriel nacquero gli Egg, messi sotto contratto dalla Decca nello stesso anno.
La band ebbe un discreto successo e venne contatta dalla sconosciuta Zackariya Enterprises che propone loro di registrare un album prettamente psichedelico, ma in un solo pomeriggio di lavoro: per l’occasione i tre musicisti chiamarono il vecchio compagno Steve, che accettò di partecipare alla sfida. Per motivi contrattuali (erano infatti vincolati legalmente alla Decca), il disco fu progettato interamente sotto pseudonimo e perfino la copertina venne disegnata a pennarello dallo stesso Dave Stewart; Arzachel fu il nome scelto da Campbell (dal nome del cratere lunare affisso in un poster nel suo bagno!) e gli stessi musicisti crearono a loro volta i propri alter-ego: Hillage si battezza Simeon Sasparella (“un bel nome per testare i microfoni”), Campbell si fa chiamare Njerogi Kategaka (per le sue origini afro-nipponiche), Stewart diventa Sam Lee-Uff (dal soprannome del suo vecchio insegnante di latino) e Brooks si evolve in Basil Dowling (dal suo vecchio professore di matematica).

Registrato “solo per farsi una risata” dirà in seguito Hillage – l’album appare come un gioco dall’inizio alla fine, e il risultato è pura magia nera. La prima traccia è “Garden of Earthly Delights“, dove altamente suggestivo è il duetto vocale tra i titani Hillage e Campbell, mentre l’organo di Stewart si fa sentire impercettibilmente come il vento tra i fili d’erba e l’assolo finale di Hillage sembra accompagnare affabilmente l’ascoltatore in visita nel proprio eden. Sul versante opposto appare la successiva “Azathoth“, più sinistra e tetramente clericale: la divinità dell’immaginario lovecraftiano (“centre of confusion, ruler of the dead beneatha sea of cloud“) è celebrata dall’organo hammond in modalità ecclesiastica che si amalgama ancora al liturgico quanto lisergico binomio canoro, deformandolo in un sermone ancestrale letargico.
Queen St.Gang” è un ottimo esercizio strumentale, apparentemente la traccia meno scompigliata del disco, plasmata da un funk dal sapore cosmico. La sucessiva “Leg” inizia con una maschera arlecchiniana di suoni per poi rivelare il suo volto in un pesante blues liricamente non-sense, con tentacolari assoli che illuminano il cielo come impetuose saette: una bolgia sonora che sa di proto-punk, spoiler della seconda parte del lavoro che sembra risentire dello scadere del tempo, in una accanita lotta all’orologio a suon di psichedelia vera e propria. La lunatica “Clean Innocent Fun” null’altro è che uno squilibrato blues, con Brooks e Campbell che dettano un tempo contrastato e a tratti negato da Hillage, in una zuffa sonora che raggiunge l’apice nel capitolo conclusivo di “Metempsychosis“: 16 minuti di testamento musicale stilato da una jam selvatica al limite del pinkfloydiano di A Saucerful of Secrets .

Un album raro, che sparì dai negozi ed un conseguente costo elevato: una gemma preziosa, germoglio di ciò che diverrà la scena di Canterbury e dei suoi componenti principali (Hillage e Stewart in primis).

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