Amon Duul II – Phallus Dei

Gli Amon Duul stanno al Krautrock come i King Crimson stanno al progressive inglese: perdonatemi questa grezza equazione, ma questo gruppo è davvero un’istituzione.

Leader della band fin dagli albori fu l’iconico Christoph Carrer, chitarrista, sassofonista, violinista e cantante con una fede accecante nel jazz di John Coltrane e di Ornette Coleman, in scena dalla metà degli anni Sessanta con piccole formazioni in compagnia di Edgar Hoffman e Christian Burchard degli Embryo. Dopo aver visto un concerto di Jimi Hendrix, Chris decise di convertirsi al rock, sfruttandone però le svariate interazioni con l’espressività del jazz e la follia psichedelica del periodo hippie.

In una comune politico-artistica di Monaco di Baviera Carrer si alleò coi primi compagni, scegliendo il nome programmatico di Amon Duul, fondendo nella sigla concetti solari egizi e quelli lunari turchi, e sperimentando una musica improvvisata e tribale sullo stile degli inglesi Hapshash & The Coloured Coat. Nell’estate del 1968 Karrer e Rogner andarono a Londra, dove incontrarono la sibilla luciferina Renate Knaup-Krotenshwanz, che finì per unirsi alla comune. Racconterá John Weinzierl di quel periodo: “Eravamo alla ricerca di un nuovo modo di vivere insieme in modo libero e creativo. Conoscevamo il tipo di vita che la società industriale ci proponeva, mangiare, crescere, invecchiare, morire, come delle amebe. Noi volevamo altro“.

Fu in occasione dello storico Essen Sontag Festival del 29 settembre 1968 che emersero i primi dissidi, dividendo di fatto il gruppo in due fazioni: quella reazionaria e politica, guidata da Rainer Brauer e Ulrich Leopold, e quella più interessata alle vicende artistiche e musicali facente capo a Chris Karrer e Peter Leopold, che scelse la carriera rock a tempo pieno.

Nello schieramento capeggiI2dJFqA1cGato dal polistrumentista Chris Karrer si raggruppano la cantante Renate Knaup, Falk Rogner alle tastiere, Johannes Weinzierl alla chitarra, Christian “Shrat” Thierfield ai bonghi e al violino, l’inglese Dave Anderson al basso, Dieter Serfas alle percussioni e Peter Leopold alla batteria. La loro ignoranza tecnica venne bilanciata da una grande spavalderia improvvisativa, che suscitò subito l’interesse della Liberty/United Artists: Phallus Dei (1969) nacque così, rivoluzionario sin dall’oltraggioso titolo, brutale nell’impatto sonoro, un trip acido e spaventoso spalmato su supporto vinilico. La rivoluzionaria produzione di Olaf Kubler dietro le quinte garantì inoltre alla band la massima libertà di espressione, tra percussioni tribali, strumenti scordati ed urla rabbiose, con due ospiti d’eccellenza: Christian Burchard (Embryo) e Holger Trutzsch (Popol Vuh). Musicalmente, gli Amon Duul II offrono una sorta di rock psichedelico, in gran parte ostacolato da inceppamenti perpetui ed un malato senso dell’umorismo, con un tripudio di parti di chitarra grezze, alcune sezioni di violino più popolare, un uso costante delle percussioni e le voci infestate dalla bella Renate Knaup.

In “Kanaan” tra percussioni, sitar e chitarra viene recitato il Padre Nostro in greco, con le risate maniacali della Knaup in un heavy rock intenso e primitivo, con una grande dose di effetti spaziali; questa traccia possiede una marcata atmosfera orientale, vituperata da scanalature estasianti, dissonanze alla Stockhausen, strumenti inquietanti e bizzarri cori disarmonici. Melodie e ritmi esoterici completano un quadro di psichedelia maligna, che ben funge da biglietto da visita all’album.
Il mellotron che apre la porta a “Dem Guten, Schönen, Wahren” ci fa proseguire questo viaggio da incubo, rasentando l’assurdo quando subentra la voce in falsetto ultraterreno di Chris e l’uso spettrale del violino. Ad un certo punto la canzone tocca un meraviglioso groove, ma le deviazioni sono dietro l’angolo: la chitarra psichedelica è l’unica a restare in piedi in tutta questa canzone, paradossalmente intitolata in modo soave (“la bontà, la bellezza, la verità“) nel raccontare la storia di un pedofilo, in piedi per la sua tortura e la successiva esecuzione; interessante il binomio canoro con il colpevole che parla a voce folle e molto acuta, mentre i giudici emettono suoni molto più profondi ed armoniosi.
La teatrale “Luzifers Ghilom” pare quasi preannunciare lo stile vocale espressionista di Damo Suzuki dei Can; la prima parte è segnata inizialmente dall’organo, poi dai bonghi che le conferiscono un mood più psichedelico, portando un denso senso di mistero che si evolve attraverso diversi passaggi sul canto “scat” di Chris; la seconda sezione si concentra, invece, su un motivo di violino cupo, traducendosi infine in una lunga improvvisazione cacofonica e lisergica. La morbosa “Henriette Krötenschwanz” descrive, invece, un fatale incidente stradale con la voce operistica della Knaup, evocando la lunga notte dell’Inquisizione e culminando in una corale marcia militare che chiude è il lato A con una musica che, passatemi il paragone, pare una versione drogata e stranita di “White Rabbit” dei Jefferson Airplane.
L’imponente “Phallus Dei” copre in venti minuti tutto il secondo lato del disco, in un modello inedito ed emozionante di improvvisazione strutturata, che si sposta dallo space-rock del preludio, in cui fluttuano sconnessi la chitarra, il violino ed il sax con svettanti strati di sintetizzatore, a sezioni tribali ricoperte da strati di percussioni su cui i membri della band urlano sardonicamente. La parte conclusiva, in cui la voce di Chris si staglia sul violino elettrico infernale è veramente impressionante: un matrimonio mistico tra Kosmos e Caos che si consuma in un ingorgo strumentale imperscrutabile.

Riflettendo sull’album nel suo insieme, una grande parte della sua particolare bellezza e della sua rilevanza artistica arde nell’amalgama di due fuochi opposti: la fiamma della decostruzione britannica (incarnata nella chitarra e nei suoni della tastiera) ed il rogo dei tempi etnici (rappresentati dalla sezione ritmica). Phallus Dei è, soprattutto, un album seminale per il genere Krautrock, e come tale, ha impostato i canoni di un nuovo modo di comporre progressive-rock: un metodo tutto teutonico basato sulla tensione dinamica originata dalla miscela altamente infiammabile di psichedelia alla Pink Floyd, space-rock, texture esoteriche e sperimentazione all’avanguardia; l‘uso del tedesco arcaico nelle parti cantate sicuramente ha contribuito ad aumentare l’aura mistica diffusa in tutto il repertorio dell’album, con delle escursioni strumentali che risultano allo stesso tempo affascinanti e rozze, tra barbari esorcismi e rivelazioni spirituali.

Phallus Dei è ancora oggi il disco degli Amon Duul II più venduto e, seppur con la sua registrazione grossolana, rimane forse il loro capolavoro più autentico e riuscito, nonostante il successivo Yeti non ne abbia nulla da invidiare in termini di originalità.

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