Kevin Ayers – Bananamour

Bananamour è il quarto album in studio per Kevin Ayers, l’ultimo del primo periodo Harvest e qui ritroviamo paradossalmente l’approccio istintivo dell’esordio di Joy of a Toy, un pop psichedelico con un tocco di Canterbury.

Un anno dopo Whatevershebrinswesing, Kevin Ayers riunì un altro gruppo di aiutanti per registrare questo suo nuovo lavoro: nel 1973 fondó gli Archibald con il bassista Archie Leggett (presentatogli da Daevid Allen), un duo che confluì poco dopo nei Decadence col batterista Eddie Sparrow ed il chitarrista Steve Hillage. In questo disco (che porta un titolo-tributo alla banana, emblema della sua musica da non sbucciare), collaborarono anche gli amici Robert Wyatt, Mike Ratledge e David Bedford – mancò all’appello soltanto Mike Oldfield che in quel periodo stava forgiando le rumorosbananamour_bigTubular Bells.

Arrivati a questo punto, Ayers si stava muovendo verso uno stile più tradizionale, e nonostante la presenza di personaggi come Wyatt e Hillage come ospiti occasionali, la migrazione verso un clima più caldo e convenzionale continua ad essere ancora evidente: su questo disco Kevin raggiunge l’apice delle sue possibilità evitando soprattutto di immergersi in una pseudo-avanguardia, optando piuttosto per una musica pop eccentrica, con percussioni minimaliste, un sofisticato songwriting, un occasionale suono glam ed un inedito R&B che sostituisce il country del precedente album come principale leitmotiv. 

La suggestiva “Don’t Let It Get You Down” è il brano centrotavola, con una grande sezione di fiati e coi cori delle voci celestiali di Doris Troy, Liza Strike e Barry St.John (tre nomi che suoneranno familiari a chiunque abbia letto le note di copertina di The Dark Side of The Moon), unite ad Ayers in un pop rilassato e serafico, con un bel testo incoraggiante. L’eccentrica “Shouting In A Bucket Blues” è probabilmente uno dei punti salienti del disco e si solleva su un piano superiore soprattutto grazie agli assoli spaziali di chitarra di Steve Hillage, oltre ad avere uno dei migliori titoli di tutti i tempi; un impressionante Ayers canta come un Leonard Cohen colmo di steroidi un testo satirico sulla falsariga di Jim Stafford, tuttavia il profilo migliore della canzone rimane quello della chitarra piuttosto insolita di Steve Hillage. 
La stramberia tradizionale di “When Your Parents Go to Sleep” possiede al suo interno una conturbante sezione di fiati mentre la voce principale è del bassista Archie Legget, dato che Kevin (con il suo timbro basso e caldo) aveva bisogno di qualcuno che cantasse alla maniera di Ray Charles, in un numero di lento blues.
La funky “Interview” suona come una prefigurazione dei momenti psichedelici di Dr. Dream: spicca su tutti l’acidulo organo Lowrey di Mike Ratledge (suonato con il fuzzbox, con tanto di eco) che ricorda i primi tempi dei Soft Machine, in combinazione con una sezione ritmica eccellente che produce alcuni dei momenti più allucinanti dell’album: dei bonghi spettrali riverberato nella melodia vocale di Ayers, completamente rock’n’roll, ma che suona come se fosse stata registrata al rallentatore. 

Il fulmineo soul di “Internotional Anthem” può essere visto come una buona introduzione per la migliore traccia dell’album, l‘alienante “Decadence“, un capolavoro oltre ogni dubbio: in cima ai suoi deliziosi arpeggi di chitarra, Kevin Ayers canta il suo inno alla maniera di Nico, chiudendo il tutto con un “drink it to Marlene” (che omaggia proprio l’amica). Vi è un potente accumulo di pathos che ricorda, quasi, il misticismo malato di canzoni come “Heroin” dei Velvet Underground o “The End” dei Doors, il medesimo ed arcano mantra reso più leggero e qui recitato della chitarra distopica di Steve Hillage, dall’organo Hammond ed da un ronzante synth analogico, tutti legati insieme dall’inizio alla fine, passando per il ritmo marziano della batteria che non appare prima della seconda metà della canzone.

L’intima “Oh! Wot A Dream” è la canzone che Kevin Ayers scrisse per il suo caro amico Syd Barrett (“You are the most extraordinary person, you write the most peculiar kind of tunes. I met you floating as I was boating one afternoon“), costruendola attorno ad un anello di grancassa, strane percussioni estrose, un’anatra chiassosa e suoni di bicchieri, con la chitarra slide che memorizza questa ingenuamente profonda canzone country-pop. 
In “Hymn” Kevin Ayers duetta con Robert Wyatt, grande amico ed ex compagno nei Soft Machine, in una ballata psichedelica con una chitarra acustica sotto l’effetto Leslie, linee di basso altisonanti, percussioni completamente ridotte all’osso ed un delicato pianoforte tintinnante, in una cascata melismatica che Ayers canta a doppio binario con Robert Wyatt, la cui leggerezza va a farcire la voce cavernosa dell’amico. 
La breve e greve “Beware Of The Dog” è il finale drammatico che nessuno si aspetta (“She said ‘you’re not happy, you’re just stoned‘”), merito anche dell’arrangiamento orchestrale di David Bedford che si muove da una bella disposizione da brass-band con corni pastorali e tromboni, fino ad un epilogo completamente travolgente.

Non aspettatevi grossi momenti di jazz o psichedelica, ma piuttosto una visione variegata e perfettamente accessibile dei pensieri di un genio eccentrico. Bananamour è l’album della maturità di Ayers indubbiamente, anche se non è all’altezza della spontaneità della produzione precedente nè del successivo The Confessions of Dr. Dream and Other Stories con cui passò alla Island, ma risulta, in ogni caso, una gradita aggiunta ad ogni collezione di rock canterburiano e di musica pop lontana dalla uniformità del genere.

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