Pink Floyd – Atom Heart Mother

Atom Heart Mother è senza dubbio uno dei dischi più importanti dei Pink Floyd, uscito dopo il successo di Ummagumma che spazzò via la crisi post-Barrett. Ma il gruppo ancora non era soddisfatto: all’inizio della stagione progressiva, i Pink Floyd progettarono un album finalmente degno della loro reputazione; le prove ufficiali avvennero il 27 giugno del 1970 al Blues & Progressive Festival di Bath, quando i Pink Floyd presentarono una suite intitolata provvisoriamente “The Amazing Pudding” accompagnati da orchestra e coro, un’esecuzione che venne ripetuta nel programma di John Peel alla BBC il 16 luglio: in questa occasione il lungo pezzo venne ribattezzato con il suo nome definitivo, “Atom Heart Mother”, trovato da Roger Waters all’ultimo momento in una pagina del quotidiano “Evening Standard”, in un articolo che riguardava l’innesto di un pace-maker a batteria atomica su una donna; due giorni dopo il brano venne acclamato in un free-concert ad Hyde Park.

La produzione fu ufficialmente dei Pink Floyd, Norman Smith figura come produttore esecutivo ma in pratica fu soltanto il supervisore della EMI; tecnico del suono fu invece ancora Alan Parson, mentre gli arrangiamenti orchestrali furono diretti da Ron Geesin, convocato da Roger Waters a scrivere le partiture del coro e degli ottoni: Atom Heart Mother venne così lanciato nel mercato discografico nell’ottobre 1970, regalando al quartetto la tanto agognata posizione numero uno delle classifiche inglesi.

L’assenza di ognipink-floyd-atom_heart_mother riferimento testuale nella copertina è una delle tante idee geniali di Storm Thorgerson: i Pink Floyd volevano qualcosa che non avesse nulla a che fare con il contenuto del disco, quindi, scartata la prima proposta (“l’uomo che si tuffa” che sarà recuperata all’interno di Wish You Were Here), il grafico della Hipgnosis andò nella campagna a nord di Londra per fotografare la prima mucca a caso; di razza Frisona, questa si chiamava Lulubelle III ed era al pascolo della fattoria di Mr. Arthur Chalke che provò in seguito, invano, a chiedere un compenso per i diritti dell’immagine. Leggenda vuole che quando Thorgerson mostrò la fotografia ad un funzionario della EMI, questi sconcertato gli rispose: “Ma sei matto? Vuoi rovinare questa casa discografica?'” ma l’intuizione del grafico si rivelò, ancora una volta, un’idea vincente tanto che questa bucolica copertina diventerà famosissima, e sarà oggetto anche di ironia nel bootleg “The Dark Side of the Moo”, che coniuga sarcasticamente due delle opere più celebri del quartetto inglese.

Atom Heart Mother” si compone di sei movimenti (“Father’s Shout“, “Breast Milky“, “Mother Fore“, “Funky Dung“, “Mind Your Throats Please“, “Remergence“) per quasi venticinque minuti di prog sinfonico, tuttavia la maestosità del progetto nasconde alcune pecche nella mancanza di omogeneità e di coesione tra la partitura orchestrale classica e gli stacchi più rock. Si tratta di una suite davvero imponente, su cui brilla l’eccezionale chitarra solista di Gilmour che penetra nell’armatura dell’organo Farfisa di Wright, tra suoni spettrali ed  effetti Doppler: interamente strumentale, le uniche parole che si sentono sono quelle classiche di uno studio di registrazione: “Silence in the studio!” e “Here is a loud announcement”, a circa 17 minuti. Una curiosità: Stanley Kubrick aveva chiesto alla band il permesso di utilizzare parti di questa canzone nel suo film “Arancia Meccanica” ma Roger Waters rifiutò, sostenendo che gli spezzoni avrebbero suonato male presi fuori contesto; comunque Kubrik omaggió questo album con un cameo, con la copertina bovina che appare brevemente in una scena in cui il personaggio principale, Alex, è in un negozio di dischi. 

Il secondo lato smorza i toni, mostrando inclinazioni più ortodosse ed ambizioni contenute; si ricomincia con “If” di Waters, una intima ballata acustica che si riferisce agli aspetti più difficili del suo carattere: qualcuno sostiene che questo brano rappresenti il primo tentativo di esprimere i sensi di colpa provati da Roger Waters per il modo in cui lui si era comportato con Syd Barrett, estromettendolo dalla band senza troppi giri di parole (“If I were a good man, I’d talk with you more often than I do“). Complotti a parte, è chiaro che il testo parli di un giovane uomo alle prese con numerose contraddizioni ed insicurezze, ma senza l’idiosincrasia che permeerá le opere future del bassista. I Pink Floyd eseguirono questa traccia live soltanto una volta (in una sessione del 16 luglio 1970, al Paris Theatre della BBC a Londra), ma Waters la porterà innumerevoli volte nei suoi tour da solista.

Summer ’68” veste il contributo pop-progressive di Richard Wright, ispirato da Bela Bartok e dall’ennesimo flirt finito male del tastierista con una groupie (“Tomorrow brings another town, another girl like you“, “From your bed I gained a day and lost a bloody year“): il brano è proprio una sofferta rivelazione delle proprie avventure extraconiugali alla moglie Juliette Gale, sposata nel 1965. Date le sue radici classiche e jazz, non è una sorpresa che Wright sia stato in grado di tirare fuori dalla manica questa canzone, una delle gemme più trascurate del catalogo dei Pink Floyd in cui un testo sdegnoso ed apparentemente acerbo si pone in netto contrasto con la strumentazione e la musica stessa. Con Fat Old Sun” arriva invece il momento di David Gilmour, con una ballata trasognata ed eccentrica sull’infanzia, che sfida direttamente Roger Waters e la sua “Grantchester Meadows” di Ummagumma; è il primo luogo in cui si sentono le campane che ricompariranno in “High Hopes” di The Division Bell, con quasi tutti gli strumenti suonati da Gilmour ed i tamburi e la chitarra che assumono un ruolo maggiore verso la fine della traccia, il cui titolo originale doveva essere semplicemente “Sing to Me”.

Infine, “Alan’s Psychedelic Breakfast” è una suite conclusiva in tre atti (“Rise and Shine“, “Sunny Side Up“, “Morning Glory“) che discende da “The Man & The Journey” e che venne realizzata – come ammise la stessa band – come brano riempitivo. Il titolo è un riferimento al roadie Alan Stiles (che appare sul retro della cover di Ummagumma), e la genesi della canzone ebbe inizio nella solita cucina ispiratrice di Nick Mason, per poi essere conclusa negli studi di Abbey Road. Il brano inizia con un rubinetto che gocciola, per poi sentire i classici suoni mattutini della prima colazione tra sgranocchiamenti e tazze da tè; la prima parte è segnata da un pianoforte classico e qualche chitarra, per poi lasciare il posto ad un organo prima che il bollitore si spenga; la seconda sezione folk vede il dominio delle chitarre acustiche mentre la terza ed ultima parte, probabilmente la migliore, è una sorta di blues-rock sinfonico con un grande pianoforte che, con la fine della colazione, ci accompagna nelle infinite possibilità di un giorno appena iniziato; anche se vari i temi sono lenti a svilupparsi – ed in realtà non si sviluppano neanche granchè – questa rimane comunque una buona suite, che pare esser ispirata dal compositore tedesco Carl Orff. Una curiosità: il brano sarà eseguito dal vivo pochissime volte, per motivi tecnici, tra queste una serie di concerti prenatalizi nel 1970.

Dato che per quanto concerne i Pink Floyd i riferimenti ai film non si contano più (vedi The Dark Side of the Moon), alcuni con molta fantasia sostengono che l’album Atom Heart Mother sincronizzato al vecchio film “Il dottor Zivago” di David Lean dia risultati curiosi. Congetture a parte, questo disco continua a dividere come pochi altri lavori: criticato dai più come noioso e pretenzioso e ripudiato dallo stesso gruppo a più riprese, nonostante i suoi difetti, Atom Heart Mother è una tappa fondamentale della storia dei Pink Floyd, il cui percorso progressive continuò su Meddle, in cui compattarono il suono e gettarono via barocchismi sinfonici e tutte le indecisioni.

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