Brian Eno – Here Come The Warm Jets

Brian Eno, l’ex-manipolatore del suono dei Roxy Music, iniziò la sua fortunata carriera solista nel 1972, anno in cui decise di abbandonare la band per divergenze interne col front-man Bryan Ferry; dopo aver pubblicato con Robert Fripp No Pussyfooting (E.G. Records, 1973), pochi mesi più tardi Eno sfornò il suo album di debutto, un eccentrico guazzabuglio di pop, elettronica e rock, caratterizzato da un cast di primo livello riunitosi ad hoc perchè Brian voleva vedere cosa succede quando si combinano diverse identità del genere e permettergli di competere l’uno contro l’altro“. Ecco, così, che in un unico disco troviamo assieme personaggi del calibro di Robert Fripp e John Wetton dei King Crimson, Phil Manzanera, Andy Mackay e Paul Thompson dei Roxy Music, Bill McCormick dei Matching Mole, Simon King degli Hawkwind e Paul Rudolph dei Pink Faireis. Ma non finisce ovviamente qui, perchè si sa che quando c’è di mezzo l’ex Roxy Music i colpi di scena sono all’ordine del giorno: ed ecco allora che alla cospicuità dei musicisti fa seguito anche una prosperità stilistica che vanta numerose influenze, prima fra tutte quella del glam-rock di David Bowie, scosso però dal doo-woop degli anni Cinquanta e dalla vena elettronica e “sintetizzata” del mago Brian Eno.

A proposito del curioso titolo (un termine slang riferito alla minzione!), il tastierista approfondì in un’intervista: “Il titolo Warm Jets deriva dalla distorsione della chitarra presente nell’omonima traccia, che ho descritto sui crediti come “chitarra a getto caldo”, perché aveva il suono simile a quello di un jet intonato. Poi ho avuto il mazzo di carte da gioco con l’immagine di una donna ed ho avuto il collegamento. Questa era una delle cose che erano in voga al momento: questa idea della musica legata a un’idea di rivoluzione, e che una delle rivoluzioni è stata la rivoluzione sessuale. Non stavo facendo un grande punto in politica, quindi mi piaceva divertirmi con queste cose. La maggior parte delle persone non si rese conto di questo per un lungo periodo – erano cose nascoste piuttosto profondamente!

Le carte a cui Eno fa riferimentbrian-eno-1-here-come-the-warm-jetso sono le famigerate Strategie Oblique, create dallo stesso musicista con l’ausilio dell’artista Peter Schmidt e che proponevano criptici aforismi volti ad aiutare chiunque svolgesse lavori creativi a rompere i propri blocchi mentali, favorendo il cosiddetto “pensiero laterale” (un approccio logico indiretto atto a risolvere una situazione, che non prevede però la concentrazione necessaria al metodo “tradizionale”). Emblematica a tal proposito è la fotografia di copertina, contraddistinta da una surrealistica presenza di oggetti: d’altronde, Brian Eno iniziò la sua carriera proprio alla scuola d’arte, originariamente intenzionato a diventare un pittore, e le cover dei suoi album nel corso degli ultimi quattro decenni hanno saputo riflettere il suo interesse di lunga data per l’arte visiva; la ceramista Carol McNicoll, l’allora fidanzata di Eno e cervello dietro ai costumi dei Roxy Music, supervisionò la copertina di Here Come The Warm Jets, in un “pastiche” fotografico di fiori morti, carte da gioco, mozziconi di sigaretta, una teiera della stessa Carol ed alcuni ritratti di Eno nella sua fase glam-rock, il tutto denso di riferimenti codificati.

La tagliente apertura di “Needles in the Camel’s Eye” (dal titolo ispirato alla chitarra di Manzanera) ha un’atmosfera quasi proto-punk che la attraversa di soppiatto, tra i riff della chitarra di Chris Spedding che si dimenano sui lamenti indecifrabili di Brian Eno ed un agitato ritmo percussivo. La successiva The Paw Paw Negro Blowtorch” è, invece, probabilmente l’unica canzone che rasenta le atmosfere dei Roxy Music, una traccia che, a detta di Eno, “celebra la possibilità di una storia d’amore con l’uomo” e che concerne le vicende di A. William Underwood di Paw Paw, un giovane afro-americano vissuto alla fine dell’Ottocento che aveva delle presunte capacità psicocinetiche, che lo rendevano capace di dare fuoco a qualsiasi cosa col suo stesso respiro; come nel primo brano, anche qui la parte della chitarra è ricoperta da Chris Spedding, che costruisce un muro disorientante alla voce paranoica di Eno, che pare andare a fuoco anche lui, e la stessa vampata incendiaria non si spegne su Baby’s on Fire“, una delle canzoni più apprezzate di Eno del suo periodo “vocale” (portata anche nel celebre concerto del 1° giugno 1974 con Kevin Ayers, John Cale e Nico), soprattutto a causa della chitarra solista del re Cremisi Robert Fripp che si dipana per circa 3 minuti, imbastendo un incandescente pop-rock sporco come la friggitrice di un McDonald, dove il testo senza senso si fonde con qualcosa di veramente sinistro e minaccioso.
La stravagante “Cindy Tells Me” è una rarità per un album di Eno, un brano che utilizza delle belle armonie vocali che defluiscono paradossalmente in una ballata retrò in stile Beach Boys, scandita però con una voce più nasale di Mike Love e da un penetrante assolo di chitarra che in qualche modo riesce ad adattarsi perfettamente ai vari effetti elettronici galleggianti selvaggiamente nel background. La ringhiante Driving Me Backwards” chiude invece il primo lato con diverse manipolazioni del suono e viene retta da un pianoforte che, a detta di Eno, suona “solo tre accordi, ognuno differente dall’altro per una sola nota“, che vanno ad evocare concitatamente un rapporto di crescente intolleranza (“Now I found a sweetheart, she treats me good just like an armchair”).

Apre il secondo lato “On Some Faraway Beach“, una canzone mozzafiato che, secondo un’intervista del 1974 con Chrissie Hynde, contiene ben 27 sezioni di pianoforte al suo interno, mentre il suo testo, a quanto pare, venne in sogno a Brian Eno (manco fosse Costantino!) richiamando una tristezza quasi trascendente (“Given the chance, I’ll die like a baby on some faraway beach when the season’s over“)L’atmosfera onirica viene però rapidamente disintegrata dal forte tamburo della rumorosa sveglia di Blank Frank“, che si porta appresso una stratificazione multi-strumentale alquanto psicotica, ma che ben funge da vetrina alla chitarra di Robert Fripp ed alla batteria di Simon King, il cui ritmo viene tratto deliberatamente da “Who Do You Love?” del grande Bo Diddley.
Lo slavato rock da salotto di “Dead Finks Don’t Talk” con le sua inquietanti armonie e le voci fuori dal coro è molto piacevole da ascoltare, una volta però che ci si abitua alle sue stranezze; largamente interpretata come una parodia del suo vecchio compagno dei Roxy Music Bryan Ferry, Eno rivelò che in realtà la traccia non era nulla di simile – o non consapevolmente, in ogni caso: nacque come la più casuale delle mie canzoni. Ho scritto il testo a casa con la mia fidanzata con una cassetta della base musicale che avevo registrato in studio. Ho cantato qualsiasi cosa mi venisse il mente. Spesso sono solo parole senza senso o sillabe. Prima provo il suono fonetico corretto piuttosto che il significato verbale. […] Prendo i suoni e li trasformo in parole. “Dead Finks” non tratta di Bryan Ferry. Dopo aver registrato la musica e scritto le parole, Chris Thomas (il mio produttore e quello dei Roxy) mi ha detto: ‘Mi hai colpito con quella canzone. Ovviamente parla di Bryan’. Così l’ho ascoltata di nuovo e ovviamente lo era. E’ stato sicuramente qualcosa che non avevo capito. Per fortuna, l’album si conclude con due note molto forti: la ballata beatlesiana di “Some of Them Are Old“, contraddistinta dal sax dell’ex Roxy Music Andy Mackey e da una progressione ascendente di accordi che si frantumano nei cori psichedelici, e la semi-strumentale “Here Come the Warm Jets“, che con la sua elettronica sfocata, la sua preghiera implorante ed una brutale steel guitar si rivela assolutamente sconcertante, portando il disco ad una chiusura in grande stile.

Brian Eno è per antonomasia il padre della musica ambient, ma se si ascolta questo disco si capisce di essere molto lontani da quel rilassante epiteto; Here Come the Warm Jets si compone di una serie di canzoni pop-rock con sottili influenze elettroniche, che danno il via ad una cacofonia chiassosa e stupefacente, in un bizzarro ed eccentrico eclettismo stilistico segnato dalle urla stridule e dai lamenti di Eno, che si trovano in tutto l’album aggiungendo una certa giocosità alla sua musica: si tratta di un disco estremamente diversificato, dove non ci sono due canzoni che suonano simili, anzi, ognuna sembra esporre e confutare tutte le regole della precedente e, mentre le strutture compositive sono relativamente semplici, gli arrangiamenti paiono infinitamente contro-intuitivi e per questo ammalianti, seppur non esenti da difetti. Ogni volta che si ascolta questo album si scorge qualcosa di nuovo oltre l’orizzonte sonoro: la cicala che ronza, i pianoforti stonati, le percussioni fuori tempo, tutte cose che assolutamente non dovrebbero funzionare, ma che creano un’assurda attrazione che porta direttamente al cuore di ciò che rende Here Come the Warm Jets un disco così irresistibile.

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