Area – Arbeit Macht Frei

Il gruppo iconoclasta degli Area nacque nell’estate del 1972, precisamente nelle sedute di registrazione del primo album solista di Alberto Radius dei Formula 3, strutturato come una sorta di grande jam session: nel brano strumentale “Area” si ritrovarono infatti ad interagire il vocalist Demetrio Stratos, il batterista Giulio Capiozzo, il tastierista Leandro Gaetano, il bassista Jan Dijvas ed il chitarrista Johnny Lambizzi; data la buona riuscita della composizione, il quintetto decise di proseguire per la sua strada e si espanse con l’aggiunta del sassofonista Edy Busnello.

Sfumato un contratto per la Numero Uno di Mogol e Battisti, il sestetto approdò sotto l’egida della nuova etichetta di Gianni Sassi, la Cramps; del primo fantomatico album Fading Faces in a Walking Dream registrato alla fine del 1972 non si ebbero più notizie, mentre nell’estate del 1973 gli Area erano già al lavoro con una formazione rimaneggiata: via Gaetano e Lambizzi, arrivarono nella line-up Patrizio Fariselli e Paolo Tofani, con quest’ultimo che si unì al gruppo a sessione ormai conclusa.

In Arbeit Macht Frei, edito a settembre del 1974, si sporgono propotentemente dal proscenio le influenze jazzistiche di Busnello, che venne estromesso dalla band poco dopo l’uscita del disco, a causa della sua inaffidabilità; tutte le musiche sono state composte ed arrangiate da Patrizio Fariselli, mentre i testi furono opera di Gianni Sassi (alias Frankenstein) e Sergio Albergoni. L’inquietante copertina su sfondo nero, in puro stile Cramps (lo stesso format era infatti presente sull’album “Terra in Bocca” dei Giganti, con l’impronta inequivocabile di Sassi) reca in primo piano il triste motto cheArea_Arbeit_Macht_Frei dominava i cancelli dei campi di concentramento nazisti, accanto ad un mostro ligneo con tanto di lucchetto ed una calibro 38, la pistola divenuta un emblema rivoluzionario in quella fase storica; riguardo all’idea della copertina”l’immagine richiama i mostri del surrealismo. Fotografato da Fabio Simion per la direzione artistica del produttore degli Area e patron della Cramps Records Gianni Sassi, il manichino della copertina, imprigionato da un ceppo chiuso da un lucchetto e il volto ridotto ad una grande bocca costretta anch’essa, è un simbolo di prigionia (…) per sintetizzare gli anni macchiati da un “Settembre nero” che “affoga nel sangue tutta l’umanità” (“Rockstar” n.303, Novembre 2005 – Le Migliori Copertine della Storia del Rock).

La prima traccia “Luglio, Agosto, Settembre (Nero)” venne quasi totalmente tratta da “Yerakina”, una canzone popolare macedone, e si apre con alcuni suadenti versi in arabo (una parte registrata a Milano e non in un museo del Cairo, come riportano le scaltre note di copertina) di una ragazza palestinese che implora il suo sposo di lasciare la lotta armata per tornare a casa da lei (tradotto: “Lascia la rabbia, lascia il dolore, lascia le armi, lascia le armi e vieni a vivere con la pace“); poi, in una progressione di organo, si innesta la voce spettrale di Demetrio Stratos che vola a descrivere l’orrore dei potenti politici che giocano pericolosamente con l’umanità e non si curano delle conseguenze delle loro azioni: “Giocare col mondo facendolo a pezzi, bambini che il sole ha ridotto già vecchi. Non è colpa mia se la tua realtà mi costringe a fare guerra all’omertà. Forse un dì sapremo quello che vuol dire affogare nel sangue con l’umanità“. Segue poi una sezione melodica balcanica dove viene affermato il rifiuto alla rassegnazione e di una pace fittizia che è l’equivalente della sottomissione, una forte affermazione che culmina, infine, nel grido liberatorio di Stratos (“Quando guardi il mondo senza aver problemi, cerca nelle cose l’essenzialità. Non è colpa mia se la tua realtà mi costringe a fare guerra all’umanità“) ponendo il dito sulla contraddizione di due popoli costretti a lacerarsi per una convergenza assurda di interessi economici, religiosi e razziali che vedono gli arabi altrettanto colpevoli quanto gli israeliani, gli europei e soprattutto gli americani. Tra poliritmie, tamburi sporadici e la voce stridente di Demetrio Stratos, con le sue ginnastiche vocali che diventano un altro strumento, questa canzone tocca un tema molto scottante: nei primi anni settanta gli Area sostennero i movimenti della sinistra più estrema che sono stati caratterizzati da un forte antiamericanismo e antisionismo; nel testi prevale un sentimento di empatia con i terroristi, sottolineando che i problemi che generano l’odio che porta ai loro attacchi non sono – ancora oggi – stati risolti.

Il 6 giugno del 1967 una coalizione di Stati arabi attacca Israele, ma l’esercito di Gerusalemme è meglio addestrato: in sei giorni Israele occupa le alture del Golan, tutta la Palestina ed il Sinai, spingendosi all’interno del territorio egiziano; vittima dell’accordo tra Tel Aviv ed il Cairo, l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) venne lasciata a se stessa e così la maggior parte dei combattenti riparò a Beirut e in Giordania, perseguitati poi dai Fratelli Arabi. La rabbia di Al-Fath (la corrente di maggioranza dell’OLP che faceva capo a Yassir Arafat), portò a sovvenzionare un gruppo armato che compì una serie di attentati in tutto il mondo arabo: questa organizzazione si chiamava Settembre Nero, e la sua azione più drammatica fu il massacro di undici atleti israeliani che si trovavano a Monaco di Baviera per partecipare alle Olimpiadi estive del 1972. Dirà Stratos pochi anni dopo l’uscita di questo brano: “Il contenuto politico secondo me c’è anche senza che io dica: “Noi facciamo un pezzo per i compagni palestinesi…”. In radio non ci hanno mai trasmessi, chiaramente tutti avevano dei blocchi morali, si scandalizzavano perché abbiamo fatto un pezzo che si chiamava “Settembre Nero“.

La title track “Arbeit Macht Frei” (“il lavoro rende liberi”: il macabro slogan che dominava numerosi cancelli dei campi di sterminio nazisti) inizia sperimentalmente con una intricata batteria per poi cementificarsi in una scanalatura jazz-rock, tra Frank Zappa e Magma, con tanto di uccelli che cinguettano; il lavoro del sax ricorda qualcosa dei primi King Crimson, spingendo la band in pieno volo a metà della traccia assieme ad una salda linea di basso che sembra tessere a mano ferma tutta la composizione. La voce convinta di Demetrio Stratos recita un brano apertamente contro il capitalismo: nel libretto si può vedere una foto in cui è ritratto un elegante uomo d’affari con la testa da rapace e le parole “Arbeit macht frei”: il raccapricciante motto posto in questo contesto indica il processo per cui l’uomo è ormai divenuto un ingranaggio di una catena di montaggio, e viene trattato come uno schiavo. In seguito, la corrugata “Consapevolezza” viene condotta da sax e batteria in una introduzione frenetica e pensierosa, intersecando poi passaggi più oscuri con una vena eccentrica dove jazz-rock e ritmi esotici stendono un pattern ritmico ipnotico da dove risale la voce suggestiva di Stratos che invita a prendere un ascensore e salire in cielo, aprire gli occhi e vedere drammaticamente cosa succede sulla Terra: “Viaggia nel cielo tra luci di stelle, cavi d’acciaio che danzano muti, lascia partire il tuo ascensore.Tu allora vedrai tutta la squallida realtà di un tabù che l’umanità ha sempre vissuto senza libertà, tutto l’amore ridotto nel nulla riposa vecchio tra mostri di muffa. Lascia partire il tuo ascensore. Schiaccia sul muro senza pietà la tua morale che ti vuole ancora imprigionato tra mediocrità“.

Le Labbra Del Tempo” si dipana in quasi sei minuti di pura improvvisazione jazz, senza mai sedimentarsi in un groove fisso, ma prendendo continue deviazioni su cui riecheggiano i ritmi vocali tra le suggestioni dei paesaggi del Mediterraneo; si tratta di una riflessione oscura sulla vita, sul tempo e sulla necessità di lottare per i propri diritti, superando paure e superstizioni (“L’uomo che ha perso la sua animalità nel buio bianco di un’idiota idealità“). La sensuale “240 Chilometri Da Smirne” è un brano strumentale miscelato tra progressive e jazz fusion, che rimanda alle sperimentazioni dei Soft Machine mentre l’urticante L’Abbattimento Dello Zeppelin“, dopo un’introduzione space-rock, si arena nel jazz e nell’avanguardia più inquietante, a tratti macabra, per sfociare in un frammentato “stop and go” che scuote di fatto la traccia fino a farla morire, esplodendo in una cacofonia quasi Freakout.

Le ultime due canzoni trascinano giù la qualità e la coerenza del disco di almeno una tacca, nonostante prese singolarmente rimangano due buone tracce. Questo è stato l’album di debutto dell’ “International Popular Group” degli Area, ed il meglio doveva ancora venire: quello che è interessante di questo LP è il suo anticonformismo imperturbabile, la sua brutalità senza vergogna, ed è forse uno dei dischi più intensi mai usciti dal territorio italiano, paragonabile per forza solo ad alcune opere de il Banco del Mutuo Soccorso e della Premiata Forneri Marconi. Un disco che trovò anche l’ostracismo di parte della critica, insinuando che il gruppo stesse soltanto cavalcando l’onda delle lotte di classe del periodo.

Nonostante la strumentazione simile ai Soft Machine, invece di estendere l’orizzonte del jazz, Arbeit Macht Frei dispone di diversi momenti in cui forti scanalature di rock emergono dal funk, in una continua faida strumentale vinta dal sax di Busnello e dalla voce di Stratos, un contorsionista vocale che ricorda Di Giacomo dei Banco del Mutuo Soccorso con meno teatralità e più passione, complici anche i testi bollenti di un personaggio come Gianni Sassi. Dopo questo disco assieme a Busnello ne andò anche Dijvas che si unì alla Premiata Forneria Marconi, venendo rimpiazzato da Ares Tavolazzi (dai The Pleasure Machine): l’organico composto da Stratos, Fariselli, Capiozzo, Tofani e Tavolazzi resterà alla storia come la formazione “classica” degli Area, sfornando i successivi capolavori Caution Radiation Area (1974) e Crac! (1975).

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